NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE – Parte 3 di 3 – Guidxi Rucaalú

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Guidxi Rucaalú

Il soggetto della conoscenza storica è la classe oppressa stessa mentre lotta, afferma la dodicesima tesi sulla storia di W. Benjamín. Effettivamente, cosa sarebbe di questa regione contesa dagli interessi geopolitici dei finqueros, senza quelle donne e quegli uomini che non si sono messi ad aspettare che questa -nostra- generazione li ringraziasse per le proprie azioni, ma che hanno lasciato nella memoria il ricordo del fatto che furono abbattut*, perseguitat* e minacciat* per difendere Layú Nabee.

Nella Sierra di Santa Marta si conserva la memoria della ribellione di Acayucan (1906). Una sollevazione dove i popoli nahua insieme ai e alle tannundajïïyi (popolucas) affrontarono la riorganizzazione territoriale, che aveva portato alla speculazione e al saccheggio su più di 80mila ettari di terra per la costruzione di linee ferroviarie nel loro territorio. Al contrario di quanto racconta la storia ufficiale, le nostre sorelle nahua e tannundajïïyi difesero il proprio territorio insieme ai membri del Partito Liberale Messicano. E sapevano che la difesa del territorio non poteva essere slegata dal momento storico, l’impulso e la vittoria della rivoluzione politica e economica che il PLM predicò fino alle ultime conseguenze.

Nel frattempo, nelle pianure costiere si sussurra da una generazione all’altra una delle ribellioni più importanti del secolo XIX, che si oppose alla costruzione di una via interoceanica che implicava l’esproprio dei terreni, in possesso ai popoli della regione, così come la privatizzazione delle saline come pagamento ai prestiti che finanziarono la guerra contro la Francia. Questa ribellione non si trova nella storia ufficiale, ma nella memoria della lotta guidata da Che Gorio Melendre trasmessa attraverso la storia e la memoria orale.

A Juchitán, ancora si ricorda di bocca in bocca del movimento che lottò per recuperare le terre comunali, che si trovavano nelle mani dei proprietari terrieri; si conserva nella memoria il continuo recupero delle saline e la lotta storica per la nomina di autorità agrarie, che portò alla presa del potere municipale grazie alla dura mobilitazione della popolazione, il che significava in primo luogo la volontà popolare di auto-organizzare le proprie comunità. Come dimenticare quegli anni ’70 che segnarono la vita di uomini e donne binnizá che oggi si tramandano quei saperi di generazione in generazione.

Nuovamente, la storia che il potere cerca di negare. Non possiamo dimenticare l’incontro nel quale si sono dati appuntamento oltre 30 comunità, ejidos, ikoots e angpon (zoque), nella comunità di Matías Romero. Li si riunirono queri soggetti che fanno parte della storia, la nostra storia, per analizzare e trovare le forme e i modi di combattere il megaprogetto di Zedillo “Programa Integral de Desarrollo Económico para el Istmo de Tehuantepec”, lo stesso che oggi è stato riciclato con un nuovo nome e un nuovo capataz. Da quel 1997 in cui i popoli riuniti a Matías Romero dichiararono che “L’istmo è nostro” non dei governi nè delle imprese.

Forse l’oblio è una qualità del nuovo capataz e dei suoi seguaci. Ma che sarebbe di noi senza questa memoria che deve riconoscere che siamo popoli con una storia? Che sarebbe del nostro presente se dimenticassimo quella battaglia affrontata dalle nostre sorelle e fratelli ikoots e binnizá? Il 2012 fu lo scenario di quel combattimento che i nostri popoli affrontarono, contro quello che pretendeva essere il più grande parco di produzione di energia eolica in Latinoamerica, spinto dai governi di Calderon e di Peña Nieto in complicità con la multinazionale Mareña Renovables (con capitali spagnoli, olandesi e giapponesi). Che sarebbe adesso delle lagune superiori e inferiori, sacre per chi si dipana lungo i litorali, senza la dura lotta intrapresa dai popoli di mare e vento contro uno dei più grandi investimenti del capitalismo verde.

Questa non è l’intera storia di chi ha lasciato un’impronta nelle conoscenze storiche di Layú Nabee, sono solamente frammenti di varie memorie che come donne, uomini e otroas abbiamo custodito di generazione in generazione. Rendere nostro il passato non significa conoscerlo per come è stato realmente, farlo nostro “significa appropriarsi di un ricordo così come questo riluce in un istante di pericolo”. Oggi il pericolo risiede nelle orecchie e nei seguaci del capataz, orecchie che diventano sorde ai sussurri di chi ieri affrontò lo stesso mostro che oggi si presenta con un nuovo nome e differenti colori.

Oggi il pericolo è travestito da sinistra e dal suo podio convince i suoi seguaci del fatto che noi popoli indigeni non siamo stati un soggetto storico sotto i passati regimi; oggi il capataz ha fatto credere ai suoi seguaci che la nostra storia inizia con lui; ha voluto rimuovere che come popoli indigeni siamo stati i primi a affrontare il saccehggio; il capataz ha convinto i suoi fedeli che la difesa dei territori inizia con lui alla loro testa ed è garantita dalle sue istituzioni clientelari. Oggi il pericolo minaccia la permanenza e la continuità della memoria, così come chi la accoglie, ciò che ha portato molte e molti a consegnarsi come strumenti per la riproduzione del capataz.

Adesso, più che mai, è necessario strappare la memoria dalle mani del conformismo, perché la memoria viene soggiogata da un palcoscenico ogni mattina. Perché il capataz non solo si presenta come redentore e messia, ma perché pretende concludere come vincitore. Fare nostro il passato è una scintilla di speranza di cui sappiamo approfittare solamente noi popoli, perché se il capataz vince neanche i nostri morti saranno salvi da lui. La scintilla di speranza che ci da la nostra memoria oggi si fa nuovamente presente, perché la coscienza per far brillare il continuum storico di ogni epoca risiede nei popoli indigeni nell’istante della propria azione.

Forse pensava che il silenzio degli oppressi avrebbe regnato durante il suo governo? Senza dubbio, la violenza continua ad essere la sua arma contro le rivendicazioni collettive a cui promise di dare risposta e oggi ha lasciato nell’oblio. Noi popoli che lottammo nel passato siamo gli stessi che portiamo avanti le lotte per il presente ed il futuro. Qui siamo, siamo stati e saremo, resistendo con fermezza, non importa che cambi il capataz, perché sappiamo che i partiti non risolveranno le ingiustizie che storicamente abbiamo sofferto. Senza paura nello sbagliarci, affermiamo che non è esisitita la fine di un’era politica, nè l’inizio di un’altra, ma piuttosto la continuità di un capitalismo depredatore.

Oggi, la scintilla di speranza agisce, parla e pensa in ayuujk con il machete in mano, cacciando in oltre trenta occasioni l’azienda “La Peninsular” del Grupo Hermes, che si è aggiudicata l’appalto per la “modernizzazione” di 50 km di ferrovie del FIT nel tratto che attraversa il territorio di chi abita nella zona nord di Layú Nabee. Quella stessa scintilla è presente al sud dove le donne binnizá difendono il proprio territorio in nome del totopo [tortilla di mais fritta ndt], del mais e del vento, dall’azione e riflessione in diidxazá contro l’istallazione di cluster agroindustriali, tessili e metallurgici di oltre 400 ettari, che pretenderebbero erigere sulle loro montagne del Pitayal.

Ma per far saltare il continuum di questa epoca sarà necessaria la solidarietà di tutt* coloro che abitiamo questo territorio e di chi, da differenti geografie ascolta i nostri sussurri. Perché anche se ci troviamo geograficamente disperse, dispersi e dispersoas, in un mondo interconnesso dal Capitalismo, lo Stato e il Patriarcato, tutto ciò che attanaglia un territorio strategico geograficamente colpisce altre regioni del globo.

Se loro interconnettono il mondo per il saccheggio e l’accumulazione di capitale, noi dobbiamo interconnettere i nostri mondi per la resistenza.

In questo Treno chiamato “Quarta Trasformazione” con i suoi vagoni chiamati “Corridoio Internoceanico dell’istmo di Tehuantepec” e “Tren Maya”, è il momento di incontrarci non per tirare il freno d’emergenza a questo Treno, ma per generare le condizioni che demoliscano le stazioni del treno. E in questo senso, essere i popoli indigeni, insieme alla solidarietà dei nostri fratelli e sorelle dei molti mondi che trovano posto in questo mondo, i protagonisti della storia.

È per questo che, CONVOCHIAMO nazioni, tribù, popoli, comunità, organizzazioni e collettiv* indigeni, sociali, popolari, media liberi e come si definiscano e a tutt* coloro che lottano e resistono a Oaxaca, Messico e nel mondo a collaborare, appoggiare e partecipare alla Carovana e Incontro Internazionale “EL SUR RESISTE” da realizzarsi nei territori minacciati dai megaprogetti del Corridoio Interoceanico e del Tren Maya, nella primavera del 2023, con l’obbiettivo di riconnetterci dopo tre anni di pandemia e articolare le nostre esperienze, i nostri sentire, forme di lotta e resistenza. Questa chiamata è estemporanea e urgente, di fronte alla devastazione, al saccheggio e l’esproprio che sta avvenendo in questo momento, mentre l’orologio del giudizio finale continua a correre e le conseguenze della crisi climatica impattano sui nostri territori.

Per questo realizzeremo e inviteremo a riunioni di preparazione, organizzazione e articolazione nei diversi territori del Messico e del Mondo, e per questo invitiamo ad essere attenti delle prossime chiamate, sussurri e passi da fare tra tutt*.

Senza dubbio sono di più le vene che ci uniscono,

che le crepe che ci dividono,

da Layú Nabee questa è la nostra parola:

 

Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio – APIIDTT

P.S. Oltre il 60% di astenzione alle elezioni del governatore di Oaxaca. Avete sentito?

È il suono del loro mondo che crolla. È quello del nostro che risorge e fiorisce.

Nella ritirata dalle urne costruiamo resistenza.

Traduzione collettivo Nodo Solidale

Link al comunicato originale:

NO HABRÁ PAISAJE DESPUÉS DE LA TRANSFORMACIÓN: Guidxi Rucaalú

PARTE 1 di 3- Layu Bee

PARTE 2 di 3 – La Corsa all’Istmo di Tehuantepec