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ALLE MADRI, AI PADRI E ALLE FAMIGLIE BUSCADORAS DI JALISCO E DI TUTTO IL PAESE

LETTERA DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, DEI GRUPPI, DEI COLLETTIVI, DELLE ORGANIZZAZIONI, DEI MOVIMENTI E DELLE PERSONE DEL MESSICO E DEL MONDO E DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE ALLE MADRI, AI PADRI E ALLE FAMIGLIE BUSCADORAS DI JALISCO E DI TUTTO IL PAESE

Alle madri, padri e alle famiglie buscadoras di Jalisco e di tutto il Messico,

A Tutt@ coloro che cercano chi ci manca.

Dal colore della terra che siamo, il Congresso Nazionale Indigeno e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, insieme alle organizzazioni, ai collettivi e alle persone che hanno deciso di firmare questa lettera, con dolore e rabbia facciamo nostro il lutto che inonda le campagne e le città per le oltre 124mila persone scomparse; e con rispetto ci rivolgiamo a tutti coloro che cercano instancabilmente tra la morte coloro che il potere criminale che governa questo Paese ci nasconde.

Ci rivolgiamo a coloro che non chiedono il permesso di esistere, perché la loro esistenza è resistenza. Non chiedono perdono perché cercano, perché nella loro ricerca c’è la verità che il sistema vuole nascondere, perché ci troviamo di fronte a un nemico che non solo vuole la nostra vita, ma anche il nostro futuro.

Condanniamo la campagna diffamatoria e la criminalizzazione portata avanti all’unisono da governi corrotti e gruppi criminali contro le madri, i padri e le famiglie; una campagna che mira a generare le condizioni per la repressione da parte dei governi o dei loro narco-paramilitari, capaci di generare crimini contro l’umanità come l’orrore del crematorio clandestino di Teuchitlán, Jalisco, che, comunque vogliano chiamarlo per cercare giustificazioni criminalizzando le vittime, è un centro di sterminio al servizio del capitale sostenuto e protetto da coloro che pretendono di governare questo Paese. Osserviamo con indignazione come questa strategia di screditamento e criminalizzazione sia simile a quella che i militari e il governo federale hanno sperimentato negli anni precedenti contro le madri e i padri dei 43 di Ayotzinapa ed i loro consulenti, un’altra ferita aperta, un altro inferno scatenato da questo narco-stato.

Noi, il popolo, vediamo come i cartelli criminali e i loro gruppi armati, in particolare il Cartello Jalisco Nueva Generación, sono protetti dai governi; come viene loro garantita l’impunità e il sostegno da parte di pubblici ministeri, giudici e forze di pubblica sicurezza, compresi i militari. Questi cartelli sono anche gli invasori agrari, sono le guardie delle miniere, dei parchi eolici, sono quelli che vendono l’acqua dei villaggi, che realizzano opere pubbliche e amministrano municipi, regioni e stati interi, che scommettono sulla privatizzazione della terra e le mettono un prezzo, sono quelli che dividono e mettono a confronto le nostre comunità, quelli che inondano di droga i territori indigeni, che rubano legnami pregiati, che gestiscono il traffico di esseri umani, sono i capoccia del lavoro schiavizzato nelle maquiladoras e nelle industrie agroalimentari, sono quelli che fanno della morte di bambini e giovani la loro strategia di espansione.

La violenza in cui oggi viviamo per rendere possibile tutto ciò che il cosiddetto governo di sinistra chiama sviluppo, quattro t o quattro lettere, l’abbiamo sperimentata solo nelle guerre sanguinose a cui siamo sopravvissuti. I mercenari al servizio del capitalismo avanzano imponendo un mondo governato dal denaro e dalla morte. I campi di sterminio, i paramilitari, le forze armate ed i corpi di polizia fanno tutti parte dello stesso meccanismo che espropria, uccide e fa sparire le persone.

Davanti a questo inferno e in nome di coloro che ci mancano, in nome della dignità e del coraggio che ci dimostrano i collettivi delle madri, dei padri e delle famiglie buscadoras, alziamo la voce e la memoria, chiedendo conto allo Stato messicano, alle sue istituzioni e agli interessi capitalistici che lo sostengono di qualsiasi danno arrecato alle madri, ai padri e alle famiglie buscadoras. La loro lotta è la nostra lotta perché in essa c’è la difesa della vita, della terra e dell’autonomia che sono le radici della speranza collettiva.

Sorelle e fratelli delle famiglie buscadoras, dei gruppi instancabili di madri e padri:

Siamo popoli indigeni che abitano la terra che sanguina.

Ascoltiamo il vento che urla il dolore e onoriamo il fuoco della candela che con la speranza non si spegne e disegna i nomi di coloro che sono stati portati via.

Perché chi cerca non è silenzio, è seme.

Non è lacrime, è memoria.

Non è sconfitta, è orizzonte.

Perché in ogni passo, in ogni grido, in ogni mano che si unisce, c’è un mondo sacro che nasce, che trasforma il lutto in lotta e costruisce, dal basso, verità e giustizia.

Invitiamo i popoli originari, le comunità in resistenza e la società consapevole ad alzare la voce e la memoria diffondendo dichiarazioni, realizzando azioni, murales, cerimonie ed eventi per chiedere giustizia. Perché nel ricordo dei nostri desaparecidos c’è il seme di un mondo nuovo, dove il capitale non governi, dove la vita valga più del denaro e dove le persone prosperino libere.

Per chi non c’è, per chi cerca, per chi resiste!

Vivi li hanno presi, vivi li rivogliamo!

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli!

Mai più un Messico senza di noi!

Messico:

Congreso Nacional Indígena

Agrupación Un Salto de Vida/ Jalisco

Ambientes Justos AC/ Jalisco

AMH/Veracruz

AMJI (Agrupación Mexicana de Judíes Interdependientes)/ CDMX

Antimonumenta Glorieta de las Mujeres que Luchan/CDMX

Antsetik ts’unun/ Chiapas

Asamblea de la Comunidad Indigena Binniza de Puente Madera/ Oaxaca

Asamblea de la Comunidad Indigena Chontal El Coyul/ Oaxaca

Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio – APIIDTT/ Oaxaca

Asamblea de Pueblos en Resistencia/ Jalisco

Asamblea General Permanente del Pueblo de San Gregorio Atlapulco/ CDMX

Asamblea Nacional por el Agua y la Vida

Asociación De Exploración Científica Y Recreativa Brújula Roja

Batallones Femeninos

Biblioteca comunitaria ambulante de Comachuen/ Michoacán

Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer, E.M. A.C./ CDMX

Brigada Cigarra/Jalisco

Brigada Dr. Ignacio Martín-Baró/ Jalisco

Brigada Ricardo Flores Magón/ Baja California Sur

Brigadas Emiliano Zapata de México (BEZ-MÉX)

Café filosofico ¿Qué piensas tú?/ Jalisco

Café Zapata Vive/ CDMX

Casa obrera de Tlaxcala/ Tlaxcala

Cátedra Jorge Alonso/ Jalisco

CDH Fray Bartolomé de Las Casas/ Chiapas

Cecomún, Centro de comunicación popular y acción colectiva/ CDMX

Célula Ana María Hernández. Partido de los Comunistas/Veracruz

Centro de Derechos Humanos – Espacios para la Defensa, el Florecimiento y Apoyo Comunitario (CDH-ESPADAC)/ Oaxaca

Centro de deŕechos humanos de los pueblos del Sur de Veracruz Bety Cariño/ Veracruz

Centro de Derechos Humanos LibrAdo RiverA SLP/ San Luis Potosí

Centro de Investigación en Comunicación Comunitaria A.C./México

Coalición de Ejidos de la Costa Grande Guerrero/ Guerrero

Colectiva Mujeres Purépecha/ Michoacán

Colectiva Mujeres que Luchan por la Vida/ Veracruz

Colectiva Rojo Amanecer/ Veracruz

Colectividad Nuestra Alegre Rebeldía/ Morelos

Colectivo 16 de Octubre-Calpulalpan/ Tlaxcala

Colectivo Callejero

Colectivo Chicuarotes Icnohuan/ CDMX

Colectivo Criptopozol+ DDHH/México

Colectivo Cuaderno Común

Colectivo culturAula

Colectivo de Grupos de la Asamblea de Barrios de la Ciudad de México (CG-ABCM)

Colectivo de Prácticas Narrativas

Colectivo De Profesorxs En La Sexta

Colectivo De Trabajo Cafetos

Colectivo Epistémico de Teoría Crítica COLEPI/Chihuahua

Colectivo Gavilanas

Colectivo Híjar/ CDMX

Colectivo Inlakech

Colectivo La Otra Calle/ Jalisco

Colectivo La Otra Justicia/ CDMX

Colectivo Las Abejas/ Querétaro

Colectivo Llego la hora de los pueblos

Colectivo Luciérnagas que Siembran/ CDMX

Colectivo Mochosbij en común/ Chiapas

Colectivo Panadero La Grieta

Colectivo Renovador Estudiantil Autónomo- UNAM/ CDMX

Colectivo Tierra y Libertad, Cuautla/ Morelos

Colectivo Transdisciplinario de Investigaciones Críticas – COTRIC

Comité Agua y Vida del Antiguo Valle de Xuchitlán/ Jalisco

Comité de Acompañamiento Escolasticas/ Querétaro

Comité de Lucha de la Escuela Superior de Economía (CLESE)/ CDMX

Comité de mujeres Chiapas Kurdistán

Comité Nacional para la Defensa y Conservación de Los Chimalapas/CDMX

Compas Arriba – Medios Libres/ Veracruz

Comunidad De Tlanezi Calli En Resistencia

Comunidad De Xochitlanezi/ CDMX

Comunidad Indígena Nahua CNI Milpa Alta/ CDMX

Comunidad Indigena Otomi Residente en la CDMX

Concejo Autónomo de Santiago Mexquititlán Amealco Querétaro/ Querétaro

Concejo de Mujeres Autónomas de la APIIDTT (COMAA)/ Oaxaca

Concejo Indígena de Xonacatlan/ Jalisco

Concejo Indígena y Popular de Guerrero Emiliano Zapata CIPOG-EZ/ Guerrero

Conciencia y Libertad/ CDMX

Cooperativa Vacaracol

Coordinadora común contra el porrismo y la represión + Komunidad Autogestiva Organizada Subversiva / CDMX

Coordinadora de Colonias de Ecatepec/ Estado de México

Cordinación Metropolitana Anticapitalista y Antipatriarcal con el CIG (CMAA)/México

Criptopozol + DDHH

Cuerpos parlantes_espacio feminista/Jalisco

Ddeser Jalisco

Edurne Beristain/ Jalisco

El Tekpatl periódico crítico y de combate/ Puebla

Escuela Autónoma Otomi/ CDMX

Espacio cultural educativo Tikosó/ Guerrero

Espacio de coordinación Grietas en el Muro/ CDMX

Espacio de Lucha contra el Olvido y la represión (ELCOR)/ Chiapas

Espacio de Mujeres de la Sexta Jovel/ Chiapas

Fanzinoteka Guerra Idealista/ Puebla

Frente Antifascista No-Binarie/ CDMX

Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala

Frente del Pueblo Resistencia Organizada/ CDMX

Frente en Defensa del patrimonio San Andrés Totoltepec/ CDMX

Grabados para la búsqueda/Jalisco

Grabados por la memoria/Jalisco

Grupo de La Puerta/Puebla

Grupo de Trabajo No Estamos Todxs/ Chiapas

Guardia Comunal Santa Ana Tlacotenco/CDMX

Guerrerxs sin fronterxs/ México-Estados Unidos

Hij@s del Maíz/ Tlaxcala

IALA Sierra Norte de Puebla

ILANCUEITL danza de las Tlacualeras/ CDMX

Instituto Cultural Autónomo Rubén Jaramillo Ménez/ Morelos

Instituto de Investigaciones Pedagógicas A.C./ CDMX

Judíxs por una Palestina Libre (JPL)/ CDMX

Juventud comunista de México

La Flor Periódico In Xóchitl in Cuicatl/ Puebla

La Komunidad Autogestiva Organizada Subversiva/ CDMX

La Otra en el Sur de Morelos

La voluntad del pueblo – Xochimilco/ CDMX

La Voz de Anáhuac – Sexta en Rebeldía

Liberteatro in yolotl/ Jalisco

Los Zurdos Teatro/ Estado de México

Maderas del Pueblo del Sureste A.C/ Oaxaca

Masewales en resistencia y rebeldía/CDMX

Mazatecas por la Libertad/ Oaxaca

Mexicali Resiste/ Baja California

Mexicanos Unidos

Morada Tropikal El Teatrito Yucatán

Movimiento Agrario Indígena Zapatista/ Puebla- Oaxaca

Movimiento de Muralistas Mexicanos

Mujeres Tierra/ Baja California

Mujeres Transformando Mundos/ Chiapas

Mujeres y la Sexta

Nawal del Arrabal/ CDMX

Nodo de Derechos Humanos – NODHO (Puebla)

Observatorio Memoria y Libertad/ CDMX

Ocotenco-Kuautlali

Organización Campesina de la Sierra del Sur Tepetixtla/ Guerrero

Organización Político Cultural CLETA/CDMX

Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente/ CDMX

Partido de los Comunistas

Proceso de articulacion de la Sierra de Santa Marta/ Veracruz

Pueblos Unidos de la Región Cholulteca y de los Volcanes/ Puebla

Que aparezca. Centro Voluntaries Junax/ Chiapas

Radio comunitaria Zacatepec/ Puebla

Radio Zapatista Sudcalifroniana/ Baja California Sur

Radio Zapote/ CDMX

Raíces en Resistencia

Raices en resistencia/ CDMX

Red De Apoyo Iztapalapa Sexta (Rais) Y Colectivos Que La Integran/ CDMX

Red de Resistencia y Rebeldía Ajmaq/ Chiapas

Red de Resistencia y Rebeldía en apoyo del CNI-CIG del Puerto de Veracruz

Red de Resistencia y Rebeldía Querétaro

Red de Resistencia y Rebeldia Tlalpan/ CDMX

Red Latinoamericana de Mujeres Defensoras de Derechos Sociales y Ambientales/ Jalisco

Red Mayense de Guardianas y Guardianes de Semillas/ Yucatán

Red Mexicana de Trabajo Sexual/CDMX

Red Morelense de Apoyo al CNI-CIG

Red Universitaria Anticapitalista/CDMX

Redmycz (Resistencias enlazando dignidad movimiento y corazón zapatistas)/ CDMX

Regeneración Radio/CDMX

Resiste Radio (Radio Comunitaria)/ CDMX

Resistencia Chinampera/CDMX

Resistencias Enlazando Dignidad-Movimiento y Corazón Zapatista

Resistrenzas Puebla

Retoño Rojo/ CDMX

Rizoma

Sangre de mi Sangre Zacatecas

Sexta por la libre Yucatán

Sociedad Agricola Ganadera El Coyul/ Oaxaca

Somos Abya Yala

Sueña Dignidad/ Estado de México

Tejiendo luchas

Tejiendo Organización Revolucionaria/ CDMX

Texthilo/ CDMX

Tlapaltik B’e cooperativa/ Puebla

Una mirada al centro del corazón Zapatista/ Estado de México

Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo. UCIZONI/ Oaxaca

Unión de Organizaciones de la Sierra Juárez Oaxaca, S. C.

Unión de pueblos cholultecas/ Puebla

Unión Popular Apizaquense Democrática Independiente/ Tlaxcala

UPREZ-Benito Juárez/ CDMX

Venas Rotas Discos/ CDMX

Vendaval, cooperativa panadera y algo más/CDMX

Voices in Movement

Yocoyani A. C./ Jalisco

Internazionali:

1936 Autogestion/ Argentina

20ZLN/ Italia

Abya Yala Rompe el Cerco/ Abya Yala

Alianza de Autonomías Colectivas (CAA)/ Finlandia

Asamblea de Mujeres y Disidencias del Movimiento por el Agua y los Territorios MAT/ Chile

Asamblea de Solidaridad con México del País Valenciano/ España

Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate Zapatista/ Grecia

Asambleas de Solidaridad con lxs Zapatistas/ Francia

Associazione Ya Basta! Êdî Bese!/ Noreste de Italia

Batec Zapatista/ España

Canasta Solidaria Mihuna Kachun/ Perú

Centro de Documentación sobre Zapatismo (CEDOZ)/ Madrid

Chiapasgruppa LAG Noruega

Colectiva corazón del tiempo/ Argentina

Colectivo Armadillo Suomi/ Finlandia

Colectivo Calendario Zapatista/ Grecia

Colectivo LA Resistencia/ Estados Unidos de Amèrica

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo/ Italia

Confederación General del Trabajo (CGT) ESP/ España

Cooperazione Rebelde Napoli/ Italia

Eagle Condor Liberation Front/ Estados Unidos de América

Flor de la palabra – Collectif de traduction francophone de la Sexta/ Europa

Foro Internacional, Grupo México/ Dinamarca

Frankfurt International/Alemania

Furia Mexicana, colectiva antirracista/ Barcelona

Groupe CafeZ/ Belgica

Gruppe BASTA/Alemania

Hebraria Taller de Resistencia Textil (y textual)/ Argentina

La Chispa Prensa/ Argentina

Las Olas de Rebeldía/ Suiza

London Mexico Solidarity/ Reino Unido

Lumaltik Herriak/ Pais Vasco

Mirrors of the Global South / Espejos del Sur Global

Mujeres y disidencias de la sexta en la otra Europa y Abya Yala/ La Otra Europa

Mujeres y la Sexta – Abya Yala/ Abya Yala

Museo de Formas Imposibles (MIF)/ Finlandia

Nodo Solidale/ Italia

Red de Solidaridad con Chiapas de Buenos Aires/ Argentina

Red Sexta Grietas del Norte/ Estados Unidos de América

Schools for Chiapas/Escuelas para Chiapas/Estados Unidos de América- Chiapas

Somos Abya Yala

Taula per Mèxic/ España

Voces de Guatemala en Berlín/ Alemania

Y Retiemble, espacio de apoyo al EZLN y al Congreso Nacional Indígena (México) desde Madrid

Ya Basta Netz/Alemania

Individuali:

Adriana Zumaya/ CDMX

Alberto Colin/ México

Alberto Coria Jiménez/ Estado de Mèxico

Alejandra Hernández Bocanegra/ México

Alejandro Torres/ México

Alexandros Iliopoulos/ Grecia

Alexis Bernáldez/CDMX

Alfonso Leija Salas/ Morelos

Alina de Taranto/ CDMX

Alma Castro Rivera/ Baja California Sur

Alma Delia Mancilla/ Jalisco

Alma Ileana May/ Yucatán

Álvaro Salgado Ramírez/Guanajuato

Ana Fernanda López Serrano/ CDMX

Ana/ Chile

Andrea Iris Hernández Cárdenas/ Jalisco

Angélica Ramos/ Jalisco

Anna Lagonikou/ Grecia

Antonio Ramírez Chávez/Jalisco

Ariel Segura

Armando Gomez/ México

Armando Soto Baeza/ CDMX

Arturo Landeros/ Barcelona

Atahualpa Sofia Enciso/ Jalisco

Beatriz Lumbreras/ California

Beatriz Vela/ Jalisco

Bego Kapape/ Euskal Herria

Blanca Ibarra/ México

Blanca Ruiz/ CDMX

Brenda Ramírez/ Jalisco

Carlos Andrade/ CDMX

Carlos Manzo/ Oaxaca

Cassandra Cárdenas Pimentel/ CDMX

Ceci Péres Péres/ Puebla

Cecilia Candelaria/ CDMX

Cecilia María Salguero/ Argentina

Celeste Cruz/ CDMX

Cirio Ruiz González/ Veracruz

Claudia Fausti/ Argentina

Claudia Ledesma/ CDMX

Cora Jiménez Narcia/ CDMX

Cristina Vargas Bustos/ Morelos

Cybèle David/ Francia

Dainzú González/ Jalisco

Daniel Giménez Cacho/ CDMX

Dante Aguilera Benitez/ Sinaloa

David Barrios Rodriguez/ CDMX

David Flores Magón Guzmán/ Jalisco

David Jiménez/ Puebla

Deborah Dorotinsky/ CDMX

Diana Itzu Gutiérrez Luna/ Chiapas

Diana Jaqueline Ruiz Rodriguez/ San Luis Potosí

Diego García/ CDMX

Dolores Heredia/ La Paz, BCS

Dr. Gilberto López y Rivas/ Morelos

Dra Alicia Castellanos Guerrrero/ Morelos

Edgar A. Espinoza/ México

Efraín Rojas Bruschetta/ Puebla

Eloisa Torres/ Estado de México

Emilio Soberanes/ CDMX

Enrique Ávila Carrillo/ CDMX

Enrique Encizo Rivera/ Jalisco

Enrique Rajchenberg/ México

Estrella Karnala/ CDMX

Eva Nelly Chaire Mendoza/ Jalisco

Evgenia Kouniaki/ Grecia

Fabiana Bringas/ Argentina

Felipe I Echenique March/ México

Fernando Bedolla/ Jalisco

Fernando Espinal/ México

Fernando Guzmán/ Querétaro

Fernando Villegas/ Estado de México

Fiama/ Jalisco

Fidel Bolteada Cabañas/ Hidalgo

Filiberto Margarito Juan, Concejal CNI-CIG/ CDMX

Francisca Urias Hermosillo/ CDMX

Francisco Barrios “El Mastuerzo”/ México

Francisco Pérez/ CDMX

Gabriel Ek Cohuo/Yucatán

Gabriela Arroyo Morales/ CDMX

Gabriela Núñez/ CDMX

Gabriella Piccinelli/ Mèxico

Gerardo/ CDMX

Gilberto Piñeda Bañuelos/ Baja California Sur

Gorki Cuauhtemoc Buentello Pastrana/ Morelos

Graciela González Torres/ Jalisco

Guillermina Guía/ Argentina

Héctor Adrián Ramos López/ Jalisco

Héctor Tomás Zetina Vega/ Morelos

Hermax Rubén Román Suárez/Chiapas

Homero Avilés/ Baja California Sur

Humberto González Galván/ Baja California Sur

Iara/ España

Irma García Bautista/ CDMX

Israel Pirra/ Chiapas

Itzamna Hernández / CDMX

Iván Rincón Espríu

Ivan/ Tlaxcala

Jaime Diaz Díaz/Chile

Jaime Martínez Díaz/Hidalgo

Jaime Velasco/ Veracruz

Jenny Red/ CDMX

Jessica Trejo/ CDMX

Jesús Andrade Reyes/ Chiapas

Jesus Armando Jiménez Gutiérrez/ Chihuahua

Joel Alvarado Velasco/ México

Jorge Salinas Jardón/ CDMX

José Alejandro Barón Hernández/ Jalisco

Jose Antonio Huerta Meza/ Jalisco

José Antonio Olvera Llamas/ Morelos

José Luis Jiménez/Veracruz

Juan Carlos Etchegaray/ Argentina

Juan Carlos Rulfo/ México

Juan Trujillo Limones/ México

Juan Wahren/ Argentina

Julie Ferrua y Murielle Guilbert/ Francia

Julieta Egurrola/ CDMX

Julieta Flores/ México

Karla Edna García Rocha/ Mèxico

Katia Reyes/ México

Lena García Feijoo/ México

Leticia Miranda Firo/ Estado de México

Lia Pinheiro Barbosa/ Brasil

Lili Ruiz Iñiguez/Jalisco

Lilia Bocanegra/ México

Lilia G. Torres/ CDMX

Lizzet M.

Lizzet M./ Estado de México

Luciana Kaplan/ CDMX

Luis de Tavira/ CDMX

Luis Vidal Canul Vela/México

Lupa Serra/ Francia

Luz María Reyes Huerta/ Veracruz

Ma. Tiburcia Cárdenas Padilla/ Jalisco

Magos Rebelde/ CDMX

Malisa/Zacatecas

Manuel Rozental/ Colombia

Marcela Alejandra Mourenza/ Argentina

Margara Millan/ Morelos

María Antonia Oviedo Mendiola/ Oaxaca

María Blanco/ Perú

María del Carmen Martínez Genis/ Michoacàn

María Elena Aguayo Hernández/ CDMX

María Estela Barco Huerta/Chiapas

María Inés Roqué/ CDMX

Maria M. Caire/ Oaxaca

María Minera/ CDMX

Mariana Itzel/ Alemania

Marisa Yáñez Rodríguez/ Jalisco

Marisela López/CDMX

Martin Méndez Bustamante/ CDMX

Mauricio Villa/Baja California

Michelle Escobar/CDMX

Mireya Martinez Velasco/CDMX

Miria Gambardella/ Italia

Miztlitzin/ CDMX

Nadia Bautista/ CDMX

Natalia Beristain

Neptalí Monterroso Salvatierra/México

Nicolás Falcoff/Argentina

Nikos Arkoulis/ Alemania

Nohemi Catalina López Mendoza/Jalisco

Nora Tzec-Caamal/ México

Norte a 2/ Estado de México

Nuria/ CDMX

Obeja Negra/ Mèxico

Olar Zapata/ CDMX

Omar Felipe Giraldo/ Yucatán

Omar Martínez González/ Veracruz

Oralba Castillo Najera/ Morelos

Óscar García González/ CDMX

Patricia Borrego Cadena/ Chiapas

Pau Joseph/ España

Paulina Gutiérrez Jiménez/ CDMX

Paulino Alvarado Pizaña/ Puebla

Pedro Chávez Gómez/ Jalisco

Pedro D Mireles/ Texas

Pedro de Tavira Egurrola/ CDMX

Pedro Faro/ Chiapas

Peter Rosset/ Chiapas

Petra/ Alemania

Phidel Cedillo Martínez/ Veracruz

Polo Castellanos/ México

Profa Martha Lechuga/ México

Rafael Montero/ Chiapas

Raúl Pérez Ríos/ CDMX

Raúl Zibechi/ Uruguay

Raymundo Hernández/ México

Rebeca Nuño/ Jalisco

Roberto R. Contreras/ CDMX

Rosa/ CDMX

Sacni Acosta/ CDMX

Sandra Estrada Maldonado/ Guanajuato

Saul Cárdenas Bautista/Hidalgo

Señor Click/ Puebla

Sergio Araht/ Jalisco

Sergio Marcos IK/ CDMX

Sofia Arroyo

Sophie Alexander-Katz/ México

Stefanie Weiss Santos/ CDMX

Stephany Hernández/ Jalisco

Sury Cortés/Veracruz

Teresa de Hostos Olivar/ Puerto Rico

Teresa Roldán Soria/ Querétaro

Tito Fernando Piñeda Verdugo/ Baja California Sur

Ursula Pruneda/ CDMX

Valentina Leduc/ México

Valeria Sbuelz/ Argentina

Verónica Ferreyra/ Argentina

Veronica Gelman/ Argentina

Verónica Híjar González/ CDMX

Verónica M. Marín Martínez/ Jalisco

Verónica Meza Beltrán/ Jalisco

Vilma Rocío Almendra Quiguanás/ Colombia

Xóchitl Leyva Solano/ Chiapas

Yolanda Abrajan/ CDMX

Yolanda NM/ CDMX

Yumico K. Veliz Zepeda/ Jalisco

Ze Kreto/ CDMX

Zitla Violenta/Puebla

Ejército Zapatista de Liberación Nacional

L’anomalia della guerra in Messico

I dati della fabbrica del terrore

Il 5 marzo il collettivo “Guerreros Buscadores de Jalisco” scopre qualcosa che innalza il livello della crudeltà del potere in Messico: un campo di sterminio del Cartel Jalisco Nueva Generación, uno dei cartelli più feroci del Paese. In un ranch di Teuchitlán, nella campagna a un’ora dalla metropoli di Guadalajara (e a mezz’ora da una caserma militare), dietro un portone come altri milioni in Messico, vengono scovati – da un collettivo di familiari di “desaparecidos” e non dalle autorità competenti, come nella maggioranza schiacciante dei casi – tre forni crematori con ammucchiati frammenti umani e circa 400 paia di scarpe, centinaia di altri oggetti personali come braccialetti, orecchini, cappellini, zaini, quaderni con lunghissime liste di nomi, che proiettano la dimensione dell’orrore su centinaia, forse migliaia, di persone uccise con rigore scientifico in questo campo di sterminio contemporaneo. La vista della montagna di scarpe delle persone scomparse è un pugno al cuore per tutti coloro che, per associazione fotografica, volano con la mente ai peggiori massacri realizzati dalle dittature nazi-fasciste.

Ma Jalisco conta 186 siti di sepoltura clandestina processati dalle autorità, sebbene il ranch Izaguirre non figuri in questa mappa. Tlajomulco de Zúñiga è il comune con il maggior numero di fosse clandestine, per un totale di 75. Guadalajara la ricca, bella, ripulita e turistica capitale dello Stato è costellata di storie di desaparecidos e violenza, alcuni monumenti sono stati deturpati e trasformati in memoria viva con centinaia di foto e striscioni con i volti di persone sparite. Una realtà agghiacciante che va avanti da anni.

Sono più di quindici anni infatti che, come collettivo, ci siamo uniti a quella parte della società civile organizzata messicana che denuncia questa guerra negata, sporca, manipolata o romanticizzata nelle serie televise dedicate ai grandi capi del Narco. Una guerra del tutto capitalista, volta ad accumulare quantità assurde di denaro trafficando merci e corpi. Corpi picchiati, violentati, sfruttati fino all’ultima goccia, torturati e poi fatti a pezzi, sciolti nell’acido, bruciati, evaporati e dispersi nel nulla dell’oblio. Sono giovani uomini attratti da offerte di lavoro ingannevoli, bambini spariti in un angolo qualsiasi di una città, ragazzi reclutati con l’inganno. Sono moltissime donne: bambine, giovani, adulte, intrappolate in circuiti di tratta, abusi e torture inimmaginabili. E’ la fabbrica del terrore, la necro-produttività capitalista. Parliamo di 123.808 persone “desaparecidas”, dati del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No localizadas (RNPDN) aggiornati al 13 marzo 2025. Numeri che, addirittura, superano di gran lunga le cifre già spaventose dello sterminio e della sparizione forzata realizzati durante le dittature in Cile e Argentina. Ma in Messico la maggioranza delle vittime non è militante política, è gente comune e questo riduce di molto la risonanza di questo terrificante crimine, come analizzeremo più avanti. Più di 50.000 persone sono scomparse negli ultimi 6 anni, sotto il governo di centro-sinistra della pomposamente sedicente “4^ Trasformazione”, indicando matematicamente le responsabilità istituzionali di questa drammatica piaga sociale. A questi dati sommiamo gli omicidi realizzati nel paese dall’inizio della cosiddetta guerra al narco, ovvero da dicembre 2006: 532.609, dato aggiornato al 29 gennaio di quest’anno, secondo fonti ufficiali. Più di mezzo milione di vite stroncate, di cui almeno 250.000 durante gli ultimi sei anni, con i governi di centro-sinistra.

Sopravvivere alla “guerra di frammentazione territoriale”

Com’è possibile che tutto ciò passi in (quasi) completo silenzio?

L’elemento fondamentale dell’anomalia della guerra in Messico non risiede solo nell’alto indice di normalizzazione e negazione della stessa, di cui parleremo più avanti, ma soprattutto nella sua comprensione sociale, perché relegata ai margini della politica e delle definizioni classiche di guerra. “Ancora non piovono le bombe dal cielo”, ci diciamo a volte ironicamente, “non stiamo messi male” come in Palestina, in Siria, in Kurdistan, Sudan, in Ucrania. Eppure il numero dei morti è lo stesso o, in certi casi, superiore.
Questa infatti non è una guerra simmetrica, fra eserciti schierati o un’invasione dichiarata da una forza armata nemica; e neanche la tipica guerra contemporanea asimmetrica, che si combatte un po’ ovunque, con forze speciali dello Stato impegnate contro cellule del “nemico interno”. Il fronte messicano è caratterizzato invece da una moltiplicazione indiscriminata di attori armati e da un altissima intensità di fuoco, che frammentano il campo di battaglia in micro-conflitti molto violenti, sparsi e poco visibili che elevano brutalmente il tasso di mortalità fra la popolazione civile mentre l’attività economica, politica e sociale grosso modo va avanti, con black-out e intermittenze nelle gestione della vita pubblica locale. Definiamo quindi questa anomalia bellica come “guerra di frammentazione territoriale”. Del resto le aree più assiduamente colpite dalle offensive e contro-offensive dei vari gruppi armati (illegali o istituzionali), dai rastrellamenti, dalle sparizioni, dai reclutamenti forzati, sono i territori rurali o le periferie semi-rurali, come per esempio Teuchitlan, dove è “apparso” il centro di stermino e addestramento forzato nel ranch Izaguirre. In mezzo alle lande industriali, nei territori di frontiera, nel deserto, sulla costa, sulle montagne la gestione delle rotte, dei campi di coltivazione, del traffico di esseri umani è da decenni in mano a differenti gruppi di potere che si scannano su popolazioni di periferia, spesso indigeni e contadini, che non fanno notizia e, a volte, neanche fanno numero nelle statistiche. Quando la guerra fra i vari attori armati arriva nelle città si rende visibile, “registrabile”, fa scalpore ma spesso l’indignazione evapora nella paura per le rappresaglie e quando la violenza scema localmente in una geografia per intensificarsi in un altra.

Con lo sgretolamento dei grandi cartelli, più o meno stabili fino alla fine degli anni 90, e l’intromissione militare attiva dello Stato messicano come socio del Cartello di Sinaloa (2006) contro tutte le altre organizzazioni criminali, si è arrivati all’esplosiva creazione di centinaia di gruppi armati (240 secondo un’informativa della Secretaria de Gobernación) che a loro volta si diramano in cellule e sotto-gruppi locali, che gestiscono fisicamente in quartieri e villaggi la gestione delle attività illecite come il racket, la prostituzione, i sequestri, la fabbricazione e lo smistamento di armi e droga. La moltiplicazione degli attori armati ha aumentato considerabilemente la frammentazione del territorio, generando una balcanizzazione violenta del Paese, attraversato ampie aree “off limits” o con circolazione ristretta per coprifuoco. Queste numerose strutture/imprese criminali sono affiancate nel lavoro logistico e di controllo del flusso di merci/persone da tutte le forze armate e di sicurezza dello Stato, definite “corrotte” ma in realtà strutturalmente legate all’economia illegale, coinvolte a differenti livelli e divisi in differenti gruppi anche rivali e, quindi, anche in conflitto tra loro. Basta citare che nell’ultima “pulizia” ordinata quest’anno dall’attuale governatore del Chiapas Eduardo Ramirez, nell’affanno di recuperare un’immagine pubblica di decenza e con la necessità di riordinare il flusso di cocaina e migranti nella zona strategica della frontiera sud seguendo interessi di altri gruppi di potere, sono stati arrestati per mafia 270 poliziotti (e almeno tre sindaci) in cinque città differenti della regione, dimostrando implicitamente il livello di cooperazione fatto sistema tra Stato e crimine organizzato. Stato e Crimine che però non bisogna immaginare come due blocchi monolitici contrapposti, ma piuttosto dobbiamo abituarci a vedere e comprendere il panorama messicano come un grandissimo mercato, dove numerose agenzie, punti vendita e succursali, gruppi di pressione, giudici, polítici e burocrati insieme a molti attori armati, in divisa o meno, partecipano, si alleano e lottano a ritmi vertiginosi per assicurarsi una ghiotta percentuale nel controllo delle risorse del Paese (e, solo in parte, del fiume di cocaina che lo attraversa, su richiesta degli Stati Uniti d’America).

L’economia criminale come modo di produzione capitalista

La diffusione dell’economia criminale e della sua organizzazione è una ristrutturazione capitalista del dominio e saccheggio dei territori, un forma di accumulazione che in Messico si mostra con questa specificità che definiamo “guerra di frammentazione territoriale”. In America Latina lo Stato ha costantemente contribuito all’accumulazione (originaria e successiva) di Capitale attraverso le forze armate, con l’aggressione diretta contro chi impediva il saccheggio, spesso i popoli indigeni, gli operai e i contadini. Le classi subalterne nei secoli hanno sviluppato numerose e svariate forme di resistenza, anche armate, aprendo fino a pochi decenni fa un periodo feroce, ma anche formidabile, di lotta guerrigliera contro il potere statale, l’oligarchia e le grandi imprese. In Messico sono numerosissimi i casi di organizzazione della lotta armata, eredi dell’Indipendenza prima e della Rivoluzione poi, entrambe iniziate e portate a termine soprattutto dai contadini, dagli indigeni e successivamente dagli operai. Dopo l’insurrezione zapatista del 1994 e l’ampio consenso globale ottenuto da essa, per il governo messicano reprimere la resistenza popolare con le forze armate ha avuto, e continua ad avere, un costo politico molto alto (ricordiamo per esempio il caso di Ayotzinapa), ragion per cui l’uso delle forze dei sicari come outsorcing della repressione è diventato negli anni un vero e proprio dispositivo per raggiungere dei territori strategici, spopolarli attraverso la politica del terrore implementata dai gruppi criminali, riordinarli secondo la logica economica specifica (impiantare una miniera, un consorzio turistico, un porto, una diga o semplicemente ri-organizzare la forza lavoro e le risorse a favore del gruppo “vincente”). Si è passati dall’uso storico e secolare di mercenari al soldo dello Stato alla creazione di numerose imprese criminali regionali e locali che, indipendenti ma socie dello Stato, gestiscono, controllano e terrorizzano la popolazione per profitto proprio e con finalità condivise con chi governano le istituzioni: l’arricchimento illimitato. La repressione quindi non è più solo contro i guerriglieri e gli attivisti, ma è una forma di governance – flessibile, elastica ma spietata – su tutta la popolazione e sui territori su cui questa vive, lavora e sogna.

Questo dispositivo infernale, oltre a perpetuare la necessità capitalista di cosificazione e valorizazzione di ogni elemento, di ogni territorio e di ogni essere umano, ricopre un ruolo strategico importante nella guerra ideologica: quello di spoliticizzare la lotta di classe, la resistenza contro il saccheggio di ogni spazio vivibile.

L’uso del crimine organizzato, comunemente detto “narco”, come braccio armato del capitalismo permette collocare le vittime nel terreno fangoso del dubbio: l’hanno ammazato perchè lottava o perché magari aveva qualche intrallazzo che non si sapeva? Chi è stato realmente? Non ha la stessa ripercussione nell’opinione pubblica un omicidio realizzato dalla polizia o dall’esercito in uno scontro politico (una manifestazione o in combattimento guerrigliero) che un omicidio, con gli stessi fini, realizzato da sicari legati a un gruppo criminale, durante la “normalità” della vita quotidiana. O a volte neanche la “dignità” terribile dell’omicidio ma la sparizione forzata nel nulla, dove la vittima è inghiottita nel buio da un carnefice invisibile. In questa maniera si perdono più facilmente i connotati di un delitto politico, si “normalizza” l’aggressione facendola scivolare nell’oceano anonimo dei “delitti comuni”, non degni d’attenzione. Allo stesso tempo un omicidio chiaramente politico – così drammaticamente ricorrente nella lunga storia della lotta di classe – scatena effetti e reazioni con responsabilità politiche dirette: “è stato lo Stato!” E la gestione dello Stato, per quanto feroce, può essere messa in discussione, diviene “naturalmente” l’obbiettivo della rabbia popolare, così come storicamente i movimenti sociali hanno denunciato e combattuto la violenza dell’Esercito e della polizia, come bracci armati del potere e in qualche modo “traditori”, come lo Stato, del patto sociale con il popolo, che li mantiene. Quando però la fonte della violenza è un gruppo di imprenditori feroci, senza divisa, senza regole d’ingaggio, senza un’etica e un patto sociale a cui sottostare: come ci si ribella? Contro chi e come si dirige la rabbia sociale? È difficile, nonostante alcune eroiche eccezioni, manifestare, organizzarsi e difendersi contro un nemico senza regole, penetrato nel tessuto sociale e camaleontico, come la mafia.

Domande scomode

Spesso in Italia, tra un’iniziativa di contro-informazione e l’altra, abbiamo ascoltato domande dubbiose: “Ma c’è davvero la guerra in Chiapas? Ma è così proprio in tutto in Messico?” aggiunto magari da un “E’ che io ci sono andato in vacanza e mi sembrava abbastanza tranquillo…”

C’è una tendenza diffusa a minimizzare la portata dell’orrore, della gestione metodica (da campo di sterminio, appunto), istituzionale, sociale e politica del “fenomeno narco”. Da un lato la superficialità dell’analisi del potere, riprodotta dai media mainstream, che al massimo sottolinea solo gli aspetti “folckoristici”, aneddotici e incluso “brillanti” (tipo il Chapo Guzman che apparve nella lista di milionari di Forbes) di molteplici “casi isolati”; e questa è quella che più diffusamente giunge in Europa, una scelta narrativa del potere per distrarre l’attenzione sulle specificità sistemiche del “problema”. Dall’altro lato c’è la normalizzazione che la stessa società fa (che facciamo anche noi che ne denunciamo la barbarie) per sopravvivere: si esce di casa, si va al lavoro o al supermercato, d’un tratto degli spari e… si aspetta, in un riparo improvvisato, che finisca la sparatoria e si riprende poi il tran-tran. O arriva un messaggio della figlia del vicino “scomparsa”, lo si legge con un sospiro, si diffonde nelle chat e si torna alle occupazioni quotidiane, magari sussurrando una preghiera e sperando sommessamente che non tocchi mai a una figlia propria, a un parente, a un amico del cuore. In Messico apparentemente la vita scorre regolare, i bambini vanno a scuola, ogni tanto le chiudono per qualche sparatoria, ma i bambini sanno – come in caso di terremoto – che si devono accovacciare sotto i tavoli o sdraiarsi al suolo, appunto, perché la balacera è vissuta come un’altra catastrofe naturale qualsiasi, interiorizzata e affrontata come tale. Tra la banalizzazione dei media e l’assuefazione alla violenza come istinto di massa di sopravvivenza si getta la polvere (dei corpi carbonizzati) sotto il tappeto della normalità. E così, nonostante certi momenti di indignazione, ribellione e forte protesta popolare (come le mobilitazioni del 2011 del Movimento per la Giustizia con Dignità, quelle del 2014/2015 per i 43 di Ayotzinapa, la creazione di gruppi di “autodifesa” soprattutto nei territori indigeni), siamo giunti a mezzo milione di persone assassinate, oltre 120.000 desaparecidos e alla scoperta dei centri di sterminio in questa grande fossa comune chiamata Messico.

La gravità dei crimini riscontrabili nel ranch di Teuchitlán, perquisito dalle forze dell’ordine nel 2017 e poi nel settembre del 2024 che “non avevano notato la presenza di forni e altri dettagli”, mette a nudo nuovamente la rete di complicità fitte fra il crimine e lo Stato messicano. La gestione di un centro di addestramento ed eliminazione fisica dei corpi a questo livello può funzionare solo d’accordo con il silenzio – e possibilmente l’appoggio diretto – delle istituzioni politiche e di procurazione della giustizia. Un genocidio, un crimine di lesa umanità veniva perpetrato alle porte dalla seconda città più importante del Messico, dove la gente veniva adescata nelle stazioni dei pullman, portata lì, vessata fisicamente e sessualmente, istigata a uccidere e – chi sopravviveva all’inferno – obbligata a farsi sicario, trasformarsi in macchina di morte per la produzione e l’accumulazione di ricchezza del CJNG. Tutte le altre persone torturate atrocemente e poi bruciate, spazzate via come immondizia. Fumo.

Le domande che ne seguono sono terribili: quanti altri centri di sterminio simili stanno funzionando e sono tollerati in altri posti del Messico? Fino a quando volteremo lo sguardo altrove, permettendo alle imprese, ai governi e al loro braccio armato di disporre così atrocemente dei nostri corpi, del nostro futuro? Fino a quando accetteremo di vivere con la paura e il terrore nell’anima?

E per chi vive dall’altra parte dell’oceano: Fino a quando le serie sul narco e il turismo inconsapevole frivolizzeranno le nostre conversazioni sul Messico?

Fino a quando penseremo che quelle “due strisce” date il sabato sera non ci fanno complici del lato più feroce del capitalismo?

Fino a quando resteremo indifferenti?

Fino a quando ci assolveremo?

Nodo Solidale

#NarcoEsDespojo #NarcoEsCapitalismo #NarcoEsElEstado

SUL CAMPO DI CONCENTRAMENTO E STERMINIO IN JALISCO. IL RANCH IZAGUIRRE a Teuchitlán

Pubblichiamo la traduzione di un documento di Nodo de Derechos Humanos in merito al rinvenimento del campo di addestramento, tortura e sterminio nel ranch Izaguirre a Teuchitlán nello stato di Jalisco.

SUL CAMPO DI CONCENTRAMENTO
E STERMINIO IN JALISCO.

Nodo de Derechos Humanos, 12 marzo 2025


Il ritrovamento del campo di sterminio nel ranch Izaguirre a Teuchitlán, Jalisco, lo scorso 5 marzo 2025, è un esempio della crudeltà e dell’atrocità normalizzata, istituzionalizzata e coperta in Messico. Le immagini e le testimonianze possono essere paragonate solo alle peggiori storie di genocidi nel mondo.

La descrizione degli atti brutali e disumani eseguiti per almeno tredici anni in quel luogo rivela una lunga lista di crimini perpetrati in modo sistematico e quotidiano. La negligenza delle autorità di Jalisco e federali dimostra qualcosa di più di una semplice omissione. Il ranch era già stato identificato dalle autorità nel 2017 in seguito alla testimonianza di un sopravvissuto. Nel settembre 2024, agenti della Guardia Nazionale hanno condotto un’operazione a Teuchitlán, arrestando dieci uomini armati con armi d’uso esclusivo dell’esercito. In nessuno di questi due momenti è stata avviata un’indagine da parte della Procura di Jalisco né da quella Generale della Repubblica. Persino dopo gli ultimi ritrovamenti nel campo di sterminio, la Procura dello Stato di Jalisco non ha fornito alcun rapporto ufficiale, il che è estremamente grave e finisce per implicare direttamente le autorità in questa lunga catena di esecuzione di crimini gravi e inumani.

Per la gravità dei crimini commessi nel ranch Izaguirre, siamo di fronte a vari tipi di genocidio e di crimini contro l’umanità. L’intento non è stato quello di commettere un genocidio fine a sé stesso, ma di lucrare, sfruttare, abusare, sottomettere, controllare e degradare i corpi con fini economici e di potere.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite sterminio”, poiché sono state uccise più di una o due persone. È presumibile, dai racconti dei sopravvissuti e dalle caratteristiche dei crematori ritrovati, che le persone giustiziate siano state migliaia. Gli indizi rivelati dai video di Guerreros Buscadores mostrano che queste esecuzioni sono state perpetrate nelle forme più atroci. I probabili esecutori diretti (in questo caso il Cartello Jalisco Nueva Generación) hanno deliberatamente tolto la vita a queste persone per scopi economici e per rafforzare la loro struttura paramilitare.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite sottomissione intenzionale a condizioni di esistenza che portano alla distruzione fisica”, poiché per raggiungere i propri obiettivi il cartello ha deciso di sfruttare migliaia di persone nelle condizioni più violente e precarie, per poi sterminarle in modo sistematico per almeno tredici anni.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite trasferimento forzato di minori”, poiché secondo le testimonianze dei sopravvissuti, bambine sono state rapite e portate nel ranch per subire abusi e violenze sessuali da parte dei responsabili dell’operazione, prima di essere assassinate. Questi trasferimenti erano deliberatamente mirati a bambine di specifiche fasce d’età.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite lesioni gravi all’integrità fisica e mentale delle persone”, non solo delle vittime giustiziate, ma di un’intera popolazione, poiché il danno emotivo si estende a tutte le famiglie e alle persone vicine alle vittime assassinate.

Siamo di fronte a “crimini di lesa umanità”, tra i più gravi e di rilevanza per la comunità internazionale nel suo insieme. Ciò deve portare a un’indagine approfondita e a una responsabilità penale individuale e strutturale. Il campo di concentramento e sterminio di Jalisco mette in evidenza una pratica generalizzata e sistematica contro la popolazione civile. È altamente probabile che autorità statali e federali, attraverso almeno tre amministrazioni presidenziali, fossero a conoscenza di questi crimini.

Siamo di fronte a un “crimine di lesa umanità per omicidio”, di “lesa umanità per schiavitù”, davanti a un “crimine di lesa umanità per trasferimento forzato di popolazione”, di “lesa umanità per privazione grave della libertà”, di “lesa umanità per tortura”, “per stupro”, per schiavitù sessuale”, di fronte a “crimini di lesa umanità per sparizione forzata di persone”.

Tutti questi crimini sono inclusi nello Statuto di Roma, ma in questo caso non sono stati commessi per motivi di razza, etnia, religione o nazionalità, bensì per motivi di classe e genere (uomini e donne in cerca di lavoro e bambine). Il fine dello sterminio sistematico è stato quello di coprire uno sfruttamento estremo a beneficio di un’impresa illegale e soddisfare un sadismo senza limiti. Le vittime erano per lo più giovani tra i 20 e i 25 anni in cerca di lavoro, e altre erano bambine.

La tragica realtà del Messico, con un indice di impunità del 99%, le cifre delle atrocità e la configurazione di uno Stato criminale ci pongono di fronte a un bivio. Le vie legali sono inutilizzabili, perché lo Stato, funzionando attraverso reti clientelari e di impunità, non giudicherà sé stesso.

Mentre guardiamo con orrore il campo di concentramento e sterminio in Jalisco, probabilmente molti altri sono ancora attivi o in fase di installazione in tutto il Messico, sotto la protezione delle autorità locali, statali e federali. Lo sappiamo perché questa guerra dura dal 2006, perché atrocità di questo tipo sono diventate quotidiane da 19 anni.

Il terribile caso di Teuchitlán rivela una verità brutale: ecco dove finiscono i desaparecidos in Messico. Ci permette di percepire la crudeltà che ha portato a quei crematori, alimentata dal sadismo paramilitare dei cartelli e dall’avidità inumana e codarda di governanti e imprenditori, sia legali che illegali. Non esiste uno Stato in Messico senza sparizioni. Il sottosuolo di tutto il Paese è una gigantesca fossa comune.

È inevitabile che, nominando Teuchitlán, pensiamo a un genocidio che coinvolge autorità municipali, statali e federali. È difficile immaginare che i governatori di Jalisco degli ultimi dodici anni non sapessero di ciò che accadeva, ed è scandaloso che non abbiano avviato alcuna indagine. La risposta del governo di Claudia Sheinbaum è stata così debole da sembrare un insabbiamento.

L’orrore del campo di concentramento e sterminio nel ranch Izaguirre esige una risposta chiara e decisa da parte della società messicana e del mondo. Tuttavia, questa risposta rischia di seguire le vie dell’opportunismo politico e della costruzione di “verità storiche” che puniscono capri espiatori per mantenere impuniti i veri responsabili strutturali.

La risposta non può essere aprire la porta all’interventismo degli Stati Uniti con la scusa del terrorismo, poiché proprio gli Stati Uniti sono in gran parte responsabili del costante flusso di armi ai cartelli e della trasmissione di tattiche brutali simili a quelle promosse dalla Escuela de las Américas e dai suoi successori.

La risposta non può essere trasformare ancora una volta queste atrocità in strumento di propaganda elettorale, né usare l’alibi di un’opposizione opportunista per puntare all’oblio e all’impunità, come è successo ripetutamente con il caso Ayotzinapa e molti altri.

Non possiamo permettere che la questione venga minimizzata con una procura speciale, trattata come un caso emblematico per poi essere archiviata come un episodio isolato. È necessaria un’indagine sistemica e urgente, perché ciò che l’inferno di Teuchitlán rende evidente è che la codardia, il sadismo e l’avidità dei cartelli non hanno limiti, e coloro che dovrebbero combatterli sono spesso loro complici.

A partire dal 5 marzo 2025, tutti i sindaci, governatori e presidenti degli ultimi 19 anni devono essere considerati sospettati di genocidio e crimini contro l’umanità, perché lo sono.

Ma chi può indagare e punire coloro che, dallo Stato, sono stati o sono complici di questo genocidio quotidiano, se sono proprio loro a detenere il potere? Non poter rispondere con certezza a questa domanda è tragico. È sconvolgente che né le autorità di Jalisco nel 2017 né la Guardia Nazionale nel settembre scorso abbiano scoperto e avviato un’indagine su questo campo di sterminio. A farlo è stato il collettivo Guerreros Buscadores, ancora una volta la gente che, di fronte alla negligenza dello Stato, organizza il proprio dolore e il proprio coraggio per affrontare i mostri più brutali.

È chiaro, ancora una volta, che dove la crudeltà massacra e lo Stato seppellisce, le famiglie cercatrici trovano.

Dobbiamo avere ben chiaro che, se vogliamo sopravvivere e impedire che la crudeltà e l’orrore occupino ogni angolo del nostro Paese e della nostra quotidianità, non possiamo permettere di superare un altro limite verso il terrore e la normalizzazione della violenza.

Al di là della lotta politica tra potenti, questo deve essere un punto di svolta per tutto il Messico. Non possiamo continuare a ingoiare menzogne che costano vite, non possiamo smettere di denunciare coloro che usano lo Stato per arricchirsi e sono complici della trasformazione del Messico in un campo di sterminio.

È urgente gridare con forza e impegno:

¡Teuchitlán NUNCA MÁS!

Teuchitlán MAI PIÙ!

Nodo de Derechos Humanos
www.nodho.net

Marcha-caravana de la Dignidad, de Oaxaca a la Cdmx

¡¡¡ Información en constante actualización !!!

Marcha-caravana por justicia, la defensa de nuestros territorios y los derechos humanos

actualización 13.03.2025

📢 Compartimos una entrevista con el compañero Cristóbal del Codedi, presentando un resúmen de la Marcha Caravana del FORO- Frente de Organizaciones Oaxaqueñas, en los días pasados, sobre las demandas, las actividades realizadas y los logros alcanzados.
🚩✊🏾 Las organizaciones de la alianza señalan que la lucha sigue e invitan a vigilar el cumplimiento de los acuerdos de parte del gobierno. También el CODEDI señala la situación de violencia y tensión que sigue en Miahuatlán, por el desalojo y la golpiza que sufrieron los vendedores de esta localidad por orden del presidente municipal represor César Figueroa
Aquí el audio 👇🏾👇🏾👇🏾

🚩 Empezó hoy la movilización de nuestrxs hermanxs del Codedi (Comité de Defensa de los Derechos Indígenas), con los aliados de FORO (Frente de Organizacion Oaxaqueñas) rumbo a la Ciudad de México, una marcha-caravana masiva, por la dignidad y con unas demandas de justicia y defensa del territorio ya urgentes.

📢 Compartimos la entrevista al compañero Fredi García del Codedi en dónde nos detalla algunos casos de despojo de la costa, por mano de grupos armados al servicio de las empresas hoteleras con la complicidad de las instituciones estatales. Un claro ejemplo de contubernio entre Capital, Crimen Organizado y Estado, que involucra hasta al mismo gobernador de Oaxaca, Salomón Jara. Todo esto se traduce también en una ola violencia feroz en todo el territorio, cuya víctima principal son el pueblo y las organizaciones populares que lo defienden, viviendo Oaxaca una etapa más de despojos y masacres por una colonización que aún sigue, a pesar de los dizque cambios en el poder estatal y federal.

 

Los retos de la solidaridad internacional en Chiapas – 30 años de BriCo

Compartimos la intervención del Nodo Solidario en ocasión del conversatorio “Retos de la Solidaridad Internacional en Chiapas” para el aniversario de 30 años de Brigadas Civiles de Observaciòn (BriCO).

Aqui el enlace de la grabación integral del conversatorio.

Los retos de la Solidaridad internacional en Chiapas – 30 años de BriCo

Traduzione in Italiano

Compañeros, compañeras, compañeres,

Estamos felices de poder hoy celebrar los 30 años de las Brigadas Civiles de Observación, un proyecto en que muches de nosotres hemos participado en esos años y que hemos estado acompañando de diferentes formas.

Para empezar, queremos felicitar a todes les compañeres que han estado trabajando duro para que hoy podamos estar aquí festejándolas.

Vamos a hablarles brevemente de nuestro colectivo y lo que para nosotres significa esto de la solidaridad internacional, que para muches de nosotres se ha convertido en el fulcro principal de
nuestra lucha.

El Nodo Solidale nació formalmente en mayo de 2007 y se autodenomina como un colectivo de militantes por la vida con un sueño revolucionario, sembrado en dos orillas del océano, una en
México y la otra en Italia. La idea principal es tejer redes entre las realidades rebeldes de ambas geografías.

Desde el inicio, el colectivo ha tenido esta característica de vivir y actuar políticamente en dos nodos locales: tener raíces en Italia, en los movimientos sociales y en las experiencias de autogestión desde abajo, y por otro lado, a través de un grupo de expatriados establecidos en México, algunos de los cuales llevan casi veinte años aquí.

La idea común y fundacional del colectivo es la voluntad de promover la autonomía y favorecer la autorganización popular a través de la práctica de la autogestión, es decir, construir apoyo mutuo, político y económico entre las organizaciones en lucha.

La contribución del Nodo al archipiélago global de las resistencias es, por lo tanto, la de tejer comunidades, a través de una militancia basada en vínculos de amistad política organizada. En la práctica organizativa del colectivo, tratamos de prolongar la amistad – terreno sólido de la confianza y la afinidad – en el campo político y hacer así que el acto de solidaridad sea un momento cómplice, convivencial pero organizado y, por lo tanto, reproducible. Tejer complicidad global entre las luchas, uniendo en el acto convivencial de la barricada, la cena popular, la manifestación, el campamento, el concierto, la brigada, el taller, un encuentro entre procesos que coinciden en la resistencia, tratando siempre de respetar los tiempos, los modos y los espacios decisionales de
cada une.

Han sido muchas las brigadas que en estos años hemos podido organizar, acompañar o en las que hemos participado. Para nosotres, las brigadas representan una herramienta, un puente para entrar en el mundo de nuestres compañeres, descubrir sus formas, maneras, estrategias y culturas que hacen rica y única su resistencia. Y desde allí, escuchamos, observamos y aprendemos. Diversos han sido los temas puestos en común a lo largo de los años, desde la  comunicaciónpopular hasta la construcción de hornos, desde la panadería comunitaria hasta la serigrafía, desde la autodefensa hasta el deporte, desde la autoformación política hasta la salud comunitaria.

En este caminar hemos intentado siempre mantener unas prácticas activamente anticoloniales, en un ejercicio activo de desmantelar el eurocentrismo, así como construir una postura horizontal, no
paternalista, y consciente de quiénes somos y de dónde venimos.

El Frayba siempre ha representado una referencia política y humana para nosotres, así como un acompañante en el caminar, un espacio seguro. Para muches de les que conformamos el colectivo, las Bricos han sido nuestra primera experiencia de acercamientos a las comunidades en resistencia. Para quienes llegan aquí como visitantes de corto y mediano plazo, las Bricos son una posibilidad construida desde abajo y desde la solidaridad para conocer un poco más, vivir en la piel, contribuir con un granito consciente de arena a la rebeldía y la resistencia, local y global. Representan una posibilidad de encontrar y conocer, desde abajo, a las comunidades indígenas, zapatistas y no zapatistas, que fortalecen su autonomía. Experimentar lo que es vivir con el otro, en un contexto diametralmente opuesto a nuestros contextos de origen, poniendo en práctica la solidaridad internacional en la defensa de los derechos humanos.

Con respecto a los retos y desafíos que existen en practicar la solidaridad activa en este momento en Chiapas, en colectivo hemos analizado que estamos en un contexto de reflujo de los
movimientos sociales en México y también en Europa, por lo cual muy poco las nuevas generaciones llegan a Chiapas en comparación a antes, por lo cual muchos espacios organizativos se han ido hacia adentro y hay menos espacios de articulación.

Sin duda, existe mayor dificultad en crear situaciones de intercambio debido al aumento del costo de la vida y al aumento de la violencia en muchos territorios de Chiapas.

El movimiento zapatista, principal referente para las luchas globales en Chiapas, ha estado desde hace años con una política de cierre de sus comunidades. Nosotros mismos hemos concluido nuestro proyecto de los hornos que era una manera para hacer circular la solidaridad. Así como nosotres, muches otres.

Estos cambios y nuevas condiciones han implicado tener que reinventar las formas y adaptarnos a un contexto diferente. Lo que hemos hecho aquí en Chiapas ha sido, por un lado, fortalecer
nuestro involucramiento en el territorio urbano y desde ahí seguir tejiendo redes de solidaridad. Por ejemplo con el GAP de Cuxtitali y promoviendo la hermandad con gimnasios populares en Italia,
generando una circulación de personas interesadas al deporte popular. También nos hemos concentrado en las redes de médicos solidario con el proyecto de la Casa de salud Comunitaria de
Cuxtitali.

Hemos activado y participado en comités de solidaridad con otras luchas y resistencias en otras partes del mundo (Kurdistán y Palestina).

Sobre todo, y es la razón principal por estar aquí el día de hoy, hemos seguido participando en la formación de los y las brigadistas del Frayba.

Porque las Bricos representan una posibilidad de ponerse en la alteridad desde la ternura de la complicidad global, desde la periferia de una capital del norte global hacia el mundo campesino de
Chiapas, ofreciendo la posibilidad de encontrarse y leerse en la misma lucha. Una fogata que une las barricadas de Roma y la resistencia pacífica de Las Abejas de Acteal. Una fogata que reúne
unos punkis de las periferias con el sonido de una marimba en resistencia. Una fogata que une las luchas, en sus diferencias de historia y geografía, pero desde el sabor del buen vivir,  reconociéndose en la misma resistencia a un sistema de opresión. Un aliento de esperanza.

Giornate di lotta globali per Samir Flores

 

Video della giornata di lotta tratto da La Jornada

Il 20 Febbraio decorrevano 6 anni dall’assassinio di Samir Flores Soberanes.
Compagno instancabile nelle lotte territoriali ed ambientali contro la devastazione ambientale del Proyecto Integral Morelos.
Per approfondire clicca qui

Il 20 siamo stati sotto l’ambasciata messicana a Roma con il busto di Samir, mentre altri busti bloccavano la strada per cholula, venivano esposti a Parigi, a San Francisco, mentre si svolgevano azioni di protesta in moltissime città messicane.
Migliaia di Zapatisti si mobilitavano nei Caracol per ricordare Samir e per rivendicare giustizia

   

Nei link i racconti delle giornate di lotta su Radio Onda d’Urto e su Radio Onda Rossa

L’omicidio ancora è impune, ma si alza in tutto il globo un grido.
JUSTICIA PARA SAMIR FLORES SOBERANES.

Riportiamo la traduzione del comunicato del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala e Congreso Nacional Indígena.

Comunicato a 6 anni dall’assassinio di Samir Flores Soberanes, impunità e imposizioni regnano nel narcostato messicano. 

Questo 20 febbraio ricorrono 6 anni dall’assassinio del nostro fratello Samir Flores Soberanes, 6 anni dall’esplosione di un ennesimo proiettile contro la forza della ribellione e dell’autonomia. Non sono poche le pallottole vigliacche esplose e dirette contro la lotta per la vita che si solleva con dignità in migliaia di luoghi del pianeta terra, e quando una pallottola tocca un compagno come Samir, la morte diventa un seme, un esempio, memoria degna, ed è da lì che inizia a fiorire la giustizia dal basso, per il nostro compagno.

Perché di fronte alla tormenta, l’organizzazione, il fiore, il canto e la memoria saranno la nostra nave guida per ottenere giustizia collettiva per il nostro fratello Samir Flores Soberanes e la lotta per la vita. 

Quest’anno segna 13 anni di imposizioni per mettere in funzione il Progetto Integrale Morelos (PIM), 6 anni dal sanguinoso tradimento di López Obrador e della 4T nei confronti dei popoli originari del Messico e del vulcano Popocatépetl, 6 anni da quel 10 febbraio in cui Samir, insieme ai rappresentanti di decine di popoli colpiti dal PIM, hanno assistito al cambio di idea del Presidente che in campagna elettorale si era pronunciato contro il PIM e da quando è arrivato al potere lo ha sostenuto. Samir e il popolo hanno gridato a Obrador: “Acqua sì, termoelettrica no! Vita sì, gasdotto no! Esigiamo che tu mantenga la parola data e l’annullamento del PIM!”

López Obrador li ha additati in maniera furiosa: “che gridino pure, che gridino pure e che sventolino cappelli”, “radicali di sinistra, per me non sono altro che conservatori”, “ sono quelli che non votano e se lo sono già dimenticato, che invitano alla radicalità, e che non votando si comportano da conservatori”. Non sapevamo che quel giorno avrebbero lanciato il grido di battaglia, la condanna a morte del nostro compagno Samir, assassinato 10 giorni dopo. 

Il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua ha denunciato la rete di potere e le relazioni che esistono tra gli autori intellettuali e materiali dell’omicidio di Samir, dove Obrador ha lanciato dall’alto i suo grido di battaglia, affinchè il superdelegato federale Hugo Erik Flores (avvocato degli assassini di Acteal e leader del PES) lo mettesse in atto, insieme agli impegni presi dall’ex governatore di Morelos Cuauhtémoc Blanco con il Cartel Jalisco Nuova Generacion “in cambio della pacificazione”, ordinando al gruppo criminale “Los Aparicio” di giustiziare Samir. 

Hugo Erik Flores è stato l’inviato di Obrador per gestire la consultazione sul PIM a Morelos e Samir lo ha fronteggiato, smascherando le sue menzogne davanti a centinaia di persone che hanno partecipato al forum del governo federale a Jonacatepec il 19 febbraio 2019, strappando applausi al pubblico. 

Da Radio Amiltzinko, Samir informava la zona orientale di Morelos e parte di Puebla sulle conseguenze del PIM e del tradimento di Obrador, che nel 2014 aveva detto: “Non vogliamo un gasdotto a Morelos, installare una centrale termoelettrica nella terra di Zapata è come installare una discarica a Gerusalemme, cosa succede a questi, sono dei pazzi”, parole più, parole meno. La sua voce amplificata contro il PIM e la sua coerenza sono costate la vita a Samir.  

Perché Samir? Perché ha commesso il peccato più grande che il potere non può tollerare: continuare a lottare quando le condizioni sembrano perse e risalire… costruire autonomia, continuare a lottare… La costruzione del gasdotto è stata imposta ad Amilcingo nel 2014 con la forza pubblica e gli spari sulla popolazione, 5 sono stati i feriti della comunità a causa dei proiettili e decine di poliziotti sono stati feriti dalle ondate di pietre lanciate dalla comunità. La popolazione si è difesa con ogni mezzo, ma il potere del governo-capitale era troppo grande di fronte a una sola comunità e sono riusciti ad interrare il gasdotto. Ma il popolo non è rimasto fermo, né sconfitto, anzi, si è svegliato di più, ha continuato a lottare, a festeggiare e a ribellarsi, a costruire altre radio, salute comunitaria, solidarietà, il governo basato si usos y costumbres, la difesa dei propri spazi educativi e la promozione di nuovi spazi educativi, come l’ultima richiesta che Samir ha lasciato in sospeso ad Amilcingo, (oltre alla cancellazione del PIM), una scuola preparatoria per la comunità. 

La violenza, l’illegalità, il razzismo e l’arbitrarietà con cui è stato imposto il Progetto Integrale Morelos hanno raggiunto la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), per cui nei prossimi mesi i popoli del vulcano e lo Stato messicano consegneranno alla CIDH le prove e le argomentazioni sulla problematica installazione del PIM in una zona a rischio eruttivo e senza il consenso dei popoli. Chiediamo giustizia per Samir e per i popoli del vulcano Popocatépetl!

In Messico viviamo praticamente in una situazione di guerra, centinaia di comunità e città sono sottomesse a un narco-stato che sta sfollando i nostri popoli, instillando terrore e disorganizzazione. Si uccidono e si fanno scomparire i giornalisti e le persone che difendono la madre terra e i diritti umani, oltre a migliaia di sorelle e fratelli del paese vittime del crimine organizzato e dal malgoverno. Si, c’è un narco-stato, Samir ne è la prova, l’omicidio di un difensore della terra da parte del narco-stato è un favore al capitalismo gringo, europeo e transnazionale a cui il PIM porta benefici.

Claudia Sheinbaum dice che non esiste un narcogoverno in Messico, ma la rete criminale dietro l’omicidio di Samir afferma il contrario, vediamo che al comando dei munici di questo narcogoverno ci sono gruppi criminali, che i comandi intermedi (governi statali) sono plurisegnalati nelle narcomantas e sono traditi dale loro foto con i leader dei cartelli della droga, Cuauhtémoc Blanco, ex governatore di Morelos e Hugo Erik Flores, ex superdelegato federale a Morelos inviato da López Obrador, ne sono un esempio così come centinaia di politici nel Paese, deputati, deputate, senatori, a tutti i livelli di governo, nei 3 poteri del Paese, c’è il narco-stato. Sorelle e fratelli ci chiediamo: che cosa faremo? Non ci resta che rispondere organizzandoci, immaginando, creando legami, senza lasciarci.  

Esigiamo progressi nelle indagini, nel processo, nella cattura e nella punizione degli assassini materiali e intellettuali di Samir e, soprattutto, CHIEDIAMO: 

  1. Lo smantellamento e la cattura del gruppo criminale “Los Aparicio” e punizioni per la loro partecipazione all’omicidio di Samir;
  2. Indagini, azioni penali e punizioni per gli autori intellettuali dell’omicidio di Samir, come Hugo Erik Flores, Cuauhtémoc Blanco e Andrés Manuel López Obrador; 
  3. La cancellazione del Progetto Integrale Morelos. 

Noi siamo la dignità ribelle, il cuore dimenticato della terra.

Samir vive, la lotta continua! Acqua sì, termoelettrica no! Stop alla guerra alle comunità zapatiste! Stop al genocidio e allo sfollamento della Palestina! Morte al narco-stato e al malgoverno! Morte al capitalismo, viva la vita! Viva i popoli del Messico e del mondo! 

Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala – Congreso Nacional Indígena

 

Fai click qui per  i video della mobilitazione delle basi d’appoggio zapatiste in memoria di Samir Flores Soberanes

Di seguito alcune delle immagini delle differenti azioni svolte nel mondo a 6 anni dall’assassinio di Samir

       

Samir ucciso dall’estrattivismo – Gli interessi italiani nel Proyecto Integral Morelos e l’uccisione di Samir Flores

[Ringraziamo Recommon per la foto di copertina]

Il 20 febbraio è una data fondamentale nelle agende dei movimenti messicani che lottano per la vita, in questo giorno di 6 anni fa, Samir Flores Soberanes venne brutalmente assassinato sulla porta di casa sua. Samir era un contadino, un fabbro, un insegnante, uno zapatista e una voce della radio comunitaria di Amilcingo.

La sua voce ha animato la lotta contro il Proyecto Integral Morelos (PIM). Un megaprogetto molto esteso, che sta portando alti consumi energetici, in inquinamento e consumo di acqua senza precedenti. L’opera è composta da un gasdotto, una centrale a gas e una serie di parchi industriali che stravolgeranno le radici contadine dell’area, nello stato del Morelos. Il progetto al momento non ha dato molti risultati in termini di occupazione, come promesso, in compenso, con l’estrattivismo ha portato morte e disgregazione sociale. Continua la lettura di Samir ucciso dall’estrattivismo – Gli interessi italiani nel Proyecto Integral Morelos e l’uccisione di Samir Flores

GIUSTIZIA PER SAMIR FLORES SOBERANES! 6 ANNI DI IMPUNITÀ

Questo 20 febbraio si compiono 6 anni dal vile assassinio del nostro compagno Samir Flores Soberanes. Sei anni nella totale impunità di un governo che funge da mano armata per il grande capitale. Samir è stato ucciso da 4 colpi di pistola davanti a casa sua ad Amilcingo, nello stato messicano del Morelos, perché difendeva la terra dalla devastazione dei grandi progetti. I nomi di coloro che lo hanno assassinato non li conosciamo ancora, ma sappiamo bene a che interessi rispondevano.

Vi invitiamo questo 20 febbraio alle 12.00 di fronte all’ambasciata messicana a Roma (Via Lazzaro Spallanzani 16) per esigere, dopo sei anni, con la stessa forza, giustizia per Samir! Giustizia per chi difende la terra! Continua la lettura di GIUSTIZIA PER SAMIR FLORES SOBERANES! 6 ANNI DI IMPUNITÀ

Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane

Siamo lietə di annunciarvi l’uscita di “Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane”, un nuovo elemento della collana “Quaderni della Complicità Globale” realizzata in collaborazione con il progetto editoriale Kairos – moti contemporanei.

Nel volume abbiamo raccolto delle interviste, completamente inedite, dedicate all’educazione all’interno dei processi di organizzazione dal basso e  realizzate come Nodo Solidale in dialogo con l’ Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente, Tejiendo Organización Revolucionaria, Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martínez”, A.C. e l’Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio.

Cogliamo l’occasione per ringraziare Carol Rollo per la meravigliosa copertina!

In attesa di organizzare presentazioni e momenti di confronto vi proponiamo qui di seguito l’introduzione al libro👇

Il sogno di un mondo migliore nasce
dalle viscere del suo contrario.
(P. Freire)

Il libro che vi trovate tra le mani nasce dal tentativo di approfondire quanto sperimentiamo nel nostro agire quotidiano a partire dalla relazione tra formazione, produzione e riproduzione di soggettività in lotta, attraverso uno sguardo che parte dalle resistenze delle nostre geografie e si estende al mondo intero. Nella pratica di ogni giorno abbiamo imparato a riconoscere la trasversalità dell’educazione all’interno dei percorsi che attraversiamo, nei nostri luoghi di attivazione e militanza: nelle scuole, nelle università, negli spazi occupati e autogestiti, così come nei quartieri popolari dove abitiamo.

Abbiamo imparato, e ci rendiamo conto ogni giorno sempre di più, che l’educazione, la formazione e la condivisione di saperi sono un terreno di contesa con il sistema di alienazione e sfruttamento capitalista e che è urgente condividere strumenti ed esperienze che mettano in discussione il presente imposto, sostenendo la riproduzione di comunità in lotta nella loro crescita e nella costruzione di mondi altri, nel tentativo urgente di far fronte ad un continuo attacco dall’alto, diretto contro lxs de abajo, ovvero contro le mille soggettività subalterne di tutto il mondo.

Questa raccolta di interviste nasce con la volontà di dare seguito alle riflessioni avviate con il libro “Educazione autonoma in Messico – Chiapas e Oaxaca”, dove avevamo raccolto testimonianze di lotta e di educazione comunitaria nei territori autonomi e ribelli del Messico profondo, esperienze fiorite tra esperimenti di autogestione popolare in zone rurali e indigene. Con questo nuovo testo abbiamo voluto rivolgere lo sguardo verso chi affronta la realtà della Hidra Capitalista, aggredendola da differenti punti e prospettive, nei territori urbanizzati delle città più o meno grandi del centro-sud del Messico. È proprio da questa prospettiva che ci sembra importante continuare a esplorare il ruolo che ha, e che può avere, l’educazione all’interno dei processi di organizzazione autonoma, con un’attenzione particolare a quello che succede in ambito urbano. Per fare questo abbiamo raccolto testimonianze, storie di vita e suggestioni, in dialogo con organizzazioni popolari e sociali con la maggioranza delle quali il Nodo Solidale da anni ha stretto un “patto di complicità”, di alleanza e scambio politico/umano; altre sono organizzazioni incontrate percorrendo il lungo e difficile sentiero dell’autonomia, costruito in seno all’ampio movimento a cui ha dato vita l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) a partire dalla sollevazione del 1 gennaio 1994. Siamo partiti quindi da domande di carattere generale, che ci hanno aiutato a identificare che ruolo ha l’educazione formale e istituzionale all’interno della produzione e riproduzione di disuguaglianze lungo le linee di genere, razza e classe per cercare poi di capovolgere la questione:

Che ruolo ha e può avere l’educazione nella produzione e nella riproduzione di soggettività in lotta e nella costruzione di processi dal basso che aspirano ad innescare una trasformazione radicale della società? Come dotarsi di strumenti e pratiche che permettano di comprendere la realtà che ci circonda per poterla trasformare e riscrivere? Qual è l’importanza di costruire forme di apprendimento libere e autonome per dotarsi di antidoti al presente capitalista che quotidianamente ci impone guerra, sfruttamento, oppressione, saccheggio e violenza? Cosa possiamo recuperare delle esperienze di educazione popolare e autonoma lontane e vicine nello spazio e nel tempo?

La maggior parte delle realtà che abbiamo scelto di intervistare sono organizzazioni che non si occupano direttamente di educazione ma, piuttosto, vedono nell’educazione popolare uno strumento per rendere riproducibile il proprio progetto politico e le proprie pratiche di riappropriazione dei bisogni e trasformazione della realtà, per sostenere la soggettivazione della subalternità e un ribaltamento, nella pratica, dello stato di cose presente.

Con l’esperienza del Progetto di Educazione e Cultura dell’Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente (OPFVII) abbiamo potuto scoprire come, a partire dalla rivendicazione di un tetto per tutti e tutte, si possa scommettere sulla costruzione di un mondo anticapitalista, qui e ora, stimolando alla partecipazione e alla vita comunitaria tutte le persone che abitano nelle comunità dell’Organizzazione, attraverso un processo continuo di crescita collettiva e di articolazione tra soggetti in lotta.

Grazie ad alcune compagne di Tejiendo Organización Revolucionaria (TOR) – organizzazione nata dalle lotte universitarie dei primi del 2000, oggi con un piede dentro e uno fuori dall’università, e in prima fila nella lotta per il diritto ad un’educazione pubblica e di qualità – abbiamo potuto approfondire come i saperi saccheggiati all’accademia possono essere messi a disposizione di movimenti e percorsi di trasformazione sociale. Insieme abbiamo approfondito l’esperienza della scuola “Preparatoria Karl Marx”, costruita insieme all’OPFVII e con il sostegno di compagne e compagni solidali, e della scuola di formazione sindacale del sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Univesidad Autonoma de Mexico, come proprio contributo al sindacalismo di base messicano.

“Brigada Callejera” è un’organizzazione civile autonoma di Città del Messico con oltre 30 anni di storia in strada, in prima linea tanto contro la tratta di persone, quanto per la rivendicazione del diritto alla salute e all’organizzazione delle lavoratrici sessuali. Con loro abbiamo parlato dell’importanza di riappropriarsi delle conoscenze relative al proprio corpo, la propria salute e dell’importanza di fornire alle lavoratrici sessuali la possibilità di ultimare o portare avanti gli studi, come passo fondamentale nel contesto più ampio della riappropriazione – senza deleghe – dei propri diritti.

In conclusione, una compagna dell’Asamblea de los Pueblos Indigenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio (APIIDTT) ci ha raccontato l’esperienza della “Escuelita de la Tierra Rusianda’” e della riappropriazione delle conoscenze legate all’utilizzo delle piante medicinali intrapresa insieme ai ragazzi e alle ragazze di una scuola a Juchitàn de Zaragoza -’Istmo di Tehuantepec, stato di Oaxaca – e di come uno spazio autogestito può diventare un luogo di incontro e socialità, antidoto all’isolamento imposto dalla pandemia di COVID-19, capace di incrinare le mura che separano scuola e territorio.
Le parole che trovate custodite in questo libro sono frutto di conversazioni che sono state possibili grazie al cammino collettivo, svolto fianco a fianco con ognuna delle organizzazioni protagoniste. La profondità e la vicinanza dei racconti gentilmente condivisi sono il risultato di numerosi scambi di saperi, attraverso momenti laboratoriali e di dibattito su diversi temi – dall’educazione alla salute-, fecondati in spazi comuni di lotta come picchetti, manifestazioni e, in alcuni casi, anche le barricate. Spesso davanti al fuoco, con caffè caldo in mano, con la polizia schierata sullo sfondo di un plantón in una geografia o un calendario qualsiasi, nasce l’idea di collaborare fra diversi, fra güeros e lotte locali, e ci si inventa un workshop come pretesto; elementi pratici per condividere tempo, emozioni e saperi, le tattiche, i mille modi della resistenza e dell’organizzazione dal basso.
Tra queste occasioni di scambio possiamo citare per esempio il Laboratorio di grafica, embrione della Scuola di Arti e Mestieri dell’OPFVII; i laboratori di serigrafia – portati avanti con la complicità e solidarietà di 0stile Serigrafia Ribelle -; il laboratorio creativo “Cielo Stampato” – nato nella periferia romana e condiviso dalla Microstamperia Quarticciolo con i bambini dell’OPFVII e di Brigada callejera -; le giornate ed i laboratori dedicate alla salute con personale sanitario solidale dall’Italia condivisi assieme alla Brigada Callejera in uno dei quartieri più difficili del cuore popolare di Città del Messico, La Merced, come nella selva e sulle montagne del sud indigeno del Messico.

Speriamo questo libro possa servire altrettanto da stimolo su questa sponda dell’oceano per la creazione di momenti di dibattito e incontro a partire dal desiderio di continuare a “camminare domandando” i sentieri della sovversione, guidandoci nella costruzione di un mondo che possa accogliere tutti i mondi possibili. Questo testo, insieme agli altri libri della collana “Quaderni della complicità globale”, nasce con la speranza di essere un elemento di connessione, affinché ci si possa conoscere e imparare a riconoscere tra organizzazioni, collettivi, associazioni e singoli, confrontandoci a partire dall’educazione intesa come pratica di liberazione e su tutte le differenti tematiche del complesso, difficile e necessario mondo dell’autogestione, dell’autogoverno e dell’organizzazione popolare.

La nostra idea di scrivere e riportare lotte geograficamente così lontane non si fonda sulla necessità di importare ricette o linee guida per applicarle qui, e ancora meno sulla loro narrazione esotizzante, ma sul tentativo di raccontare la diversità per offrire elementi che possano ampliare lo sguardo sull’orizzonte, e così aiutarci a cogliere le infinite sfumature del presente, nelle quali inserire urgentemente il grimaldello della trasformazione sociale.

Nodo Solidale

Honduras: el Estado contra ellas

da Radio BlackOut

HONDURAS: EL ESTADO CONTRA ELLAS

CARCERE, MILITARIZZAZIONE E IMPUNITÀ NELLO STATO D’ECCEZIONE

Il 20 giugno 2023 ci fu un massacro nell’allora unico centro penitenziario femminile dell’Honduras, il PNFAS (Penitenciaría Nacional Femenina de Adaptación Social). 46 donne detenute con accuse relative all’affiliazione alla Mara Salvatrucha, la MS-13, furono brutalmente assassinate da altre donne appartenenti alla Pandilla Barrio 18. Le maras e le pandillas rappresentano il fenomeno predominante della criminalità organizzata in Centro America.
Quella del giugno 2023 è stata la più grande strage mai avvenuta in una prigione femminile nel Paese. Diverse denunce delle sopravvissute indicano che si sarebbe potuta evitare: molte detenute avevano segnalato ripetuti episodi di minacce e avevano chiesto di essere trasferite in altre strutture. Le armi utilizzate nel massacro sembrano provenire dalle forze di polizia, che in quel periodo gestivano la struttura carceraria, così come riportato nel documentario El País Carcel, frutto del lavoro d’inchiesta delle giornaliste di Contracorriente. Perché si è permesso che un simile massacro avvenisse? È la domanda che guida l’inchiesta e il documentario. L’Honduras già all’epoca si trovava in stato d’eccezione, emanato nel novembre 2022 per la lotta a maras e pandillas, e in particolare alle estorsioni. Con lo stato d’eccezione, ancora oggi in vigore, le forze di polizia e i militari hanno ottenuto ampi poteri per compiere arresti senza necessità di mandato, controllare i movimenti delle persone e intervenire con maggiore forza nelle aree sotto il loro controllo.
Dopo il massacro, la gestione delle carceri è stata affidata nuovamente ai militari. Nel frattempo il governo ha avviato una campagna mediatica con la promessa della costruzione di un megacarcere sull’isola del Cisne, nel nord del Paese. Questa appare più che altro come una mossa propagandistica, quello che potremmo definire populismo penale, nel solco della straordinaria popolarità di cui gode Nayib Bukele, attuale presidente del Salvador, dopo aver adottato politiche di tolleranza zero per la lotta a maras e pandillas. Negli ultimi 3 anni nel Salvador sono state arrestate oltre 80 mila persone, giovani e giovanissimi accusati di essere affiliati alle bande. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei trasferimenti al CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo), mega-carcere destinato a ospitare più di 40 mila persone.

In questa intervista con Jennifer Ávila, autrice del documentario e giornalista di Contracorriente, si affrontano tutti questi temi, con un focus particolare sul caso honduregno. Ciò che emerge è che la strage del giugno 2023 è il riflesso delle trattative tra lo Stato e la criminalità organizzata.

Ancora una volta, la guerra è stata combattuta sui corpi delle donne.

Come affermano le compagne:

No fueron unas contra otras, fue el Estado contra ellas.

Non si è trattato di uno scontro tra bande, ma del più grande femminicidio di Stato mai avvenuto nel Paese.