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L’anomalia della guerra in Messico

I dati della fabbrica del terrore

Il 5 marzo il collettivo “Guerreros Buscadores de Jalisco” scopre qualcosa che innalza il livello della crudeltà del potere in Messico: un campo di sterminio del Cartel Jalisco Nueva Generación, uno dei cartelli più feroci del Paese. In un ranch di Teuchitlán, nella campagna a un’ora dalla metropoli di Guadalajara (e a mezz’ora da una caserma militare), dietro un portone come altri milioni in Messico, vengono scovati – da un collettivo di familiari di “desaparecidos” e non dalle autorità competenti, come nella maggioranza schiacciante dei casi – tre forni crematori con ammucchiati frammenti umani e circa 400 paia di scarpe, centinaia di altri oggetti personali come braccialetti, orecchini, cappellini, zaini, quaderni con lunghissime liste di nomi, che proiettano la dimensione dell’orrore su centinaia, forse migliaia, di persone uccise con rigore scientifico in questo campo di sterminio contemporaneo. La vista della montagna di scarpe delle persone scomparse è un pugno al cuore per tutti coloro che, per associazione fotografica, volano con la mente ai peggiori massacri realizzati dalle dittature nazi-fasciste.

Ma Jalisco conta 186 siti di sepoltura clandestina processati dalle autorità, sebbene il ranch Izaguirre non figuri in questa mappa. Tlajomulco de Zúñiga è il comune con il maggior numero di fosse clandestine, per un totale di 75. Guadalajara la ricca, bella, ripulita e turistica capitale dello Stato è costellata di storie di desaparecidos e violenza, alcuni monumenti sono stati deturpati e trasformati in memoria viva con centinaia di foto e striscioni con i volti di persone sparite. Una realtà agghiacciante che va avanti da anni.

Sono più di quindici anni infatti che, come collettivo, ci siamo uniti a quella parte della società civile organizzata messicana che denuncia questa guerra negata, sporca, manipolata o romanticizzata nelle serie televise dedicate ai grandi capi del Narco. Una guerra del tutto capitalista, volta ad accumulare quantità assurde di denaro trafficando merci e corpi. Corpi picchiati, violentati, sfruttati fino all’ultima goccia, torturati e poi fatti a pezzi, sciolti nell’acido, bruciati, evaporati e dispersi nel nulla dell’oblio. Sono giovani uomini attratti da offerte di lavoro ingannevoli, bambini spariti in un angolo qualsiasi di una città, ragazzi reclutati con l’inganno. Sono moltissime donne: bambine, giovani, adulte, intrappolate in circuiti di tratta, abusi e torture inimmaginabili. E’ la fabbrica del terrore, la necro-produttività capitalista. Parliamo di 123.808 persone “desaparecidas”, dati del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No localizadas (RNPDN) aggiornati al 13 marzo 2025. Numeri che, addirittura, superano di gran lunga le cifre già spaventose dello sterminio e della sparizione forzata realizzati durante le dittature in Cile e Argentina. Ma in Messico la maggioranza delle vittime non è militante política, è gente comune e questo riduce di molto la risonanza di questo terrificante crimine, come analizzeremo più avanti. Più di 50.000 persone sono scomparse negli ultimi 6 anni, sotto il governo di centro-sinistra della pomposamente sedicente “4^ Trasformazione”, indicando matematicamente le responsabilità istituzionali di questa drammatica piaga sociale. A questi dati sommiamo gli omicidi realizzati nel paese dall’inizio della cosiddetta guerra al narco, ovvero da dicembre 2006: 532.609, dato aggiornato al 29 gennaio di quest’anno, secondo fonti ufficiali. Più di mezzo milione di vite stroncate, di cui almeno 250.000 durante gli ultimi sei anni, con i governi di centro-sinistra.

Sopravvivere alla “guerra di frammentazione territoriale”

Com’è possibile che tutto ciò passi in (quasi) completo silenzio?

L’elemento fondamentale dell’anomalia della guerra in Messico non risiede solo nell’alto indice di normalizzazione e negazione della stessa, di cui parleremo più avanti, ma soprattutto nella sua comprensione sociale, perché relegata ai margini della politica e delle definizioni classiche di guerra. “Ancora non piovono le bombe dal cielo”, ci diciamo a volte ironicamente, “non stiamo messi male” come in Palestina, in Siria, in Kurdistan, Sudan, in Ucrania. Eppure il numero dei morti è lo stesso o, in certi casi, superiore.
Questa infatti non è una guerra simmetrica, fra eserciti schierati o un’invasione dichiarata da una forza armata nemica; e neanche la tipica guerra contemporanea asimmetrica, che si combatte un po’ ovunque, con forze speciali dello Stato impegnate contro cellule del “nemico interno”. Il fronte messicano è caratterizzato invece da una moltiplicazione indiscriminata di attori armati e da un altissima intensità di fuoco, che frammentano il campo di battaglia in micro-conflitti molto violenti, sparsi e poco visibili che elevano brutalmente il tasso di mortalità fra la popolazione civile mentre l’attività economica, politica e sociale grosso modo va avanti, con black-out e intermittenze nelle gestione della vita pubblica locale. Definiamo quindi questa anomalia bellica come “guerra di frammentazione territoriale”. Del resto le aree più assiduamente colpite dalle offensive e contro-offensive dei vari gruppi armati (illegali o istituzionali), dai rastrellamenti, dalle sparizioni, dai reclutamenti forzati, sono i territori rurali o le periferie semi-rurali, come per esempio Teuchitlan, dove è “apparso” il centro di stermino e addestramento forzato nel ranch Izaguirre. In mezzo alle lande industriali, nei territori di frontiera, nel deserto, sulla costa, sulle montagne la gestione delle rotte, dei campi di coltivazione, del traffico di esseri umani è da decenni in mano a differenti gruppi di potere che si scannano su popolazioni di periferia, spesso indigeni e contadini, che non fanno notizia e, a volte, neanche fanno numero nelle statistiche. Quando la guerra fra i vari attori armati arriva nelle città si rende visibile, “registrabile”, fa scalpore ma spesso l’indignazione evapora nella paura per le rappresaglie e quando la violenza scema localmente in una geografia per intensificarsi in un altra.

Con lo sgretolamento dei grandi cartelli, più o meno stabili fino alla fine degli anni 90, e l’intromissione militare attiva dello Stato messicano come socio del Cartello di Sinaloa (2006) contro tutte le altre organizzazioni criminali, si è arrivati all’esplosiva creazione di centinaia di gruppi armati (240 secondo un’informativa della Secretaria de Gobernación) che a loro volta si diramano in cellule e sotto-gruppi locali, che gestiscono fisicamente in quartieri e villaggi la gestione delle attività illecite come il racket, la prostituzione, i sequestri, la fabbricazione e lo smistamento di armi e droga. La moltiplicazione degli attori armati ha aumentato considerabilemente la frammentazione del territorio, generando una balcanizzazione violenta del Paese, attraversato ampie aree “off limits” o con circolazione ristretta per coprifuoco. Queste numerose strutture/imprese criminali sono affiancate nel lavoro logistico e di controllo del flusso di merci/persone da tutte le forze armate e di sicurezza dello Stato, definite “corrotte” ma in realtà strutturalmente legate all’economia illegale, coinvolte a differenti livelli e divisi in differenti gruppi anche rivali e, quindi, anche in conflitto tra loro. Basta citare che nell’ultima “pulizia” ordinata quest’anno dall’attuale governatore del Chiapas Eduardo Ramirez, nell’affanno di recuperare un’immagine pubblica di decenza e con la necessità di riordinare il flusso di cocaina e migranti nella zona strategica della frontiera sud seguendo interessi di altri gruppi di potere, sono stati arrestati per mafia 270 poliziotti (e almeno tre sindaci) in cinque città differenti della regione, dimostrando implicitamente il livello di cooperazione fatto sistema tra Stato e crimine organizzato. Stato e Crimine che però non bisogna immaginare come due blocchi monolitici contrapposti, ma piuttosto dobbiamo abituarci a vedere e comprendere il panorama messicano come un grandissimo mercato, dove numerose agenzie, punti vendita e succursali, gruppi di pressione, giudici, polítici e burocrati insieme a molti attori armati, in divisa o meno, partecipano, si alleano e lottano a ritmi vertiginosi per assicurarsi una ghiotta percentuale nel controllo delle risorse del Paese (e, solo in parte, del fiume di cocaina che lo attraversa, su richiesta degli Stati Uniti d’America).

L’economia criminale come modo di produzione capitalista

La diffusione dell’economia criminale e della sua organizzazione è una ristrutturazione capitalista del dominio e saccheggio dei territori, un forma di accumulazione che in Messico si mostra con questa specificità che definiamo “guerra di frammentazione territoriale”. In America Latina lo Stato ha costantemente contribuito all’accumulazione (originaria e successiva) di Capitale attraverso le forze armate, con l’aggressione diretta contro chi impediva il saccheggio, spesso i popoli indigeni, gli operai e i contadini. Le classi subalterne nei secoli hanno sviluppato numerose e svariate forme di resistenza, anche armate, aprendo fino a pochi decenni fa un periodo feroce, ma anche formidabile, di lotta guerrigliera contro il potere statale, l’oligarchia e le grandi imprese. In Messico sono numerosissimi i casi di organizzazione della lotta armata, eredi dell’Indipendenza prima e della Rivoluzione poi, entrambe iniziate e portate a termine soprattutto dai contadini, dagli indigeni e successivamente dagli operai. Dopo l’insurrezione zapatista del 1994 e l’ampio consenso globale ottenuto da essa, per il governo messicano reprimere la resistenza popolare con le forze armate ha avuto, e continua ad avere, un costo politico molto alto (ricordiamo per esempio il caso di Ayotzinapa), ragion per cui l’uso delle forze dei sicari come outsorcing della repressione è diventato negli anni un vero e proprio dispositivo per raggiungere dei territori strategici, spopolarli attraverso la politica del terrore implementata dai gruppi criminali, riordinarli secondo la logica economica specifica (impiantare una miniera, un consorzio turistico, un porto, una diga o semplicemente ri-organizzare la forza lavoro e le risorse a favore del gruppo “vincente”). Si è passati dall’uso storico e secolare di mercenari al soldo dello Stato alla creazione di numerose imprese criminali regionali e locali che, indipendenti ma socie dello Stato, gestiscono, controllano e terrorizzano la popolazione per profitto proprio e con finalità condivise con chi governano le istituzioni: l’arricchimento illimitato. La repressione quindi non è più solo contro i guerriglieri e gli attivisti, ma è una forma di governance – flessibile, elastica ma spietata – su tutta la popolazione e sui territori su cui questa vive, lavora e sogna.

Questo dispositivo infernale, oltre a perpetuare la necessità capitalista di cosificazione e valorizazzione di ogni elemento, di ogni territorio e di ogni essere umano, ricopre un ruolo strategico importante nella guerra ideologica: quello di spoliticizzare la lotta di classe, la resistenza contro il saccheggio di ogni spazio vivibile.

L’uso del crimine organizzato, comunemente detto “narco”, come braccio armato del capitalismo permette collocare le vittime nel terreno fangoso del dubbio: l’hanno ammazato perchè lottava o perché magari aveva qualche intrallazzo che non si sapeva? Chi è stato realmente? Non ha la stessa ripercussione nell’opinione pubblica un omicidio realizzato dalla polizia o dall’esercito in uno scontro politico (una manifestazione o in combattimento guerrigliero) che un omicidio, con gli stessi fini, realizzato da sicari legati a un gruppo criminale, durante la “normalità” della vita quotidiana. O a volte neanche la “dignità” terribile dell’omicidio ma la sparizione forzata nel nulla, dove la vittima è inghiottita nel buio da un carnefice invisibile. In questa maniera si perdono più facilmente i connotati di un delitto politico, si “normalizza” l’aggressione facendola scivolare nell’oceano anonimo dei “delitti comuni”, non degni d’attenzione. Allo stesso tempo un omicidio chiaramente politico – così drammaticamente ricorrente nella lunga storia della lotta di classe – scatena effetti e reazioni con responsabilità politiche dirette: “è stato lo Stato!” E la gestione dello Stato, per quanto feroce, può essere messa in discussione, diviene “naturalmente” l’obbiettivo della rabbia popolare, così come storicamente i movimenti sociali hanno denunciato e combattuto la violenza dell’Esercito e della polizia, come bracci armati del potere e in qualche modo “traditori”, come lo Stato, del patto sociale con il popolo, che li mantiene. Quando però la fonte della violenza è un gruppo di imprenditori feroci, senza divisa, senza regole d’ingaggio, senza un’etica e un patto sociale a cui sottostare: come ci si ribella? Contro chi e come si dirige la rabbia sociale? È difficile, nonostante alcune eroiche eccezioni, manifestare, organizzarsi e difendersi contro un nemico senza regole, penetrato nel tessuto sociale e camaleontico, come la mafia.

Domande scomode

Spesso in Italia, tra un’iniziativa di contro-informazione e l’altra, abbiamo ascoltato domande dubbiose: “Ma c’è davvero la guerra in Chiapas? Ma è così proprio in tutto in Messico?” aggiunto magari da un “E’ che io ci sono andato in vacanza e mi sembrava abbastanza tranquillo…”

C’è una tendenza diffusa a minimizzare la portata dell’orrore, della gestione metodica (da campo di sterminio, appunto), istituzionale, sociale e politica del “fenomeno narco”. Da un lato la superficialità dell’analisi del potere, riprodotta dai media mainstream, che al massimo sottolinea solo gli aspetti “folckoristici”, aneddotici e incluso “brillanti” (tipo il Chapo Guzman che apparve nella lista di milionari di Forbes) di molteplici “casi isolati”; e questa è quella che più diffusamente giunge in Europa, una scelta narrativa del potere per distrarre l’attenzione sulle specificità sistemiche del “problema”. Dall’altro lato c’è la normalizzazione che la stessa società fa (che facciamo anche noi che ne denunciamo la barbarie) per sopravvivere: si esce di casa, si va al lavoro o al supermercato, d’un tratto degli spari e… si aspetta, in un riparo improvvisato, che finisca la sparatoria e si riprende poi il tran-tran. O arriva un messaggio della figlia del vicino “scomparsa”, lo si legge con un sospiro, si diffonde nelle chat e si torna alle occupazioni quotidiane, magari sussurrando una preghiera e sperando sommessamente che non tocchi mai a una figlia propria, a un parente, a un amico del cuore. In Messico apparentemente la vita scorre regolare, i bambini vanno a scuola, ogni tanto le chiudono per qualche sparatoria, ma i bambini sanno – come in caso di terremoto – che si devono accovacciare sotto i tavoli o sdraiarsi al suolo, appunto, perché la balacera è vissuta come un’altra catastrofe naturale qualsiasi, interiorizzata e affrontata come tale. Tra la banalizzazione dei media e l’assuefazione alla violenza come istinto di massa di sopravvivenza si getta la polvere (dei corpi carbonizzati) sotto il tappeto della normalità. E così, nonostante certi momenti di indignazione, ribellione e forte protesta popolare (come le mobilitazioni del 2011 del Movimento per la Giustizia con Dignità, quelle del 2014/2015 per i 43 di Ayotzinapa, la creazione di gruppi di “autodifesa” soprattutto nei territori indigeni), siamo giunti a mezzo milione di persone assassinate, oltre 120.000 desaparecidos e alla scoperta dei centri di sterminio in questa grande fossa comune chiamata Messico.

La gravità dei crimini riscontrabili nel ranch di Teuchitlán, perquisito dalle forze dell’ordine nel 2017 e poi nel settembre del 2024 che “non avevano notato la presenza di forni e altri dettagli”, mette a nudo nuovamente la rete di complicità fitte fra il crimine e lo Stato messicano. La gestione di un centro di addestramento ed eliminazione fisica dei corpi a questo livello può funzionare solo d’accordo con il silenzio – e possibilmente l’appoggio diretto – delle istituzioni politiche e di procurazione della giustizia. Un genocidio, un crimine di lesa umanità veniva perpetrato alle porte dalla seconda città più importante del Messico, dove la gente veniva adescata nelle stazioni dei pullman, portata lì, vessata fisicamente e sessualmente, istigata a uccidere e – chi sopravviveva all’inferno – obbligata a farsi sicario, trasformarsi in macchina di morte per la produzione e l’accumulazione di ricchezza del CJNG. Tutte le altre persone torturate atrocemente e poi bruciate, spazzate via come immondizia. Fumo.

Le domande che ne seguono sono terribili: quanti altri centri di sterminio simili stanno funzionando e sono tollerati in altri posti del Messico? Fino a quando volteremo lo sguardo altrove, permettendo alle imprese, ai governi e al loro braccio armato di disporre così atrocemente dei nostri corpi, del nostro futuro? Fino a quando accetteremo di vivere con la paura e il terrore nell’anima?

E per chi vive dall’altra parte dell’oceano: Fino a quando le serie sul narco e il turismo inconsapevole frivolizzeranno le nostre conversazioni sul Messico?

Fino a quando penseremo che quelle “due strisce” date il sabato sera non ci fanno complici del lato più feroce del capitalismo?

Fino a quando resteremo indifferenti?

Fino a quando ci assolveremo?

Nodo Solidale

#NarcoEsDespojo #NarcoEsCapitalismo #NarcoEsElEstado

SUL CAMPO DI CONCENTRAMENTO E STERMINIO IN JALISCO. IL RANCH IZAGUIRRE a Teuchitlán

Pubblichiamo la traduzione di un documento di Nodo de Derechos Humanos in merito al rinvenimento del campo di addestramento, tortura e sterminio nel ranch Izaguirre a Teuchitlán nello stato di Jalisco.

SUL CAMPO DI CONCENTRAMENTO
E STERMINIO IN JALISCO.

Nodo de Derechos Humanos, 12 marzo 2025


Il ritrovamento del campo di sterminio nel ranch Izaguirre a Teuchitlán, Jalisco, lo scorso 5 marzo 2025, è un esempio della crudeltà e dell’atrocità normalizzata, istituzionalizzata e coperta in Messico. Le immagini e le testimonianze possono essere paragonate solo alle peggiori storie di genocidi nel mondo.

La descrizione degli atti brutali e disumani eseguiti per almeno tredici anni in quel luogo rivela una lunga lista di crimini perpetrati in modo sistematico e quotidiano. La negligenza delle autorità di Jalisco e federali dimostra qualcosa di più di una semplice omissione. Il ranch era già stato identificato dalle autorità nel 2017 in seguito alla testimonianza di un sopravvissuto. Nel settembre 2024, agenti della Guardia Nazionale hanno condotto un’operazione a Teuchitlán, arrestando dieci uomini armati con armi d’uso esclusivo dell’esercito. In nessuno di questi due momenti è stata avviata un’indagine da parte della Procura di Jalisco né da quella Generale della Repubblica. Persino dopo gli ultimi ritrovamenti nel campo di sterminio, la Procura dello Stato di Jalisco non ha fornito alcun rapporto ufficiale, il che è estremamente grave e finisce per implicare direttamente le autorità in questa lunga catena di esecuzione di crimini gravi e inumani.

Per la gravità dei crimini commessi nel ranch Izaguirre, siamo di fronte a vari tipi di genocidio e di crimini contro l’umanità. L’intento non è stato quello di commettere un genocidio fine a sé stesso, ma di lucrare, sfruttare, abusare, sottomettere, controllare e degradare i corpi con fini economici e di potere.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite sterminio”, poiché sono state uccise più di una o due persone. È presumibile, dai racconti dei sopravvissuti e dalle caratteristiche dei crematori ritrovati, che le persone giustiziate siano state migliaia. Gli indizi rivelati dai video di Guerreros Buscadores mostrano che queste esecuzioni sono state perpetrate nelle forme più atroci. I probabili esecutori diretti (in questo caso il Cartello Jalisco Nueva Generación) hanno deliberatamente tolto la vita a queste persone per scopi economici e per rafforzare la loro struttura paramilitare.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite sottomissione intenzionale a condizioni di esistenza che portano alla distruzione fisica”, poiché per raggiungere i propri obiettivi il cartello ha deciso di sfruttare migliaia di persone nelle condizioni più violente e precarie, per poi sterminarle in modo sistematico per almeno tredici anni.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite trasferimento forzato di minori”, poiché secondo le testimonianze dei sopravvissuti, bambine sono state rapite e portate nel ranch per subire abusi e violenze sessuali da parte dei responsabili dell’operazione, prima di essere assassinate. Questi trasferimenti erano deliberatamente mirati a bambine di specifiche fasce d’età.

Siamo di fronte a un “genocidio tramite lesioni gravi all’integrità fisica e mentale delle persone”, non solo delle vittime giustiziate, ma di un’intera popolazione, poiché il danno emotivo si estende a tutte le famiglie e alle persone vicine alle vittime assassinate.

Siamo di fronte a “crimini di lesa umanità”, tra i più gravi e di rilevanza per la comunità internazionale nel suo insieme. Ciò deve portare a un’indagine approfondita e a una responsabilità penale individuale e strutturale. Il campo di concentramento e sterminio di Jalisco mette in evidenza una pratica generalizzata e sistematica contro la popolazione civile. È altamente probabile che autorità statali e federali, attraverso almeno tre amministrazioni presidenziali, fossero a conoscenza di questi crimini.

Siamo di fronte a un “crimine di lesa umanità per omicidio”, di “lesa umanità per schiavitù”, davanti a un “crimine di lesa umanità per trasferimento forzato di popolazione”, di “lesa umanità per privazione grave della libertà”, di “lesa umanità per tortura”, “per stupro”, per schiavitù sessuale”, di fronte a “crimini di lesa umanità per sparizione forzata di persone”.

Tutti questi crimini sono inclusi nello Statuto di Roma, ma in questo caso non sono stati commessi per motivi di razza, etnia, religione o nazionalità, bensì per motivi di classe e genere (uomini e donne in cerca di lavoro e bambine). Il fine dello sterminio sistematico è stato quello di coprire uno sfruttamento estremo a beneficio di un’impresa illegale e soddisfare un sadismo senza limiti. Le vittime erano per lo più giovani tra i 20 e i 25 anni in cerca di lavoro, e altre erano bambine.

La tragica realtà del Messico, con un indice di impunità del 99%, le cifre delle atrocità e la configurazione di uno Stato criminale ci pongono di fronte a un bivio. Le vie legali sono inutilizzabili, perché lo Stato, funzionando attraverso reti clientelari e di impunità, non giudicherà sé stesso.

Mentre guardiamo con orrore il campo di concentramento e sterminio in Jalisco, probabilmente molti altri sono ancora attivi o in fase di installazione in tutto il Messico, sotto la protezione delle autorità locali, statali e federali. Lo sappiamo perché questa guerra dura dal 2006, perché atrocità di questo tipo sono diventate quotidiane da 19 anni.

Il terribile caso di Teuchitlán rivela una verità brutale: ecco dove finiscono i desaparecidos in Messico. Ci permette di percepire la crudeltà che ha portato a quei crematori, alimentata dal sadismo paramilitare dei cartelli e dall’avidità inumana e codarda di governanti e imprenditori, sia legali che illegali. Non esiste uno Stato in Messico senza sparizioni. Il sottosuolo di tutto il Paese è una gigantesca fossa comune.

È inevitabile che, nominando Teuchitlán, pensiamo a un genocidio che coinvolge autorità municipali, statali e federali. È difficile immaginare che i governatori di Jalisco degli ultimi dodici anni non sapessero di ciò che accadeva, ed è scandaloso che non abbiano avviato alcuna indagine. La risposta del governo di Claudia Sheinbaum è stata così debole da sembrare un insabbiamento.

L’orrore del campo di concentramento e sterminio nel ranch Izaguirre esige una risposta chiara e decisa da parte della società messicana e del mondo. Tuttavia, questa risposta rischia di seguire le vie dell’opportunismo politico e della costruzione di “verità storiche” che puniscono capri espiatori per mantenere impuniti i veri responsabili strutturali.

La risposta non può essere aprire la porta all’interventismo degli Stati Uniti con la scusa del terrorismo, poiché proprio gli Stati Uniti sono in gran parte responsabili del costante flusso di armi ai cartelli e della trasmissione di tattiche brutali simili a quelle promosse dalla Escuela de las Américas e dai suoi successori.

La risposta non può essere trasformare ancora una volta queste atrocità in strumento di propaganda elettorale, né usare l’alibi di un’opposizione opportunista per puntare all’oblio e all’impunità, come è successo ripetutamente con il caso Ayotzinapa e molti altri.

Non possiamo permettere che la questione venga minimizzata con una procura speciale, trattata come un caso emblematico per poi essere archiviata come un episodio isolato. È necessaria un’indagine sistemica e urgente, perché ciò che l’inferno di Teuchitlán rende evidente è che la codardia, il sadismo e l’avidità dei cartelli non hanno limiti, e coloro che dovrebbero combatterli sono spesso loro complici.

A partire dal 5 marzo 2025, tutti i sindaci, governatori e presidenti degli ultimi 19 anni devono essere considerati sospettati di genocidio e crimini contro l’umanità, perché lo sono.

Ma chi può indagare e punire coloro che, dallo Stato, sono stati o sono complici di questo genocidio quotidiano, se sono proprio loro a detenere il potere? Non poter rispondere con certezza a questa domanda è tragico. È sconvolgente che né le autorità di Jalisco nel 2017 né la Guardia Nazionale nel settembre scorso abbiano scoperto e avviato un’indagine su questo campo di sterminio. A farlo è stato il collettivo Guerreros Buscadores, ancora una volta la gente che, di fronte alla negligenza dello Stato, organizza il proprio dolore e il proprio coraggio per affrontare i mostri più brutali.

È chiaro, ancora una volta, che dove la crudeltà massacra e lo Stato seppellisce, le famiglie cercatrici trovano.

Dobbiamo avere ben chiaro che, se vogliamo sopravvivere e impedire che la crudeltà e l’orrore occupino ogni angolo del nostro Paese e della nostra quotidianità, non possiamo permettere di superare un altro limite verso il terrore e la normalizzazione della violenza.

Al di là della lotta politica tra potenti, questo deve essere un punto di svolta per tutto il Messico. Non possiamo continuare a ingoiare menzogne che costano vite, non possiamo smettere di denunciare coloro che usano lo Stato per arricchirsi e sono complici della trasformazione del Messico in un campo di sterminio.

È urgente gridare con forza e impegno:

¡Teuchitlán NUNCA MÁS!

Teuchitlán MAI PIÙ!

Nodo de Derechos Humanos
www.nodho.net

GIUSTIZIA PER SAMIR FLORES SOBERANES! 6 ANNI DI IMPUNITÀ

Questo 20 febbraio si compiono 6 anni dal vile assassinio del nostro compagno Samir Flores Soberanes. Sei anni nella totale impunità di un governo che funge da mano armata per il grande capitale. Samir è stato ucciso da 4 colpi di pistola davanti a casa sua ad Amilcingo, nello stato messicano del Morelos, perché difendeva la terra dalla devastazione dei grandi progetti. I nomi di coloro che lo hanno assassinato non li conosciamo ancora, ma sappiamo bene a che interessi rispondevano.

Vi invitiamo questo 20 febbraio alle 12.00 di fronte all’ambasciata messicana a Roma (Via Lazzaro Spallanzani 16) per esigere, dopo sei anni, con la stessa forza, giustizia per Samir! Giustizia per chi difende la terra! Continua la lettura di GIUSTIZIA PER SAMIR FLORES SOBERANES! 6 ANNI DI IMPUNITÀ

Honduras: el Estado contra ellas

da Radio BlackOut

HONDURAS: EL ESTADO CONTRA ELLAS

CARCERE, MILITARIZZAZIONE E IMPUNITÀ NELLO STATO D’ECCEZIONE

Il 20 giugno 2023 ci fu un massacro nell’allora unico centro penitenziario femminile dell’Honduras, il PNFAS (Penitenciaría Nacional Femenina de Adaptación Social). 46 donne detenute con accuse relative all’affiliazione alla Mara Salvatrucha, la MS-13, furono brutalmente assassinate da altre donne appartenenti alla Pandilla Barrio 18. Le maras e le pandillas rappresentano il fenomeno predominante della criminalità organizzata in Centro America.
Quella del giugno 2023 è stata la più grande strage mai avvenuta in una prigione femminile nel Paese. Diverse denunce delle sopravvissute indicano che si sarebbe potuta evitare: molte detenute avevano segnalato ripetuti episodi di minacce e avevano chiesto di essere trasferite in altre strutture. Le armi utilizzate nel massacro sembrano provenire dalle forze di polizia, che in quel periodo gestivano la struttura carceraria, così come riportato nel documentario El País Carcel, frutto del lavoro d’inchiesta delle giornaliste di Contracorriente. Perché si è permesso che un simile massacro avvenisse? È la domanda che guida l’inchiesta e il documentario. L’Honduras già all’epoca si trovava in stato d’eccezione, emanato nel novembre 2022 per la lotta a maras e pandillas, e in particolare alle estorsioni. Con lo stato d’eccezione, ancora oggi in vigore, le forze di polizia e i militari hanno ottenuto ampi poteri per compiere arresti senza necessità di mandato, controllare i movimenti delle persone e intervenire con maggiore forza nelle aree sotto il loro controllo.
Dopo il massacro, la gestione delle carceri è stata affidata nuovamente ai militari. Nel frattempo il governo ha avviato una campagna mediatica con la promessa della costruzione di un megacarcere sull’isola del Cisne, nel nord del Paese. Questa appare più che altro come una mossa propagandistica, quello che potremmo definire populismo penale, nel solco della straordinaria popolarità di cui gode Nayib Bukele, attuale presidente del Salvador, dopo aver adottato politiche di tolleranza zero per la lotta a maras e pandillas. Negli ultimi 3 anni nel Salvador sono state arrestate oltre 80 mila persone, giovani e giovanissimi accusati di essere affiliati alle bande. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei trasferimenti al CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo), mega-carcere destinato a ospitare più di 40 mila persone.

In questa intervista con Jennifer Ávila, autrice del documentario e giornalista di Contracorriente, si affrontano tutti questi temi, con un focus particolare sul caso honduregno. Ciò che emerge è che la strage del giugno 2023 è il riflesso delle trattative tra lo Stato e la criminalità organizzata.

Ancora una volta, la guerra è stata combattuta sui corpi delle donne.

Come affermano le compagne:

No fueron unas contra otras, fue el Estado contra ellas.

Non si è trattato di uno scontro tra bande, ma del più grande femminicidio di Stato mai avvenuto nel Paese.

 

La violenza in Messico, a Guerrero, e l’invenzione della realtà ai tempi della 4T

Pubblichiamo la traduzione del comunicato del 19.11.2024 del CIPOG-EZ come contributo ai racconti del contesto di profonda violenza in cui versa il Messico intero e soprattutto la forma parossistica che assume nei territori più remoti del paese, come lo stato di Guerrero. 
Il contesto che ci viene raccontato è quello di una guerra civile promossa dall’alto, che chiamiamo guerra di frammentazione territoriale, una disputa intrapresa dal grande capitale transnazionale che si dispiega con tutta la sua violenza alla conclusione dell’ultimo ciclo presidenziale di MORENA sotto la direzione di Andres Manuel Lopez Obrador. All’inizio del nuovo mandato di Claudia Scheinbaum il paese versa in uno stato di violenza diffusa e ci restituisce le conseguenze di questa aggressione ai territori, alle comunità e alle organizzazioni autonome che si rifiutano di svendere i territori ancestrali che custodiscono. Una lotta per l’accaparramento di risorse che si fa sempre più pressante e che usa il crimine organizzato come braccio armato del gran Capitale,  che in Messico si materializza in megaprogetti come il Corridoio Interoceanico dell’Istmo, il Malchiamato Tren Maya, il Proyecto Integral Morelos.

Attraverso questdettagliata denuncia della situazione di violenza diffusa nello stato di Guerrero scorgiamo lo stesso schema che si riproduce in tutto il paese, principalmente in Chiapas e Oaxaca, dove osserviamo una fluida continuità tra differenti istituzioni di governo, forze di poliziamilitari e organizzazioni criminali. Un un processo frammentato ma a sua volta unitario, orientato a distruggere per ricorstruire,  a spopolare per ripopolare nel tentativo di accaparrarsi la fetta più grande di una torta sempre più piccola.

È in questo scenario e nel moltiplicarsi di attori armati che emerge chiaramente il ruolo delle organizzazione narco-paramilitari nella creazione di un clima di instabilità e violenza sistemica che permette – attraverso il terrore – una nuova accumulazione originaria, scagliata contro i popoli indigeni, ultimo antidoto all’aggressione estrattivista e baluardo nella lotta per la difesa del territorio e della vita; granelli di sabbia negli ingranaggi di una guerra che dal 2006 ad oggi ha mietuto oltre 480.000 vittime e 115.000 desaparecidos.

È di questa stessa guerra che è caduto vittima padre Marcelo Perez a San Cristobal in Chiapas,nel mese scorso, così come lo sono i 43 normalisti di Ayotzinapa, inghiottiti nel nulla da ormai 10 anni; è all’interno di questo stesso macabro quadro che si inserisce la guerra, sempre meno a bassa intensità, contro le comunità dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, colpevoli di ostinarsi a creare un mondo migliore, senza Stato e senza padroni, nel bel mezzo di un Paese (e un mondo) al bordo del collasso.

#NarcoEsDespojo 
#NarcoEsCapitalismo

 

19 novembre 2024

All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Al Congresso Nazionale Indigeno
Al Consiglio Indigeno di Governo
Alla Sesta Internazionale
A chi ha sottoscritto “Una dichiarazione per la vita”
Alle Reti di Resistenza e Ribellione
Alle Organizzazioni per i diritti umani
Ai Popoli del Messico
Al Movimento sociale di Guerrero
Ai Mezzi di comunicazione liberi e autonomi

 

Fratelli e sorelle del Messico e del mondo, vogliamo condividere con voi le nostre parole sulla situazione che stiamo vedendo e vivendo nello stato di Guerrero e in Messico:

Con tutto l’apparato dello Stato, con 4 canali televisivi pubblici dove quotidianamente vengono trasmesse le conferenze stampa mattutine, giornali, notiziari radio e TV, su internet e  a stampa, l’attuale governo della Quarta Trasformazione guidato da Claudia Sheinbaum, con Omar García Harfuch come Segretario di Sicurezza e Protezione Civile del Messico, ripete fino allo sfinimento discorsi su ciò che il suo governo fa – o dice di fare – per ristabilire la pace nel paese. Attraverso questi discorsi, costruisce una realtà inesistente e cerca di ingannare la popolazione, facendo credere che il male sia esterno all’apparato statale e che provenga solo da alcuni individui che creano l’intera violenza nel paese. Con una narrativa da telenovela, parlano durante le conferenze stampa mattutine di coordinamento tra stati, di spionaggio, di sicurezza e di arresti di persone importanti all’interno delle diverse strutture criminali.

Ma ciò che vediamo e viviamo quotidianamente nello stato di Guerrero è completamente l’opposto di tutto questo:

Sparatorie e omicidi di innocenti, decapitazioni di sindaci, sequestri di gruppo che coinvolgono donne, bambini e bambine, incenerimento di corpi, che secondo il capo della Segreteria della Difesa Nazionale, Ricardo Trevilla Trejo, sono dovuti a “scontri tra gruppi locali”; partendo da questa affermazione, ci chiediamo: a quale gruppo criminale locale apparteneva il sindaco di Chilpancingo, Alejandro Arcos Catalán, per meritarsi di essere decapitato? E a quale gruppo appartenevano le donne e i bambini sequestrati a Mochitlán?

Vediamo e viviamo sfollamenti forzati, estorsioni, il controllo delle risorse economiche dei comuni da parte di gruppi criminali, le telecamere di videosorveglianza nel comune di Chilapa sotto il controllo degli Ardillos, il traffico di stupefacenti su tutte le strade dello stato con la compiacenza della Polizie Municipale, Statale e delle autorità dello Stato; molestie, intimidazioni e furti nei confronti di appartenenti al mondo del giornalismo di Guerrero; pranzi e conversazioni cordiali tra sindaci, sindache e produttori di violenza – così come vengono chiamati oggi nelle conferenze stampa mattutine -, come il pranzo di Norma Otilia Montaño (ex-sindaca di Chilpancingo) con Celso Ortega, leader degli Ardillos; osserviamo anche incarcerazioni di capri espiatori e indagini pilotate per evitare l’arresto dei capi dei gruppi criminali, i mandanti intellettuali; in questi casi, è evidente la complicità e la partecipazione diretta di autorità municipali, statali e federali, insieme alle corporazioni di “sicurezza”, compresa la Guardia Nazionale, la SEDENA e la Marina, il cui numero di effettivi raggiungono già i 12.675 tra Tecpan, Quechultenango, Acapulco e altri comuni dello stato, secondo Ricardo Trevilla Trejo, lo stesso capo della SEDENA la cui analisi della realtà indica che il problema di Guerrero sono gli “scontri tra gruppi locali”.

Il semplicismo delle loro affermazioni dovrebbe essere una prova sufficiente per capire che: 1. Le capacità cognitive di coloro che dirigono le corporazioni di sicurezza dello Stato sono inesistenti. 2. La criminalità organizzata ha il suo volto più visibile in chi spara, uccide, rapisce, traffica, ecc., ma il volto occulto della criminalità veste in giacca e cravatta e si trova in ogni istituzione dello Stato e in ogni corporazione di “sicurezza”. Per noi, popoli indigeni che abbiamo vissuto da vicino la violenza dei gruppi criminali e il silenzio dello Stato, è chiaro che la criminalità sono tutti e tutte loro.

Dal nostro punto di vista, il governo ha tollerato l’esistenza di gruppi paramilitari, narco-paramilitari e cartelli che arrivano a controllare interi territori in tutto il paese, spesso per appropriarsi delle risorse naturali custodite dai popoli e dalle comunità indigene, per poi consegnarle al capitale transnazionale; i partiti politici sono collusi con la mafia, con cartelli locali e non, per controllare il territorio e cooptare le popolazioni del paese affinché gli fossero affidate cariche pubbliche (sindaci, governatori, presidenti), con la conseguenza evidente di dover restituire il favore a chi li ha messi al potere.

Lo stesso governo federale ha tollerato l’esistenza dei cartelli per controllare il movimento sociale-popolare di Guerrero e del paese, i sistemi comunitari e di giustizia sorti da assemblee popolari e dalle comunità; le corporazioni di sicurezza percepiscono un secondo stipendio, più redditizio rispetto a quello che ricevono per il loro lavoro legale, dal servizio che offrono alla criminalità; il denaro che circola nelle sfere del potere, da qualsiasi fonte provenga, legale o illegale, è più importante della vita del popolo, sia esso di Guerrero, Chiapas, Sinaloa, Guanajuato, Oaxaca, Michoacán o di qualsiasi stato del paese. Per questo affermiamo con chiarezza che la criminalità è lo Stato.

È per questo che non accettiamo la narrazione dei buoni contro i cattivi, ciò che vediamo è l’intervento assoluto, non di sola complicità, ma di coinvolgimento dello Stato nei crimini contro la popolazione messicana. In Guerrero, il Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata (CIPOG-EZ), durante l’intero mandato di Andrés Manuel, ha denunciato il gruppo narco-paramilitare Los Ardillos, che ha rapito, torturato, fatto a pezzi e ucciso 63 abitanti delle comunità della Montagna Bassa di Guerrero, oltre alla desaparicion forzata di altri 22 fratelli e sorelle, allo sfollamento e all’assedio di queste comunità.

Lo abbiamo detto in faccia allo stesso Andrés Manuel quando è stato intercettato dal CIPOG-EZ nell’ottobre 2022, sulla strada che va da Chilapa a Tlapa: “CI STANNO UCCIDENDO! Evelyn Salgado (governatrice dello stato di Guerrero) sa chi sono e dove si trovano Los Ardillos, i presidenti municipali lavorano con Los Ardillos, pubblici ministeri e giudici dello stato lavorano con loro, le polizie municipali e statali sono Ardillos, Bernardo Ortega Jiménez, attuale deputato del PRD, è il capo degli Ardillos insieme ai suoi fratelli. Chilapa, Quechultenango, Tixtla, Colotlipa, Acatepec, ecc., sono municipi sotto il controllo degli Ardillos”.

Nonostante quanto già detto, lo scorso 13 novembre, Harfuch ha annunciato trionfalmente l’arresto di Vicente Gerardo, detto “El Garza”, a Querétaro (sono andati fin là a cacciare Ardillos, pur sapendo dove operano), capo zona degli Ardillos. Come se avessero sradicato il male dallo stato di Guerrero, hanno annunciato il suo arresto collegandolo alla decapitazione del sindaco di Chilpancingo, alla sparizione e all’omicidio della famiglia di Mochitlán, al controllo di ampie regioni di Guerrero come Tecoanapa, Ayutla de los Libres e San Marcos, ecc., come se fosse lui il capo degli Ardillos; ma noi sappiamo e abbiamo già denunciato dove si trovano i veri capi di questo gruppo criminale.

È sufficiente chiedersi perché non arrestano Bernardo Ortega Jiménez, deputato del PRD di Guerrero e capo degli Ardillos, o Jesús Parra García, ex sindaco del PRI di Chilapa, oggi deputato locale al congresso di Guerrero, che sa come e dove operano gli Ardillos e come si finanziano le campagne elettorali affinché persone come lui diventino deputati o accedano a incarichi pubblici.

Quindi è sufficiente chiedersi per quale motivo arrestino piccoli delinquenti e non coloro che dirigono le organizzazioni criminali per comprendere che la violenza a Guerrero non avrà fine poiché è provocata dallo stesso Stato, in tutte le sue strutture, e lo Stato non può attaccare se stesso. Per questo, la cosa più comoda è simulare operazioni, reinventare la realtà e mantenere intatta la struttura criminale. Pace a parole, violenza nei fatti.

Di quanto detto finora riteniamo direttamente responsabili Claudia Sheinbaum, Evelyn Salgado, Harfuch, i presidenti municipali e le corporazioni di sicurezza; per la violenza che si vive nel paese e per la morte delle persone che ogni giorno sono vittime della violenza causata dal disprezzo dei gruppi al governo. Li riteniamo responsabili della sicurezza del nostro fratello Jesús Plácido Galindo, promotore del CIPOG-EZ, come di altre autorità comunitarie, minacciate di morte dagli Ardillos, e per le quali non sono è stata messa in atto alcun tipo di misura di sicurezza; sappiamo perché.

Facciamo un appello alla società affinché metta in dubbio e  e si interroghi sul discorso portato avanti dai mezzi di comunicazione e attraverso cui pretendono convincerci che il governo di Morena stia disarticolando la criminalità e lavorando per la sicurezza del popolo, mentre in realtà sta solo assicurando la consegna delle risorse naturali del paese al capitale e la sua permanenza al potere per molti mandati.

Facciamo appello ai maestri, agli intellettuali, a rendere visibile attraverso il pensiero critico la realtà del paese e la costruzione di discorsi provenienti dal potere. Rivolgiamo inoltre un appello ai contadini, alle organizzazioni sociali, agli studenti e al movimento popolare di Guerrero affinché si organizzino per la difesa della vita delle loro comunità e per la difesa del territorio, poiché la giustizia non arriverà mai dall’alto.

Ai popoli e alle comunità del Messico, chiediamo di rimanere in allerta, poiché lo scenario che descriviamo non si verifica solo a Guerrero, ma in tutto il paese. Gli omicidi e gli arresti continueranno, perché prolungare la permanenza di Morena al potere e posizionare politicamente Harfuch, personaggio dal passato tetro (con un nonno militare assassino di studenti nel 1968, un padre torturatore membro della Direzione Federale di Sicurezza durante la Guerra Sucia, e lui stesso artefice, insieme ad altri, della cosiddetta “verità storica” nel caso della sparizione dei normalisti di Ayotzinapa), come figura centrale del prossimo mandato, implica spianare la strada e riordinare il territorio, le forze economiche, politiche e sociali in Messico, uccidendo persone innocenti e chi lotta per difendere la vita e il territorio, distruggendo storie per imporre la propria, quella del vincitore, cosa che ci rende fortemente vulnerabili.

Alle organizzazioni per i diritti umani solidali, alla Sesta Nazionale e all’Altra Europa, quella che non si arrende, chiediamo di continuare a vegliare su di noi, come hanno sempre fatto fino ad oggi.

A 114 anni dall’inizio della Rivoluzione Messicana, rivendichiamo la lotta di Emiliano Zapata, di Francisco Villa, di Magón e di tutte quelle persone che hanno lottato per la vita e per la costruzione di una realtà senza tiranni e sfruttatori, con libertà, giustizia e democrazia.

Abbracciamo i nostri fratelli e sorelle dell’EZLN per i loro 41 anni di lunga ribellione e resistenza. Come CIPOG-EZ, continuiamo a resistere, senza arrenderci, senza venderci e senza claudicare.

FERMIAMO LA GUERRA CONTRO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO!

Con rispetto:

Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata.

Link originale: https://www.congresonacionalindigena.org/2024/11/19/la-violencia-en-mexico-en-guerrero-y-la-creacion-de-realidades-en-tiempos-de-la-4t/

Per saperne di più: https://radiozapote.org/denuncia-urgente-hostigamiento-y-amenazas-a-companers-de-la-mision-civil-de-observacion-sexta/

Assassinano padre Marcelo crivellandolo di colpi dopo aver officiato la messa: da sempre ha denunciato l’estrema violenza in Chiapas.

Pubblichiamo la traduzione di questo del 20.10.2024 articolo a cura della Redazione di Desinformémonos perchè pensiamo sia prezioso per far conoscere la storie e le lotte portate avanti da padre Marcelo Perez Pérez attraverso le sue stesse parole.
Verità e giustizia per padre Marcelo!
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Padre Marcelo Pérez Pérez, presbitero della chiesa di Guadalupe a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, ed ex parroco di Simojovel, è stato assassinato, a seguito di minacce, subito dopo aver officiato una messa nel quartiere di Cuxtutali. È stato crivellato di colpi da persone a bordo di una motocicletta.

 

Chi era padre Marcelo?

Condividiamo un’intervista con il sacerdote realizzata da Raúl Zibechi nel settembre 2022.

“Stiamo vivendo qualcosa di simile ai tempi di Gesù. I romani non avevano pietà. Il narcotraffico non ha pietà”, sentenzia padre Marcelo Pérez, seduto nella sala da pranzo della parrocchia Nuestra Señora de Guadalupe a San Cristóbal de las Casas, Chiapas.
La chiesa sorge su un’altura, raggiungibile salendo 79 scaloni che lasciano con il fiato corto. La ricompensa è una vista panoramica stupenda, con montagne alberate che dominano la candida città coloniale. Al centro, a fare da cerniera tra il manto naturale e le pietre urbane, c’è la chiesa, circondata da una piazza alberata dove incontriamo padre Marcelo, sempre accompagnato da persone che lo consultano e gli chiedono consiglio.

Marcelo si è formato nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez, che definisce come “molto conservatrice”, ma nel 2001 fu inviato a Chenalhó dove la sua vita cambiò radicalmente. “Acteal mi ha dato la luce”, afferma con fermezza. Il massacro di Acteal, del 22 dicembre 1997, con un saldo di 45 tsotsiles [popolo maya della regione de Los Altos de Chiapas, ndt] assassinati mentre pregavano per mano di paramilitari addestrati per combattere l’EZLN, continua a esercitare una brutale presenza sul municipio e in tutto il Chiapas.

“Avevo paura, ma ad Acteal ho visto che le persone sono libere. Sono pastore, ma ho visto che il gregge è molto più coraggioso. Mi sono unito a loro per denunciare l’impunità e per lottare contro il progetto Ciudades Rurales del governo di Juan Sabines”, continua il padre in un racconto che spazia dagli anni della formazione all’impegno con il suo popolo.

Rifiuta l’ispirazione della Teologia della Liberazione e recita i quattro pilastri del suo pensiero e modo di agire: la realtà che affrontiamo, la parola di Dio di fronte a essa, la posizione della chiesa e gli impegni necessari da assumere. “Parlare di teologia della liberazione significa entrare in conflitto”, afferma con pragmatismo.

Poi ritorna al suo discorso: “Acteal mi ha convertito”. Il dolore nasce ascoltando i sopravvissuti: María, Zenaida, donne e uomini che hanno perso tutta la loro famiglia. “Come è possibile dir loro che Dio li ama!”, esclama il padre. Per questo non si ispira alla parola della Bibbia, alla teoria che nasce dal testo sacro, ma prende un’altra direzione, “piangere con chi piange, soffrire con chi soffre” e, soprattutto, “camminare con loro”.

La strada non è nel cambio di partito.

Le parole scorrono su una tavola imbandita con un pranzo semplice. Ci avvolge il suo entusiasmo e la sincerità del suo dolore. “I sopravvissuti sanno leggere, lì è la luce”. Impossibile non ricordare parole molto simili pronunciate decenni fa dall’assassinato monsignor Oscar Romero, che si espresse in modo molto simile al sacerdote di Chenalhó: “Il sangue di Rutilio Grande mi ha convertito”, disse in riferimento al martire del movimento contadino salvadoregno.

La conversione portò padre Marcelo a camminare con il popolo contadino. Non solo ha accompagnato le vittime, ma denunciò anche gli autori materiali e intellettuali della violenza, il che gli ha provocato la persecuzione da parte del governo del Chiapas.

“Nel 2008 hanno incendiato la casa parrocchiale, poi hanno danneggiato le candele e le gomme della mia auto, e il 12 dicembre 2010 due ragazzi mi hanno picchiato per strada”, racconta con calma.

È quasi morto quando hanno collegato un cavo elettrico al serbatoio della benzina del suo veicolo, il che lo ha spinto ad accettare il trasferimento a Simojovel, dove è arrivato il 5 agosto 2011. “La gente ha iniziato a visitarmi per raccontare le proprie tragedie, gli omicidi, le morti. È così che ho scoperto che i criminali hanno accordi con le autorità e alle denunce sono seguite le minacce”.

L’8 marzo ha organizzato una processione di donne contro la vendita di droghe nei pressi della presidenza del municipio. Lo hanno accusato di essere un guerrigliero e persino uno zapatista, hanno messo una taglia sulla sua testa, fino a quando nel 2014 il municipio e il PRI hanno cercato di mobilitare la popolazione contro di lui, con scarso successo tra la gente.

Un punto di svolta è stato il pellegrinaggio di 15.000 persone, tenutosi in ottobre, in cui si denunciò la famiglia Gómez Domínguez, che è entrata in scena con sicari che hanno fatto vari attentati e messo sù una campagna mediatica contro padre Marcelo, arrivando a offrire un milione di pesos per la testa del sacerdote di Simojovel.

Nel citato comunicato, il Pueblo Creyente conclude che i cambiamenti non vengono da un partito “ma dalla società civile, dai popoli originari, dalla classe povera e media”, e denuncia che il Chiapas “si avvicina a un’esplosione sociale”.

La sua forma d’azione sociale è la convocazione di processioni, alle quali hanno partecipato decine di migliaia di fedeli, e la denuncia delle autorità e dei politici. È riuscito a far sì che i Gómez Domínguez non vincessero le elezioni municipali, ma è stato denunciato per diffamazione presso la PGR. Comunque Marcelo riconosce che “la strada non è cambiare partito”.

Negli anni successivi ci sono stati molti sit-in della popolazione e tanti omicidi da parte del crimine organizzato, sempre sotto la protezione delle autorità. “Il 12 dicembre 2017 ho celebrato la messa più triste della mia vita, per la morte di due anziani a causa del freddo e della fame”. Proseguono lo sfollamento forzato di intere comunità, ulteriori violenze e morti, bombe e spari. Ma la popolazione continua a resistere.

Nel maggio 2017 nasce il Movimento Indigeno del Pueblo Creyente Zoque in Difesa della Vita e del Territorio (ZODEVITE), mentre a giugno si svolse una massiccia processione verso Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e petrolifere, poiché il governo messicano voleva concedere a imprese straniere oltre 80.000 ettari, coinvolgendo più di 40 ejidos e comunità locali.

La mobilitazione ha rappresentato una nuova sconfitta per i piani di chi sta in alto, ma la violenza continua. Nel 2021 si sono registrati a Pantelhó, un municipio di appena 8.600 abitanti della regione degli Altos del Chiapas, più di 200 morti a causa del crimine di stato/organizzato,.

Il 3 luglio viene assassinato Mario Santiz López. Il 5 luglio 2021 viene assassinato Simón Pedro Pérez López, catechista ed ex presidente della direzione della Società Civile Las Abejas di Acteal, colpevole di promuovere la non violenza e di accompagnare le comunità tsotsiles di Pantelhó. Al suo funerale Marcelo ha accusato il “narco-municipio”, cioè l’alleanza tra lo Stato e il crimine organizzato.

Sebbene abbia chiesto alle comunità di “non cadere nella tentazione della vendetta”, il 10 luglio è stato diffuso un comunicato del gruppo armato “El Machete”, creato dalle comunità come autodifesa contro la violenza. Il 26 luglio 2021 migliaia di persone in passamontagna hanno preso il controllo del municipio, 19 uomini sono stati esposti ammanettati nella piazza centrale del municipio a causa dei loro legami con il crimine organizzato.

Sebbene fosse stata un’azione collettiva comunitaria (un’esplosione dal basso), che apparentemente non fu convocata da El Machete, la Procura Generale del Chiapas ha emesso un mandato di arresto contro padre Marcelo per la scomparsa di queste 19 persone a Pantelhó. Non importava loro che quel giorno il sacerdote fosse in un altro luogo, a Simojovel, che invocasse sempre la pace e che il giorno successivo fosse arrivato in realtà per calmare gli animi.

È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.

Il mandato di arresto è ancora in vigore. A ottobre è stato trasferito alla chiesa di Guadalupe a San Cristóbal, dove adesso ci spiega chi sta provocando violenza e morte. “Le autorità sono complici del narcotraffico. Hanno cercato di metterci a tacere, attraverso minacce di morte e diffamazione sui social network. Si ho paura, ma questo non mi ferma”.

Nella sua analisi della situazione, questo indigeno tsotsil che è sacerdote in Chiapas da 20 anni, sostiene che non è possibile fermare la violenza perché i poliziotti sono sicari, perché “abbiamo un narco-Stato”. È convinto che la violenza peggiorerà e che solo successivamente si potrà giungere ad una certa calma, ma a costo di molto sangue. “Spero che sia il sangue di sacerdoti e vescovi, non quello del popolo”.

Afferma che siamo nel mezzo della tempesta, che non si può risolve con un’altra tempesta, ma cercando strade differenti. Diffida dei poteri e dei potenti: “Se uccidono me è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla, a nessuno importa. Se serve dare la mia vita, eccomi qui”, conclude.

Prima di congedarci, fa riferimento a una frase biblica, assicurando che i dolori che stiamo attraversando sono “i gemiti del parto”. Pone i suoi principi e valori al di sopra della sua stessa vita: “Non accetto guardie del corpo. È contro il Vangelo che qualcuno muoia perché io viva. È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.”. Nel saluto finale, si confessa: “Non mi fido della polizia”.

 

 

 

Aggressioni e minacce contro le Basi d’Appoggio Zapatiste di Nuevo Jerusalén

Di seguito riportiamo la traduzione del comunicato dell’EZLN e denuncia effettuata dal  Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba)  in merito alle minacce e aggressioni subite dalle Basi d’Appoggio Zapatiste di Nuevo Jerusalén.

La denuncia può essere firmata dalla pagina:
https://frayba.org.mx/denunciamos-el-riesgo-la-vida-seguridad-e-integridad-personal-de-los-habitantes-bases-de-apoyo-del

 

L’EZLN denuncia aggressioni e minacce contro le sue basi di appoggio

 

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIÓNE NAZIONALE

MESSICO

16 OTTOBRE 2024

ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE:

A CHI HA FIRMATO LA DICHIARAZIONE PER LA VITA:

COMPAS:

ALCUNE SETTIMANE FA, ABITANTI DI PALESTINA HANNO MINACCIATO LE DONNE, GLI ANZIANI, I BAMBINI E GLI UOMINI DEL VILLAGGIO ZAPATISTA “6 DE OCTUBRE”, PARTE DEL CARACOL DI JERUSALÉN, DI CACCIARLI DALLE TERRE CHE OCCUPANO E LAVORANO, PACIFICAMENTE, DA OLTRE 30 ANNI.

FINO A QUESTO “CAMBIO” DI GOVERNO, IL VILLAGGIO “6 DE OCTUBER” AVEVA VISSUTO IN PACE E ARMONIA CON LE POPOLAZIONI CIRCOSTANTI, SENZA PROBLEMI.

DALL’INIZIO DI QUESTO PROBLEMA IL GOVERNO AUTONOMO LOCALE (GAL) DI “6 DE OCTUBRE” E L’ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DEI GOVERNI AUTONOMI ZAPATISTI (ACEGAZ) DEL CARACOL JERUSALÉN, HANNO INSISTO PER IL DIALOGO E L’ACCORDO CON LE AUTORITÀ COMUNALI DI PALESTINA, MA È STATO INVANO. QUESTE AUTORITÀ DI PALESTINA DICHIARANO DI AVERE L’APPOGGIO DELLE AUTORITÀ MUNICIPALI DI OCOSINGO E DEL GOVERNO DELLO STATO DEL CHIAPAS (RISPETTIVAMENTE PVEM E MORENA), E DI AVERE ISTRUZIONI DA TALI MALGOVERNI DI CONSEGNARE AGLI AGGRESSORI I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LA LORO PROPRIETÀ SULLE TERRE SOTTRATTE.

GLI STESSI ABITANTI DI PALESTINA SOTTOLINEANO CHE CI SONO PRESSIONI DA PARTE DELLA COSIDDETTA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PERCHÉ I NOSTRI COMPAGNI VENGANO CACCIATI E CHE C’È UN ACCORDO TRA LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E I DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO PER DARE NATURA “LEGALE” A QUESTO FURTO.

LE MINACCE SONO IN AUMENTO FINO A COMPRENDERE LA PRESENZA DI ABITANTI DI PALESTINA CON ARMI DI GROSSO CALIBRO, MINACCE DI STUPRO SULLE DONNE, INCENDI DI CASE E FURTI DI BENI, RACCOLTI E ANIMALI.

LE PROVOCAZIONI NON CESSANO. IL CARACOL JERUSALÉN ERA UNO DEI LUOGHI CONTEMPLATI PER LA CELEBRAZIONE DEGLI INCONTRI DI RESISTENZA E RIBELLIONE 2024-2025.

POICHÉ DOBBIAMO ESSERE CONSAPEVOLI DEL DETERIORAMENTO DI QUESTA GRAVE SITUAZIONE, SOSPENDIAMO TUTTE LE COMUNICAZIONI E LE INFORMAZIONI RIGUARDANTI TALI INCONTRI E CONTEMPLEREMO LA CANCELLAZIONE DEGLI STESSI PERCHÉ NON CI SAREBBE SICUREZZA PER I PARTECIPANTI OVUNQUE IN CHIAPAS.

QUESTA È LA REALTÀ DELLA “CONTINUITÀ CON IL CAMBIAMENTO” DEI MALGOVERNI.

È TUTTO.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, ottobre 2024

Denunciamo il rischio per la vita, la sicurezza e l’integrità personale degli abitanti Basi di d’Appoggio dell’EZLN della comunità 6 de Octubre, CGAZ di Nuevo Jerusalén
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

16 ottobre 2024

Azione Urgente n. 3

  • L’assedio all’autonomia zapatista continua senza sosta.
  • Il Governo Autonomo Locale ha reso noto che un gruppo di persone armate si è stabilito nelle terre recuperate.

Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha ricevuto informazioni dai Collettivi di Governi Autonomi Zapatisti (CGAZ), Caracol IX, Nuevo Jerusalén, riguardo agli attacchi di persone armate e all’installazione di capanne all’interno delle terre recuperate del villaggio 6 de Octubre, Governo Autonomo Locale (GAL), comune ufficiale di Ocosingo, Chiapas.

In più occasioni durante il mese di giugno, persone sconosciute sono arrivate nella comunità con armi di differente calibro, intimidendo le famiglie del villaggio 6 de Octubre. Hanno svolto delle perlustrazioni e scattato foto. Successivamente, due Basi di Appoggio che erano uscite per andare a lavoro sono state minacciate: è stato detto loro in modo “pacifico” che devono lasciare la loro comunità, altrimenti sarebbero stati “cacciati con la forza”. La comunità non ha ceduto a queste intimidazioni che si sono succedute nel tempo. Finché la sera del 30 agosto, un drone è stato avvistato sorvolare l’abitato della comunità 6 de Octubre.

Nel corso del mese di settembre, persone sconosciute hanno continuato a fare incursioni, generando paura tra gli abitanti. L’episodio culminante è avvenuto il 23 settembre 2024, intorno alle ore 6:00, quando un gruppo di persone armate è arrivato al GAL 6 de Octubre. Sono arrivati con 10 veicoli con a bordo circa 100 persone, scese per ripulire una porzione di terreno dove costruire le proprie capanne, vicino alle abitazioni delle famiglie Basi di Sostegno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN). Da quel momento, il gruppo armato è rimasto sul posto, incrementando le intimidazioni e le minacce. Uomini armati sorvegliano le attività delle famiglie zapatiste. Per sicurezza, gli uomini del villaggio preferiscono restare in casa, lasciando uscire solo le donne, che sono state oggetto di minacciate di violenza sessuale.

Dal 5 settembre 2024, diverse autorità dello Stato messicano sono state informate della presenza di questo gruppo armato, delle intimidazioni e delle minacce nelle terre recuperate delle famiglie BAEZLN, senza che finora siano state intraprese azioni efficaci per affrontare la situazione, con il rischio di sfollamento forzato interno.

Chiediamo alle autorità competenti di:

  • Adottare azioni urgenti e necessarie per garantire e proteggere la vita, l’integrità e la sicurezza personale delle famiglie Basi d’Appoggio Zapatiste, evitando che la situazione peggiori.
  • Condurre indagini tempestive e adeguate per identificare i responsabili, smantellare e disarmare il gruppo o i gruppi che operano nella zona.
  • Garantire e rispettare in generale l’autonomia e l’autodeterminazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e delle sue Basi d’ Appoggio, e nello specifico dell’Assemblea dei Collettivi di Governi Autonomo Zapatisti di Nuevo Jerusalén.
  • Facciamo appello alla solidarietà nazionale e internazionale affinché si firmi urgentemente questa petizione e scrivano alle autorità messicane per fermare queste azioni violente contro le comunità zapatiste.

Firmando questa Azione si invierà automaticamente un’e-mail alle autorità governative con il vostro indirizzo come mittente . Maggiori informazioni nell’ informativa sulla privacy. 

 

 

AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta

A dieci anni dal massacro e “desaparición” Degli studenti di Ayotzinapa proponiamo la traduzione di questo articolo del giornalista John Gibler, autore del libro “Una storia orale dell’infamia”, che ci racconta come il governo di Andrés Manuel López Obrador, nonostante le forti promesse di costui in campagna elettorale, abbia paralizzato le indagini e tradito le famiglie dei desaparecidos . Nell’articolo viene ricostruita nel tempo la continuità nella copertura dei responsabili tra i differenti partiti di governo, come anche la complicità tra i differenti livelli di governo, forze armate di ogni ordine e grado, e criminalità organizzata negli avvenimenti della lunga “Notte di Iguala” e nel continuo insabbiamento e depistamento delle indagini nel corso di un decennio.

AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta

Jonn Gibler -23 settembre 2024

Link articolo originale: https://estepais.com/tendencias_y_opiniones/amlo-ayotzinapa-dimension-desconocida/

Nel 2016 la scrittrice cilena Nona Fernández ha pubblicato un libro di non-fiction intitolato La dimensione sconosciuta. Il libro prende il titolo dalla serie televisiva di fantascienza, fantasy e horror americana The Twilight Zone. L’autrice cita nell’epigrafe lo slogan della serie: “Oltre il conosciuto c’è un’altra dimensione. Voi avete appena attraversato la soglia”.

“La dimensione sconosciuta è un modo per nominare quella realtà parallela che lo Stato gestisce e nega simultaneamente.”

Continua la lettura di AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta

¡NOS FALTAN 43!

Il 26 settembre del 2014, esattamente dieci anni fa, 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, Guerrero, vennero sequestrati dalla polizia e fatti scomparire mentre altre 6 persone vennero assassinate durante quella che venne chiamata “la noche de Iguala”.
In questi dieci anni il governo messicano attraverso la propagandata “verdad historica” ha negato la propria responsabilità e la verità sui fatti di quella notte e sul destino dei ragazzi. 
Le immediate mobilitazioni e le inchieste portate avanti dai loro compagni e dai famigliari hanno ampiamente dimostrato il coinvolgimento di tutti i livelli delle forze di sicurezza governative, comprese le Forze Armate, in quel crimine che possiamo a tutti gli effetti definire un crimine di Stato. 

La voce  delle famiglie  ha inoltre con coraggio aperto una breccia nel muro di impunità amplificando a livello mondiale le migliaia di voci che denunciano le 114,000 “desapariciones” forzate in Messico negli ultimi due decenni.

¡Nos faltan 43! 

26 settembre 2014-26 settembre 2024)

 

Cammino da tanto, troppo tempo in cerca della via di casa. 
Ormai i vestiti che ho addosso non li riconosco nemmeno più. 
Sono gli stessi di quella notte assassina di dieci anni fa, quella notte che  chiamate “la noche di Iguala”. 
Non ricordo più nulla di quel che è successo, solo paura, spari e crudeltà. 
Ricordo divise di tutti i livelli, divise di Stato. 
Non ricordo il mio nome, magari non ne ho uno solo ma 43 differenti o uno a caso fra essi. 
Sono confuso frastornato, non sento nulla e vedo poco. 
Ho bisogno di luce e voci complici.
Non ricordo la mia storia né il mio passato, dove ho perso, o meglio mi hanno rubato la strada di casa. 
Ricordo dei miei compagni di Ayotzinapa, della Scuola Normale, della manifestazione. 
Tuttavia a volte svaniscono anche quelle immagini e di colpo divento una ragazza di Veracruz, un migrante Honduregno, una madre di Ciudad Juárez. 
Desparecidos, desaparecidas.
Non so nulla e so tutto ma non riesco a tornare a casa. 
Nella mia testa ho migliaia di storie, ai piedi le scarpe consumate di tanto camminare senza meta. 
Eppure continuo la mia strada a testa alta, con la convinzione che il silenzio terminerà presto. 
Che quelle voci che sento in lontananza diventeranno grida di rabbia sempre più forti e grazie a loro troverò la strada di casa. 
Tornerò a studiare, alla milpa, ad ascoltare le storie di mio nonno, a essere un buon padre oppure una buona madre. 
A poter camminare di notte da sola e senza paura. 
Ecco tornerò a vivere senza paura. 
A casa appunto. 
Ho bisogno di una luce per tornare a vedere la strada che porta al mio paese, alla comunità, al Barrio. 
Ho bisogno delle vostre grida di rabbia e dignità.
È questo il pensiero che mi accompagna e mi tiene alto lo sguardo, in attesa di un segnale. 

So che arriverà perché non possiamo permettere che esista storia senza giustizia e quel finale dobbiamo scriverlo noi.

 

¡Viv*s l*s llevaron! ¡Viv*s l*s queremos!

Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]

Di seguito riportiamo la traduzione di  Acento, ideas para el combate  un bollettino mensile di Tejiendo Organización Revolucionaria (TOR) dove ci presentano “un mosaico di fonti e riferimenti per affrontare i problemi del nostro tempo da una prospettiva rivoluzionaria. Di fronte al rumore dei media e alla velocità travolgente dei social network, proponiamo di fare una pausa e di porre l’accento sulla costruzione di teoria per la lotta per la vita e contro il capitalismo”. In Quest’occasione abbiamo deciso di tradurre e pubblicare il numero di Giugno 2024 in quanto risorsa preziosa e ricca di spunti per approfondire la questione del crimine organizzato, della militarizzazione del territorio e delle conseguenze che hanno sulla popolazione locale. Continua la lettura di Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]