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Sulla violenza in Chiapas
Insieme a Radio OndaRossa 87.9, come Nodo Solidale abbiamo parlato della situazione di crescente violenza in Messico, in corrispondenza del cambio di presidenza che ha visto l”installarsi di Claudia Sheinbaum. Questo è il contesto all’interno di cui si inseriscono le pressioni da parte di gruppi paramilitari nei confronti della comunità zapatista 6 de octubre, nel caracol Nuevo Jerusalem, e l’omicidio di Padre Marcelo Perez nella città di San Cristobal de las Casas:
https://www.ondarossa.info/redazionali/2024/11/nodo-solidale-messico-e-chiapas
Video realizzato dalla Sexta di San Cristóbal de las Casas: immagini della mobilitazione del passato 24 ottobre, a San Cristóbal, testo: “Alto a la guerra contra a los pueblos zapatistas”:
https://www.congresonacionalindigena.org/2024/10/21/pronunciamiento-alto-a-la-guerra-contra-los-pueblos-zapatistas/
Traduzione in italiano:
A coloro che non vedono la guerra con indifferenza
“Chiapas al bordo della Guerra Civile” era il titolo di un comunicato dell’EZLN del 19 settembre 2021; oggi il Chiapas è un campo di Guerra Civile. Secondo quanto denunciato dallo stesso EZLN il 16 ottobre scorso, da settimane i residenti della comunità chiamata Palestina in Chiapas hanno minacciato gli abitanti del villaggio zapatista “6 ottobre” con armi ad alto calibro, hanno violentato donne, incendiato case e commesso furti delle loro proprietà, raccolti e animali, per sfrattarli dalle terre che occupano e lavorano pacificamente da oltre 30 anni.
I residenti di questa comunità chiamata Palestina hanno segnalato pressioni da parte della criminalità organizzata affinché i compagni zapatisti vengano sfrattati, e che esiste un accordo della criminalità organizzata con i diversi livelli di governo per dare un carattere “legale” a questo esproprio.
Dal 2021, l’EZLN aveva già avvertito dei legami tra il governo del Chiapas e i cartelli della droga e denunciava da allora la crescita del narcoparamilitarismo che ha portato adesso il Chiapas nella più sanguinosa violenza. In Chiapas, il narcoparamilitarismo sta espropriando il territorio e, come affermano le compagne zapatiste, opera insieme ai vari livelli di governo per legalizzare questi espropri. Le stesse terre che l’EZLN liberò dalle mani dei latifondisti nel 1994 sono quelle che ora i governi dei tre livelli pretendono, per poi favorire passivamente o attivamente, che siano consegnate a dei criminali.
In Messico la guerra non solo non è finita, ma si è acutizzata in alcuni stati, e uno di questi è il Chiapas. La gestione della guerra da parte del governo si è concentrata sull’esproprio del territorio, sulla criminalizzazione della ribellione e, ovviamente, su un discorso che minimizza le atrocità e giustifica il crescente e inefficace militarismo, come ha dimostrato la militarizzazione incessante in Chiapas. La guerra del narcotraffico che ha insanguinato il confine nord del Messico e gradualmente tutto il paese, ora si estende verso il sud-est e il confine meridionale, dove gli interessi criminali estrattivi, narcoeconomici e controinsurrezionali si incontrano e si trasformano in una guerra narcoparamilitare particolarmente ostile contro le Comunità Zapatiste, mentre la Guardia Nazionale e il resto delle Forze Armate non solo tollerano queste pratiche criminali, ma le proteggono e, dall’altra parte, assassinano migranti.
Come afferma il Subcomandante Moisés nel più recente comunicato dell’EZLN, la situazione è più grave di quanto si possa percepire; il rischio rappresentato da queste minacce ha portato a sospendere ogni forma di comunicazione e a prendere in considerazione la cancellazione degli incontri annunciati per quest’anno e per il prossimo.
Il Chiapas ha vissuto una guerra di bassa intensità per 30 anni dalla presidenza di Carlos Salinas; il Messico ha vissuto una narcoguerra per quasi 20 anni dalla presidenza di Felipe Calderón e, dopo tre anni della presidenza di Andrés Manuel López Obrador, l’EZLN ha avvertito del recrudescimento della violenza favorita dal governatore Rutilio Escandón e di una possibile guerra civile in Chiapas. A poco più di due settimane dalla presidenza di Claudia Sheinbaum, il Chiapas si trova in uno scenario di guerra civile e uno dei pochi angoli di dignità rimasti al Messico e al pianeta, il territorio zapatista, è nuovamente minacciato dalla morte e dalla distruzione. Come afferma il comunicato dell’EZLN: “questa è la realtà della ‘continuità del cambiamento’ nei cattivi governi”.
Noi che firmiamo questa lettera ci troviamo profondamente indignati, preoccupati e in allerta per quanto sta accadendo nei territori zapatisti del Chiapas. Invitiamo coloro che credono ancora che la dignità e la ribellione siano il cammino verso la speranza, a denunciare quanto sta accadendo e a esercitare pressione sul governo messicano e sul governo del Chiapas affinché cessino queste aggressioni e crimini, si sospenda ogni supporto a organizzazioni narcoparamilitari, che la smettano con il militarismo e la militarizzazione come presunta soluzione. Questa dinamica di guerra ostacola la possibilità che le comunità zapatiste continuino a costruire, a partire dalla loro autonomia e dal comune, quella realtà piena di speranza che esse chiamano quotidianità, affinché nel loro specchio possiamo intravedere i sentieri per sopravvivere al collasso e pensare al giorno dopo.
Assassinano padre Marcelo crivellandolo di colpi dopo aver officiato la messa: da sempre ha denunciato l’estrema violenza in Chiapas.
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Chi era padre Marcelo?
Condividiamo un’intervista con il sacerdote realizzata da Raúl Zibechi nel settembre 2022.
“Stiamo vivendo qualcosa di simile ai tempi di Gesù. I romani non avevano pietà. Il narcotraffico non ha pietà”, sentenzia padre Marcelo Pérez, seduto nella sala da pranzo della parrocchia Nuestra Señora de Guadalupe a San Cristóbal de las Casas, Chiapas.
La chiesa sorge su un’altura, raggiungibile salendo 79 scaloni che lasciano con il fiato corto. La ricompensa è una vista panoramica stupenda, con montagne alberate che dominano la candida città coloniale. Al centro, a fare da cerniera tra il manto naturale e le pietre urbane, c’è la chiesa, circondata da una piazza alberata dove incontriamo padre Marcelo, sempre accompagnato da persone che lo consultano e gli chiedono consiglio.
Marcelo si è formato nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez, che definisce come “molto conservatrice”, ma nel 2001 fu inviato a Chenalhó dove la sua vita cambiò radicalmente. “Acteal mi ha dato la luce”, afferma con fermezza. Il massacro di Acteal, del 22 dicembre 1997, con un saldo di 45 tsotsiles [popolo maya della regione de Los Altos de Chiapas, ndt] assassinati mentre pregavano per mano di paramilitari addestrati per combattere l’EZLN, continua a esercitare una brutale presenza sul municipio e in tutto il Chiapas.
“Avevo paura, ma ad Acteal ho visto che le persone sono libere. Sono pastore, ma ho visto che il gregge è molto più coraggioso. Mi sono unito a loro per denunciare l’impunità e per lottare contro il progetto Ciudades Rurales del governo di Juan Sabines”, continua il padre in un racconto che spazia dagli anni della formazione all’impegno con il suo popolo.
Rifiuta l’ispirazione della Teologia della Liberazione e recita i quattro pilastri del suo pensiero e modo di agire: la realtà che affrontiamo, la parola di Dio di fronte a essa, la posizione della chiesa e gli impegni necessari da assumere. “Parlare di teologia della liberazione significa entrare in conflitto”, afferma con pragmatismo.
Poi ritorna al suo discorso: “Acteal mi ha convertito”. Il dolore nasce ascoltando i sopravvissuti: María, Zenaida, donne e uomini che hanno perso tutta la loro famiglia. “Come è possibile dir loro che Dio li ama!”, esclama il padre. Per questo non si ispira alla parola della Bibbia, alla teoria che nasce dal testo sacro, ma prende un’altra direzione, “piangere con chi piange, soffrire con chi soffre” e, soprattutto, “camminare con loro”.
La strada non è nel cambio di partito.
Le parole scorrono su una tavola imbandita con un pranzo semplice. Ci avvolge il suo entusiasmo e la sincerità del suo dolore. “I sopravvissuti sanno leggere, lì è la luce”. Impossibile non ricordare parole molto simili pronunciate decenni fa dall’assassinato monsignor Oscar Romero, che si espresse in modo molto simile al sacerdote di Chenalhó: “Il sangue di Rutilio Grande mi ha convertito”, disse in riferimento al martire del movimento contadino salvadoregno.
La conversione portò padre Marcelo a camminare con il popolo contadino. Non solo ha accompagnato le vittime, ma denunciò anche gli autori materiali e intellettuali della violenza, il che gli ha provocato la persecuzione da parte del governo del Chiapas.
“Nel 2008 hanno incendiato la casa parrocchiale, poi hanno danneggiato le candele e le gomme della mia auto, e il 12 dicembre 2010 due ragazzi mi hanno picchiato per strada”, racconta con calma.
È quasi morto quando hanno collegato un cavo elettrico al serbatoio della benzina del suo veicolo, il che lo ha spinto ad accettare il trasferimento a Simojovel, dove è arrivato il 5 agosto 2011. “La gente ha iniziato a visitarmi per raccontare le proprie tragedie, gli omicidi, le morti. È così che ho scoperto che i criminali hanno accordi con le autorità e alle denunce sono seguite le minacce”.
L’8 marzo ha organizzato una processione di donne contro la vendita di droghe nei pressi della presidenza del municipio. Lo hanno accusato di essere un guerrigliero e persino uno zapatista, hanno messo una taglia sulla sua testa, fino a quando nel 2014 il municipio e il PRI hanno cercato di mobilitare la popolazione contro di lui, con scarso successo tra la gente.
Un punto di svolta è stato il pellegrinaggio di 15.000 persone, tenutosi in ottobre, in cui si denunciò la famiglia Gómez Domínguez, che è entrata in scena con sicari che hanno fatto vari attentati e messo sù una campagna mediatica contro padre Marcelo, arrivando a offrire un milione di pesos per la testa del sacerdote di Simojovel.
Nel citato comunicato, il Pueblo Creyente conclude che i cambiamenti non vengono da un partito “ma dalla società civile, dai popoli originari, dalla classe povera e media”, e denuncia che il Chiapas “si avvicina a un’esplosione sociale”.
La sua forma d’azione sociale è la convocazione di processioni, alle quali hanno partecipato decine di migliaia di fedeli, e la denuncia delle autorità e dei politici. È riuscito a far sì che i Gómez Domínguez non vincessero le elezioni municipali, ma è stato denunciato per diffamazione presso la PGR. Comunque Marcelo riconosce che “la strada non è cambiare partito”.
Negli anni successivi ci sono stati molti sit-in della popolazione e tanti omicidi da parte del crimine organizzato, sempre sotto la protezione delle autorità. “Il 12 dicembre 2017 ho celebrato la messa più triste della mia vita, per la morte di due anziani a causa del freddo e della fame”. Proseguono lo sfollamento forzato di intere comunità, ulteriori violenze e morti, bombe e spari. Ma la popolazione continua a resistere.
Nel maggio 2017 nasce il Movimento Indigeno del Pueblo Creyente Zoque in Difesa della Vita e del Territorio (ZODEVITE), mentre a giugno si svolse una massiccia processione verso Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e petrolifere, poiché il governo messicano voleva concedere a imprese straniere oltre 80.000 ettari, coinvolgendo più di 40 ejidos e comunità locali.
La mobilitazione ha rappresentato una nuova sconfitta per i piani di chi sta in alto, ma la violenza continua. Nel 2021 si sono registrati a Pantelhó, un municipio di appena 8.600 abitanti della regione degli Altos del Chiapas, più di 200 morti a causa del crimine di stato/organizzato,.
Il 3 luglio viene assassinato Mario Santiz López. Il 5 luglio 2021 viene assassinato Simón Pedro Pérez López, catechista ed ex presidente della direzione della Società Civile Las Abejas di Acteal, colpevole di promuovere la non violenza e di accompagnare le comunità tsotsiles di Pantelhó. Al suo funerale Marcelo ha accusato il “narco-municipio”, cioè l’alleanza tra lo Stato e il crimine organizzato.
Sebbene abbia chiesto alle comunità di “non cadere nella tentazione della vendetta”, il 10 luglio è stato diffuso un comunicato del gruppo armato “El Machete”, creato dalle comunità come autodifesa contro la violenza. Il 26 luglio 2021 migliaia di persone in passamontagna hanno preso il controllo del municipio, 19 uomini sono stati esposti ammanettati nella piazza centrale del municipio a causa dei loro legami con il crimine organizzato.
Sebbene fosse stata un’azione collettiva comunitaria (un’esplosione dal basso), che apparentemente non fu convocata da El Machete, la Procura Generale del Chiapas ha emesso un mandato di arresto contro padre Marcelo per la scomparsa di queste 19 persone a Pantelhó. Non importava loro che quel giorno il sacerdote fosse in un altro luogo, a Simojovel, che invocasse sempre la pace e che il giorno successivo fosse arrivato in realtà per calmare gli animi.
È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.
Il mandato di arresto è ancora in vigore. A ottobre è stato trasferito alla chiesa di Guadalupe a San Cristóbal, dove adesso ci spiega chi sta provocando violenza e morte. “Le autorità sono complici del narcotraffico. Hanno cercato di metterci a tacere, attraverso minacce di morte e diffamazione sui social network. Si ho paura, ma questo non mi ferma”.
Nella sua analisi della situazione, questo indigeno tsotsil che è sacerdote in Chiapas da 20 anni, sostiene che non è possibile fermare la violenza perché i poliziotti sono sicari, perché “abbiamo un narco-Stato”. È convinto che la violenza peggiorerà e che solo successivamente si potrà giungere ad una certa calma, ma a costo di molto sangue. “Spero che sia il sangue di sacerdoti e vescovi, non quello del popolo”.
Afferma che siamo nel mezzo della tempesta, che non si può risolve con un’altra tempesta, ma cercando strade differenti. Diffida dei poteri e dei potenti: “Se uccidono me è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla, a nessuno importa. Se serve dare la mia vita, eccomi qui”, conclude.
Prima di congedarci, fa riferimento a una frase biblica, assicurando che i dolori che stiamo attraversando sono “i gemiti del parto”. Pone i suoi principi e valori al di sopra della sua stessa vita: “Non accetto guardie del corpo. È contro il Vangelo che qualcuno muoia perché io viva. È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.”. Nel saluto finale, si confessa: “Non mi fido della polizia”.
Aggressioni e minacce contro le Basi d’Appoggio Zapatiste di Nuevo Jerusalén
Di seguito riportiamo la traduzione del comunicato dell’EZLN e denuncia effettuata dal Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) in merito alle minacce e aggressioni subite dalle Basi d’Appoggio Zapatiste di Nuevo Jerusalén.
La denuncia può essere firmata dalla pagina:
https://frayba.org.mx/denunciamos-el-riesgo-la-vida-seguridad-e-integridad-personal-de-los-habitantes-bases-de-apoyo-del
L’EZLN denuncia aggressioni e minacce contro le sue basi di appoggio
COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIÓNE NAZIONALE
MESSICO
16 OTTOBRE 2024
ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE:
A CHI HA FIRMATO LA DICHIARAZIONE PER LA VITA:
COMPAS:
ALCUNE SETTIMANE FA, ABITANTI DI PALESTINA HANNO MINACCIATO LE DONNE, GLI ANZIANI, I BAMBINI E GLI UOMINI DEL VILLAGGIO ZAPATISTA “6 DE OCTUBRE”, PARTE DEL CARACOL DI JERUSALÉN, DI CACCIARLI DALLE TERRE CHE OCCUPANO E LAVORANO, PACIFICAMENTE, DA OLTRE 30 ANNI.
FINO A QUESTO “CAMBIO” DI GOVERNO, IL VILLAGGIO “6 DE OCTUBER” AVEVA VISSUTO IN PACE E ARMONIA CON LE POPOLAZIONI CIRCOSTANTI, SENZA PROBLEMI.
DALL’INIZIO DI QUESTO PROBLEMA IL GOVERNO AUTONOMO LOCALE (GAL) DI “6 DE OCTUBRE” E L’ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DEI GOVERNI AUTONOMI ZAPATISTI (ACEGAZ) DEL CARACOL JERUSALÉN, HANNO INSISTO PER IL DIALOGO E L’ACCORDO CON LE AUTORITÀ COMUNALI DI PALESTINA, MA È STATO INVANO. QUESTE AUTORITÀ DI PALESTINA DICHIARANO DI AVERE L’APPOGGIO DELLE AUTORITÀ MUNICIPALI DI OCOSINGO E DEL GOVERNO DELLO STATO DEL CHIAPAS (RISPETTIVAMENTE PVEM E MORENA), E DI AVERE ISTRUZIONI DA TALI MALGOVERNI DI CONSEGNARE AGLI AGGRESSORI I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LA LORO PROPRIETÀ SULLE TERRE SOTTRATTE.
GLI STESSI ABITANTI DI PALESTINA SOTTOLINEANO CHE CI SONO PRESSIONI DA PARTE DELLA COSIDDETTA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PERCHÉ I NOSTRI COMPAGNI VENGANO CACCIATI E CHE C’È UN ACCORDO TRA LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E I DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO PER DARE NATURA “LEGALE” A QUESTO FURTO.
LE MINACCE SONO IN AUMENTO FINO A COMPRENDERE LA PRESENZA DI ABITANTI DI PALESTINA CON ARMI DI GROSSO CALIBRO, MINACCE DI STUPRO SULLE DONNE, INCENDI DI CASE E FURTI DI BENI, RACCOLTI E ANIMALI.
LE PROVOCAZIONI NON CESSANO. IL CARACOL JERUSALÉN ERA UNO DEI LUOGHI CONTEMPLATI PER LA CELEBRAZIONE DEGLI INCONTRI DI RESISTENZA E RIBELLIONE 2024-2025.
POICHÉ DOBBIAMO ESSERE CONSAPEVOLI DEL DETERIORAMENTO DI QUESTA GRAVE SITUAZIONE, SOSPENDIAMO TUTTE LE COMUNICAZIONI E LE INFORMAZIONI RIGUARDANTI TALI INCONTRI E CONTEMPLEREMO LA CANCELLAZIONE DEGLI STESSI PERCHÉ NON CI SAREBBE SICUREZZA PER I PARTECIPANTI OVUNQUE IN CHIAPAS.
QUESTA È LA REALTÀ DELLA “CONTINUITÀ CON IL CAMBIAMENTO” DEI MALGOVERNI.
È TUTTO.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, ottobre 2024
Denunciamo il rischio per la vita, la sicurezza e l’integrità personale degli abitanti Basi di d’Appoggio dell’EZLN della comunità 6 de Octubre, CGAZ di Nuevo Jerusalén
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
16 ottobre 2024
Azione Urgente n. 3
- L’assedio all’autonomia zapatista continua senza sosta.
- Il Governo Autonomo Locale ha reso noto che un gruppo di persone armate si è stabilito nelle terre recuperate.
Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha ricevuto informazioni dai Collettivi di Governi Autonomi Zapatisti (CGAZ), Caracol IX, Nuevo Jerusalén, riguardo agli attacchi di persone armate e all’installazione di capanne all’interno delle terre recuperate del villaggio 6 de Octubre, Governo Autonomo Locale (GAL), comune ufficiale di Ocosingo, Chiapas.
In più occasioni durante il mese di giugno, persone sconosciute sono arrivate nella comunità con armi di differente calibro, intimidendo le famiglie del villaggio 6 de Octubre. Hanno svolto delle perlustrazioni e scattato foto. Successivamente, due Basi di Appoggio che erano uscite per andare a lavoro sono state minacciate: è stato detto loro in modo “pacifico” che devono lasciare la loro comunità, altrimenti sarebbero stati “cacciati con la forza”. La comunità non ha ceduto a queste intimidazioni che si sono succedute nel tempo. Finché la sera del 30 agosto, un drone è stato avvistato sorvolare l’abitato della comunità 6 de Octubre.
Nel corso del mese di settembre, persone sconosciute hanno continuato a fare incursioni, generando paura tra gli abitanti. L’episodio culminante è avvenuto il 23 settembre 2024, intorno alle ore 6:00, quando un gruppo di persone armate è arrivato al GAL 6 de Octubre. Sono arrivati con 10 veicoli con a bordo circa 100 persone, scese per ripulire una porzione di terreno dove costruire le proprie capanne, vicino alle abitazioni delle famiglie Basi di Sostegno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN). Da quel momento, il gruppo armato è rimasto sul posto, incrementando le intimidazioni e le minacce. Uomini armati sorvegliano le attività delle famiglie zapatiste. Per sicurezza, gli uomini del villaggio preferiscono restare in casa, lasciando uscire solo le donne, che sono state oggetto di minacciate di violenza sessuale.
Dal 5 settembre 2024, diverse autorità dello Stato messicano sono state informate della presenza di questo gruppo armato, delle intimidazioni e delle minacce nelle terre recuperate delle famiglie BAEZLN, senza che finora siano state intraprese azioni efficaci per affrontare la situazione, con il rischio di sfollamento forzato interno.
Chiediamo alle autorità competenti di:
- Adottare azioni urgenti e necessarie per garantire e proteggere la vita, l’integrità e la sicurezza personale delle famiglie Basi d’Appoggio Zapatiste, evitando che la situazione peggiori.
- Condurre indagini tempestive e adeguate per identificare i responsabili, smantellare e disarmare il gruppo o i gruppi che operano nella zona.
- Garantire e rispettare in generale l’autonomia e l’autodeterminazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e delle sue Basi d’ Appoggio, e nello specifico dell’Assemblea dei Collettivi di Governi Autonomo Zapatisti di Nuevo Jerusalén.
- Facciamo appello alla solidarietà nazionale e internazionale affinché si firmi urgentemente questa petizione e scrivano alle autorità messicane per fermare queste azioni violente contro le comunità zapatiste.
Firmando questa Azione si invierà automaticamente un’e-mail alle autorità governative con il vostro indirizzo come mittente . Maggiori informazioni nell’ informativa sulla privacy.
AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta
A dieci anni dal massacro e “desaparición” Degli studenti di Ayotzinapa proponiamo la traduzione di questo articolo del giornalista John Gibler, autore del libro “Una storia orale dell’infamia”, che ci racconta come il governo di Andrés Manuel López Obrador, nonostante le forti promesse di costui in campagna elettorale, abbia paralizzato le indagini e tradito le famiglie dei desaparecidos . Nell’articolo viene ricostruita nel tempo la continuità nella copertura dei responsabili tra i differenti partiti di governo, come anche la complicità tra i differenti livelli di governo, forze armate di ogni ordine e grado, e criminalità organizzata negli avvenimenti della lunga “Notte di Iguala” e nel continuo insabbiamento e depistamento delle indagini nel corso di un decennio.
AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta
Jonn Gibler -23 settembre 2024
Link articolo originale: https://estepais.com/tendencias_y_opiniones/amlo-ayotzinapa-dimension-desconocida/
Nel 2016 la scrittrice cilena Nona Fernández ha pubblicato un libro di non-fiction intitolato La dimensione sconosciuta. Il libro prende il titolo dalla serie televisiva di fantascienza, fantasy e horror americana The Twilight Zone. L’autrice cita nell’epigrafe lo slogan della serie: “Oltre il conosciuto c’è un’altra dimensione. Voi avete appena attraversato la soglia”.
“La dimensione sconosciuta è un modo per nominare quella realtà parallela che lo Stato gestisce e nega simultaneamente.”
Fernández, bambina negli anni settanta in Cile, guardava quel programma in bianco e nero in televisione: erano gli anni della dittatura. Io guardavo lo stesso programma in bianco e nero in televisione da bambino negli anni settanta, negli Stati Uniti: erano gli anni della cosiddetta Guerra Fredda.
“Erano episodi brevi, con storie fantasiose e deliranti,” scrive nella prima parte del libro. “Un uomo aveva un orologio capace di fermare il tempo. Un altro vedeva gnomi che lo assillavano e cercavano di far cadere l’aereo su cui viaggiava. Un altro si ritrovava insieme al suo piccolo figlio di dieci anni, mentre in un tempo parallelo e molto più reale, il bambino era un soldato che moriva in guerra. Un altro parlava con la bambola assassina della sua figliastra. Un altro attraversava uno specchio passando dall’altro lato.”
Nel libro di Fernández, l’altra dimensione è una storia di terrore reale, quella di Andrés Antonio Valenzuela Morales, un soldato cileno, membro delle truppe della dittatura di Augusto Pinochet e torturatore. Nel 1984, a 28 anni, Valenzuela Morales decise di non uccidere né torturare più. Un giorno si presentò, da solo e nervoso, negli uffici della rivista Cauce cercando la giornalista Mónica González. Quando lei gli disse: “Sono io, cosa vuole?”, lui rispose: “Voglio parlarle di cose che ho fatto, scomparse di persone…”
Così inizia la storia agghiacciante che Fernández riprende, narra e chiama in causa nel suo libro. La testimonianza di un soldato torturatore della dittatura cilena ci consente di attraversare la soglia e vedere chiaramente la dimensione sconosciuta: i sequestri da parte di agenti dello Stato vestiti da civili in piena strada e nei mezzi pubblici, le case di tortura in quartieri residenziali tranquilli, i viaggi su strada fino alle lande dove le persone venivano fatte scomparire. Questo mondo di terrore coabitava, nascosto, accanto alla vita quotidiana delle famiglie che preparavano la colazione ai loro figli, che li accompagnavano a scuola in van, di qualcuno che cucinava la cena a casa, di una bambina che guardava storie di fantasia e terrore in televisione.
Nel narrare la storia del militare Andrés Antonio Valenzuela Morales, Fernández ci presenta il dietro le quinte della scomparsa forzata come pratica di Stato. La dimensione sconosciuta è un modo per nominare quella realtà parallela che lo Stato gestisce e nega simultaneamente. In Messico, lo Stato è stato particolarmente esplicito nella combinazione di gestione e negazione della propria dimensione sconosciuta. Quella brutale altra dimensione in cui, a porte chiuse, gli uffici del governo si trasformano in centri di tortura e dove coloro che vestono in giacca, cravatta e uniforme, gli incaricati di cercare i desaparecidos e di fare giustizia, sono coloro che torturano, mentono, coprono e fanno scomparire.
“Voi avete appena attraversato la soglia”
La notte del 26 al 27 settembre 2014, nella città di Iguala, Guerrero, centinaia di poliziotti municipali, statali e federali, soldati dell’esercito messicano e alcuni dipendenti dell’azienda illegale transnazionale di traffico di eroina nota come Guerreros Unidos, hanno collaborato nell’attacco a cinque autobus presi in ostaggio da studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa e un autobus —per errore— che trasportava la squadra di calcio di terza divisione di Chilpancingo, Los Avispones, oltre a diversi taxi che circolavano sulla stessa strada.
Durante le sette ore in cui sono durati gli attacchi hanno fermato tutti gli autobus, hanno sparato contro una piccola conferenza stampa tenuta dagli studenti, hanno assassinato sei persone, ferito gravemente decine e fatto scomparire 43 studenti di Ayotzinapa. I perpetratori, poliziotti, militari e civili, usavano i loro telefoni cellulari per coordinarsi tra di loro. L’esercito ha monitorato e documentato l’intera operazione in tempo reale attraverso il sistema di telecamere di sorveglianza C4, intercettazioni telefoniche illegali ai membri di Guerreros Unidos, un soldato infiltrato tra gli studenti —scomparso con loro quella notte—, elementi di intelligence militare presenti nei vari scenari di attacco e attraverso costanti pattugliamenti dei soldati del Battaglione 27 in quei luoghi.
Quella notte di settembre 2014 a Iguala, centinaia di persone hanno attraversato la soglia e sono entrate in un’altra dimensione, in una zona ufficialmente nascosta. Lì, il personale di sicurezza dello Stato a tutti i livelli ha colpito, ucciso e fatto scomparire. Poi, l’Esercito —l’allora segretario della difesa Salvador Cienfuegos, l’allora capitano del Battaglione 27 di Fanteria José Crespo e tutti gli ufficiali e soldati coinvolti— hanno mentito e nascosto la documentazione in loro possesso. La struttura amministrativa dello Stato —un sindaco, un governatore, un presidente, un segretario della difesa, un altro segretario della Marina, un procuratore, un segretario di Governo— ha mentito, torturato, coperto, inventato, nascosto e fatto scomparire.
Quella lunga notte di terrore ha dato inizio a un intero decennio di terrore. Il governo di Enrique Peña Nieto ha inventato una storia falsa —l’incenerimento dei 43 studenti all’aperto durante una sola notte di pioggia nella discarica di Cocula, una finzione autodenominata “verità storica”— per chiudere il caso e per sigillare di nuovo la porta verso l’altra dimensione.
Il tradimento
Andrés Manuel López Obrador ha detto di essere differente. Ha detto che il suo impegno era nei confronti del popolo e, come candidato alla presidenza nel 2018, si è impegnato esplicitamente con le famiglie dei 43 studenti scomparsi. Ha promesso che avrebbe trovato gli studenti, la verità su ciò che era accaduto quella notte e avrebbe punito i responsabili, indipendentemente da chi fossero.
Il suo primo intervento governativo è stato quello di istituire la Commissione per la Verità e l’Accesso alla Giustizia del Caso Ayotzinapa (COVAJ) sotto il comando dell’allora sottosegretario di Governo Alejandro Encinas. Durante il suo primo anno di governo, la Procura Generale della Repubblica ha anche istituito l’Unità Speciale per l’Investigazione e il Contenzioso del Caso Ayotzinapa (UEILCA) e ha nominato Omar Gómez Trejo, un avvocato per i diritti umani con anni di esperienza nel caso e il supporto delle famiglie, come pubblico ministero speciale.
Su richiesta delle famiglie dei 43 studenti scomparsi, López Obrador ha anche invitato il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI) a tornare nel paese per fornire assistenza tecnica all’indagine, quasi quattro anni dopo la sua elegante espulsione ad opera del governo di Peña Nieto.
Nel 2020, dunque, esistevano tre istanze distinte, con acronimi sfortunati, che stavano indagando sugli attacchi contro gli studenti, la scomparsa dei 43 e la serie di crimini commessi durante i quattro anni di torture e menzogne che sono stati necessari per costruire la “verità storica” del precedente governo. Le tre istanze hanno condiviso informazioni e svolto alcune indagini, interviste e ricerche congiunte.
“Sembrava che, per la prima volta, le istituzioni dello Stato […] sarebbero riuscite a indagare e fare chiarezza su di un crimine di Stato, un crimine contro l’umanità…”
Ci sono stati importanti progressi nelle indagini. Hanno ottenuto video dal precedente Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN) che mostravano personale del CISEN, della Procura Generale della Repubblica (PGR), della Polizia federale e della Marina mentre partecipava alla tortura dei detenuti nel 2014. Hanno ottenuto i video di un drone della Marina che documentava atti, fino ad allora sconosciuti, del governo federale nella discarica di Cocula il 27 ottobre, due giorni prima del presunto ritrovamento del luogo. Hanno ottenuto messaggi di membri di Guerreros Unidos intercettati a Chicago che documentano le relazioni tra questa azienda illegale di traffico di eroina, l’esercito, i diversi corpi di polizia e vari funzionari pubblici.
Hanno ottenuto testimonianze di diversi testimoni coinvolti nei fatti che, sebbene mescolassero verità e menzogne, hanno fornito elementi che concordavano con le altre prove del caso, ampliando la documentazione sulla partecipazione di soldati, ufficiali, poliziotti e funzionari in diversi crimini contro l’umanità. Con la testimonianza di uno dei coinvolti hanno rinvenuto due piccoli resti ossei di due studenti in un luogo diverso da quello della narrazione dei fatti del precedente governo. E hanno ottenuto, all’interno degli archivi dello stesso esercito, documenti militari che mostrano simultaneamente le azioni illecite dell’esercito, così come il tipo di documentazione che i militari hanno prodotto in tempo reale prima, durante e dopo la notte dei fatti e i lunghi anni di menzogne che hanno raccontato a riguardo.
Durante il 2021, ci sono stati importanti progressi nell’indagine. Il GIEI e la UEILCA avevano fiducia nelle possibilità di arrivare fino in fondo. Sembrava che, per la prima volta, le istituzioni dello Stato —con un supporto un’assistenza tecnica internazionale senza precedenti — sarebbero riuscite a indagare e chiarire un crimine di Stato, un crimine contro l’umanità commesso e poi coperto da un grande intreccio di poliziotti, soldati e funzionari pubblici di diverse istituzioni. Sembrava che per la prima volta un’indagine ufficiale, guidata e realizzata da un gruppo di giovani messicani fiduciosi nello Stato di diritto e nell’impegno del presidente López Obrador, sarebbe riuscita a rivelare con tutta chiarezza l’altra dimensione nascosta e terrificante dello Stato.
Ma non è stato così. Proprio quando questi progressi nelle indagini hanno iniziato a produrre prove riguardo la partecipazione dell’Esercito, della Marina e del CISEN, il governo di López Obrador ha agito per fermare i progressi, deviare l’indagine, allontanare tutti i pubblici ministeri e gli investigatori che hanno permesso di progredire, per poi, uccidere le indagini.
Un lunedì, il 15 agosto 2022, hanno fatto colazione insieme il presidente, il procuratore generale, il segretario di governo, il presidente della Corte Suprema e il sottosegretario ai diritti umani e presidente della COVAJ. A quel tavolo, si è deciso di chiudere l’ultima porta che conduceva verso l’altra dimensione in cui poliziotti, soldati e membri di un’azienda di traffico internazionale di eroina uccidono e fanno scomparire normalisti, dove poliziotti, soldati e funzionari pubblici mentono e torturano per cancellare le tracce delle scomparse, dove le istituzioni dello Stato si allineano per sostenere la menzogna.
Un mese e mezzo dopo quella colazione, l’Esercito continuava a mentire senza consegnare tutti i documenti del caso. È stato effettuato il mediatico arresto dell’ex procuratore (ora tornato a casa a Lomas), è stato pubblicato un rapporto segreto e apocrifo della COVAJ che, con screenshot falsificati, dava per chiusa la narrazione dei fatti, si è costretto le famiglie a riascoltare una narrazione falsa e orribile sul destino dei loro figli, è stato rimosso il pubblico ministero speciale a capo del caso e, poco dopo, tutto il suo team, e sono state annullati 21 ordini di arresto contro militari e altri funzionari pubblici, per poi riemetterne 18.
Nell’ottobre 2022, due dei quattro membri del GIEI si sono dimessi in segno di protesta. A luglio 2023, gli altri due hanno pubblicato un sesto rapporto e sono andati via dal paese denunciando le intromissioni politiche nel caso, le menzogne dell’Esercito e l’impossibilità di continuare a indagare. La UEILCA è stata messa nelle mani di un uomo di tabasco, amico del presidente, senza esperienza in casi di scomparizione forzata né diritti umani, che si è dedicato a convocare corsi di danza negli uffici della procura. La COVAJ è rimasta nell’oblio, delegittimata. Dalle sue conferenze stampa mattutine, il presidente ha sostenuto le menzogne dell’esercito e insultato il GIEI, l’ex pubblico ministero speciale e gli avvocati delle famiglie dei 43 studenti scomparsi.
Il 27 agosto 2024, nove anni e undici mesi dopo quella mattina infame in cui i loro figli non tornarono da Iguala, la maggior parte dei padri e delle madri dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa si sono alzati dal tavolo e hanno dato per terminata la loro relazione con il governo di Andrés Manuel López Obrador. La soglia, ancora una volta, si è chiusa.
Un modo per capire l’ardore con cui adesso due governi suppostamente agli antipodi hanno mentito e continuano a mentire in ogni occasione possibile riguardo i fatti che hanno portato alla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa è che quella notte si è aperto il portale che conduce all’altra dimensione ed è lì che si è rivelato il volto nascosto dello Stato.
Passare alla storia
Una cosa sarebbe tentare di risolvere il caso e fallire: sottovalutare il potere dell’omertà di chi protegge le relazioni tra le forze di sicurezza, la procura di giustizia e il traffico internazionale di sostanze illecite. Una cosa sarebbe non dedicare le risorse necessarie all’indagine, non dare il giusto supporto agli investigatori, non rendersi conto della complessità del caso, né il grado di complicità di persone ancora attive in istituzioni vicine all’attuale governo. Una cosa sarebbe fallire.
Ma non è quello che è successo. Con il caso Ayotzinapa, il governo di Andrés Manuel López Obrador ha fatto qualcosa di molto diverso: ha cospirato, falsificato e mentito per fermare l’indagine. Ha fatto lo stesso con la Commissione Nazionale di Ricerca. Ha fatto lo stesso con la Commissione per l’Accesso alla Verità, il Chiarimento Storico e l’Incentivazione alla Giustizia delle Gravi Violazioni dei Diritti Umani Commesse dal 1965 al 1990.
Il soldato cileno, Andrés Antonio Valenzuela Morales, per lo meno ha mantenuto la sua parola: ha raccontato ciò che sapeva e così ha spalancato la porta che conduceva alla dimensione sconosciuta della dittatura cilena. In Messico è come se López Obrador avesse detto: “sì, esiste una dimensione sconosciuta e dallo Stato la renderemo nota”, per poi richiudere la porta in faccia a tutta la nazione.
“Passerà alla storia come il presidente che ha tradito la sua parola, ha tradito le famiglie dei desaparecidos, ha militarizzato il paese…”
Nei suoi discorsi all’Hotel Hilton e poi allo Zócalo il 1° luglio 2018, dopo la sua vittoria elettorale, López Obrador ha detto in diversi momenti: “Voglio passare alla storia come un buon presidente del Messico”. E in quelle parole credo sia stato onesto. Ma no. Passerà alla storia come il presidente che ha tradito la sua parola, ha tradito le famiglie dei desaparecidos, ha militarizzato il paese, ha consolidato il potere del suo partito e, come tutti i suoi predecessori del PRI e del PAN, ha salvaguardato soprattutto la dimensione sconosciuta dello Stato messicano.
¡NOS FALTAN 43!
Cosa succede a Xochimilco?
Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]
Di seguito riportiamo la traduzione di Acento, ideas para el combate un bollettino mensile di Tejiendo Organización Revolucionaria (TOR) dove ci presentano “un mosaico di fonti e riferimenti per affrontare i problemi del nostro tempo da una prospettiva rivoluzionaria. Di fronte al rumore dei media e alla velocità travolgente dei social network, proponiamo di fare una pausa e di porre l’accento sulla costruzione di teoria per la lotta per la vita e contro il capitalismo”. In Quest’occasione abbiamo deciso di tradurre e pubblicare il numero di Giugno 2024 in quanto risorsa preziosa e ricca di spunti per approfondire la questione del crimine organizzato, della militarizzazione del territorio e delle conseguenze che hanno sulla popolazione locale. Continua la lettura di Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]
Educazione autonoma in Messico [ARCHIVIO – PDF]
Quaderni della complicità globale – #1
Educazione autonoma in Messico – Chiapas e Oaxaca
REWIND – TRA LUCE ED OMBRA[ARCHIVIO – PDF]
REWIND (Novembre – Dicembre 2013)
TRA LUCE ED OMBRA (Maggio 2014)
Subcomandante Insurgente Marcos
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