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Autodifesa Medica: Pantere Nere e Ezln – Introduzione

Di seguito riportiamo l’introduzione al volume italiano “Autodifesa Medica – Pantere Nere e Ezln”, traduzione a cura del Nodo solidale del volume “Autodefensa Medica – Panteras Negras y Zapatistas” di Zineditorial recentemente pubblicata nella collana Quaderni della Complicità Globale in collaborazione con Elementi Kairos.

A Jaime Alberto Montejo Bohórquez (1964-2020), compagno della Brigada Callejera che ci ispira ogni giorno a lottare per la salute dellə oppressə

Introduzione 

Ancora dentro la pandemia COVID-19 ed a oltre un anno dalla Gira por la Vida[1] intrapresa dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e dal Congresso Nazionale Indigeno (CNI) attraverso i paesi europei, ci siamo imbattutə in Autodefensa Medica: Panteras Negras y Zapatistas e ci è sembrato appropriato tradurlo. Per contribuire con umiltà ai complessi dibattiti sulla salute e sulla cura al tempo dei lockdowns e del green pass, in una fase di crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dell’assalto dei privati alla sanità, per porre domande e non ricette pronte.

La pandemia che ci ha travoltə dall’inizio del 2020 non è ancora finita e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima a scuotere la comunità internazionale. Il caso del Monkey pox (vaiolo delle scimmie) ne è un esempio, ma soprattutto, nulla è stato fatto per rallentare l’espropriazione e la devastazione ambientale che avanzano rapidi e mettono ogni giorno sotto stress gli ecosistemi negli angoli più remoti del pianeta. In Italia la pandemia ha incontrato un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) allo stremo il cui spirito universalistico, conquistato grazie alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori negli anni ’70, è stato sempre più messo in discussione ed al margine dall’avanzata del paradigma neoliberista. Tre sono i dati che ci danno la radiografia dello stato di salute del SSN: 37 miliardi di euro tagliati in meno di 10 anni, la frammentazione di un sistema nazionale in 20 piccoli sistemi regionali, con la conseguente stratificazione in apparati sanitari di serie A e di serie B, l’aziendalizzazione della sanità. La parità di bilancio è diventata quindi più importante della salute delle persone. Questo è il modello che ci è stato imposto.

Nel nome dell’austerità e del debito pubblico, negli anni passati, siamo statə testimoni di una lenta distruzione della sanità pubblica; oggi, al contrario, per uscire dalla pandemia si ricorre agli investimenti del Piano Nazione Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma quale direzione stiamo prendendo? Per ora non percepiamo un cambio di parole d’ordine, nessuna iniziativa che provi a ribaltare il paradigma che vuole la sanità come un campo di profitto, in una Salute come bene comune. Speriamo di sbagliarci.

Ma come si potrà uscire da una sanità come complesso industriale biomedico e delle assicurazioni? Come allontanarsi da una sanità intesa come industria della salute e fonte di profitto per privati e assicurazioni?

Cosa vuol dire prendersi cura della propria salute? Che ruolo ha la salute nella nostra società? È possibile immaginare insieme una salute che rompa i vizi secolari di una medicina pensata da maschi bianchi per maschi bianchi? Ripensare una scienza nata come biopotere estirpato dalla capacità di cura comunitaria e personale, così come dai corpi delle donne? Combattere il suo essere strumento di normalizzazione sociale e dominio coloniale? Si può rompere la catena che inserisce la medicina in un campo di creazione di profitto, all’interno di un sistema di sfruttamento e sovrapproduzione? Sarà possibile re-immaginare la figura medica, non come parte della classe dominante, ma come una figura alleata delle classi oppresse nella lotta contro le disuguaglianze sociali, incidendo nei determinanti di salute?[2] Una figura che incarni un sapere condivisibile e a disposizione della collettività e non una figura di potere che agisce per interessi egoistici e di casta?

Alcune domande ce le poniamo da anni, altre ce le ha fatte sorgere l’esperienza vissuta con il COVID-19. Questioni a cui sarà fondamentale rispondere collettivamente.

La pandemia è piombata sulle nostre vite come un macigno inaspettato, un virus diffusosi rapidamente in tutto il mondo e un’epidemia che abbiamo imparato a interpretare piuttosto come una sindemia[3]. Una malattia estremamente influenzata dai contesti socio-ambientali in cui si diffonde, che acuisce le diseguaglianze sociali ed economiche e colpisce in maniera più aggressiva dove si vive lavorando più del dovuto, in condizioni igienico-sanitarie malsane, in case piccole e sovraffollate, in quartieri inquinatissimi. Il COVID-19 non è stata una semplice malattia dell’essere umano, ma una malattia dell’ecosfera[4] perché nasce in un mondo dove la deforestazione, la cementificazione, l’industrializzazione selvaggia e gli allevamenti intensivi invadono gli ecosistemi naturali. Questa devastazione ambientale obbliga gli animali selvatici alla vicinanza con l’umano, così come i loro batteri e virus, favorendo la possibilità dello spillover (salto di specie). Inoltre le infinite e rapide connessioni internazionali ne consentono una diffusione globale.

Mentre leggevamo e studiavamo, provavamo a discuterne, ma il dialogo era problematico, non fluiva per la complessità del tema e la difficoltà ad affrontare le insidie della vita ai tempi della pandemia covid-19. Non siamo riuscitə ad avere idee chiare e condivise sull’utilità delle misure sanitarie imposte dai governi, su quali fossero le più importanti, su quanto ci si dovesse affidare solo al lockdown e al vaccino e quanto bisognasse invece lavorare su un approccio più sistemico alla questione. In Italia la discussione è stata violenta, così tanto polarizzata su fazioni opposte da non mostrarci la possibilità di  individuare soluzioni collettive e condivise. Sicuramente ci è parso lampante come la gestione della salute collettiva e la medicina possano essere armi di un potere enorme in mano agli Stati e di quanto questo sia in grado di entrare nelle nostre vite.

Lo scrivere questa introduzione ci ha preso molto tempo, proprio per la capacità di questo libro di mettere al centro quello che durante la pandemia in Italia era difficile discutere: il ruolo della salute nella costruzione di una società. Forse per noi discutere su questi temi risultava faticoso perché l’autonomia la vediamo troppo lontana e non siamo abituatə a viverla, quindi sognare insieme e mettere in campo soluzioni altre.

Ci è sembrato importante tradurre questo libro perché ci fa vedere di come la salute sia un campo di lotta, di come può essere uno strumento fondamentale all’interno di una cornice trasformatrice del presente, soprattutto di due organizzazioni politiche che rispettiamo per la loro traiettoria, le Pantere Nere e l’EZLN. Non per avere idee chiare su questi problemi, ma per desiderare di poter ribaltare tutto e riscriverlo da capo, dal basso e da sinistra. Solo sognando possiamo immaginare una società fatta di cura reciproca, dove la salute non sia una merce, ma un diritto di tuttə.  Solo costruendo organizzazione possiamo sognare insieme.

E leggere come le Pantere Nere sul tema della salute abbiano costruito un importante pilastro di emancipazione, significa aprirsi ad uno straordinario e storico esempio di organizzazione e di lotta. In che modo abbiano cercato e trovato forme di prevenzione e cura per problemi concreti che allo Stato non interessavano perché considerati problemi “solo dei neri”. Come abbiano saputo tradurre il proprio pensiero e la propria azione in organizzazione sociale dal basso, coniugando salute, denuncia e presa in carico delle proprie condizioni materiali. La clinica del popolo “Frank Lynch”, le Pantere Nere l’hanno costruita sulla terra su cui avrebbero dovuto edificare una super autostrada che avrebbe isolato e diviso il quartiere.

Le cliniche zapatiste sono nate prima dell’insurrezione armata, esempio di come la cura e la sua difesa fossero centrali per la riappropriazione delle proprie vite sottratte da 500 anni di colonialismo e di razzismo. Recuperare saperi ancestrali, appropriarsi dei saperi della medicina occidentale, integrarli, prevenire le malattie, riprendersi le terre rubate da Stato e latifondisti. Solo in questo modo potevano lottare per la vita. Perché se la lotta è per la vita, non può che essere una lotta per la salute. Ad oggi gli zapatisti e le zapatiste hanno costruito un sistema autonomo di cura che si avvale di sale operatorie, ambulanze per le emergenze, case di salute sparse nelle comunità, campagne di prevenzione e vaccinazione, laboratori di analisi. Inoltre un sistema di formazione, approfondendo temi come la salute pubblica, primo soccorso, fitoterapia e medicina ancestrale, educano promotorə di salute che si prendono cura della comunità.

Ma cosa possono insegnarci queste esperienze nel nostro contesto? Si deve costruire una sanità dal basso o si deve riconquistare il diritto gratuito alle cure? La strada da percorrere è autonoma ed indipendente dal Servizio Sanitario Nazionale oppure è fatta di vertenze e battaglie “interne”? Queste sono due posizioni in contraddizione o possono essere sviluppate in sinergia? Domande aperte che sta a tuttə noi rispondere collettivamente.

Infine,a scrivere questo libro è un  collettivo autonomo messicano critico del governo di Lopez Obrador, che dietro la maschera di governo di “sinistra” riesce a portare a compimento i piani di un’economia neoliberista.  Un collettivo non composto da professionistə della salute. Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.

Crediamo che solo attraverso percorsi simili si possa rispondere alle domande che ci ronzano per la testa, che il presente ci impone e che abbiamo voluto riportare in queste righe, nella speranza che la diffusione di questo libro ci aiuti a formulare risposte e a praticare nuove soluzioni.

Nodo Solidale

[1] Carovana dell’EZLN e del CNI che ha invaso l’Europa dal 11/06/2021 al 06/12/21 per condividere con i movimenti sociali europei le lotte e le forme di organizzazione e di resistenza contro il capitalismo estrattivista.
[2] Le analisi alla base di questi concetti e questi interrogativi sono esposte in importanti scritti come: Calibano e la strega di Silvia Federici, Nemesi Medica di Ivan Illich, Storia della follia in età classica di Michel Foucault.
[3] Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet. 2020
[4] Ernesto Burgio su Radio Onda Rossa

Per Saperne di più: link la traduzione di un Articolo di Raul Zibechi sull’edizione Messicana dal blog del collettivo internazionalista Carlos Fonseca.

Salute ribelle e movimenti anticapitalisti

 

 

Chiapas è Messico. STOP alla guerra ai popoli e alle comunità zapatiste

Il Chiapas è Messico e in Chiapas si concentrano oggi molte delle forme di violenza che affliggono tutto il Messico. La guerra imposta al nostro Paese dagli Stati Uniti, e che Felipe Calderón si è assunto il compito di interiorizzare, raggiunge ormai l’intero territorio nazionale. Il confine si è spostato a sud-est e con esso la guerra, una guerra che l’attuale amministrazione non ha fermato: 153 [1] mila 941 omicidi intenzionali, 42 [2] mila 935 persone scomparse e non ritrovate, 69 [3] giornalist* e 94 [4] attivist* in difesa della terra e del territorio, dei popoli indigeni e dell’ambiente assassinat* nel continuo processo di ricolonizzazione militarizzata e criminale all’interno dei sei anni di mandato del governo attuale.

Il Chiapas è il Messico, e come il resto del Paese, il Chiapas sta vivendo tempi di estorsioni, sparatorie, sfollamenti forzati, tratta di donne e migranti, narcotraffico, sequestri, omicidi di difensori del territorio, giornalisti, femicidi….

I fatti sono innegabili: a Chicomuselo, i paramilitari stanno tormentando la popolazione, causando sfollamenti forzati, affinché smetta di opporsi e permettere così la riapertura di una miniera di barite. Anche a Comalapa le dispute territoriali tra gruppi della criminalità organizzata stanno causando lo sfollamento forzato di migliaia di persone. Molto vicino a Tuxtla Gutiérrez, un autobus che trasportava illegalmente migranti si è ribaltato, uccidendo almeno 56 persone e ferendone altre 70. A Pantelhó, persone armate assassinano Simón Pedro, difensore dei diritti dei popoli indigeni e membro dell’organizzazione della società civile Las Abejas de Acteal. A Santa Martha, comune di Chenalhó, uomini armati attaccano famiglie vittime di sfollamento forzato e uccidono sette persone Tzotzil. A San Cristóbal de las Casas, gruppi armati si aggirano per la città, mostrando la loro capacità di mobilitazione e potenza di fuoco… L’elenco potrebbe continuare a lungo, poiché ogni giorno si verificano nuovi atti di violenza nello Stato del Chiapas.

Gruppi del crimine organizzato, narco-paramilitari e paramilitari operano nella più totale impunità in tutto il Chiapas. In risposta, il governo federale ha inviato l’esercito e la Guardia Nazionale in uno Stato che vede già una forte presenza militare dal 1994. Questa rimilitarizzazione non ha portato a una riduzione della violenza e delle attività illegali; al contrario, i gruppi del crimine organizzato hanno diversificato le loro attività economiche e hanno intensificato gli attacchi contro villaggi e comunità locali.

In questo contesto, i gruppi paramilitari e i gruppi di stampo paramilitare che operano impunemente in Chiapas da tre decenni hanno intensificato le loro azioni di guerra contro i popoli zapatisti. L’Organizzazione regionale dei coltivatori di caffè di Ocosingo (ORCAO), che almeno dal 2000 opera al servizio di diversi governi, partiti politici e gruppi di potere della regione, ha compiuto tra il 2019 e il 2023 più di 100 attacchi contro comunità zapatiste appartenenti al Caracol 10, Floreciendo la Semilla Rebelde, con sede a Patria Nueva, Junta de Buen Gobierno Nuevo Amanecer en Resistencia e Rebeldía por la Vida y la Humanidad. Gli attacchi, le aggressioni e le provocazioni sono costanti e si sono intensificati dal 2019. Le autorità zapatiste, le organizzazioni per i diritti umani e almeno tre missioni di osservazione civile hanno documentato e reso noto tutto ciò in rapporti pubblici e conferenze stampa. Condividiamo in allegato a questa dichiarazione un resoconto dettagliato di alcuni di questi attacchi.

Nell’ambito del sostegno nazionale e internazionale all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e al Congresso Nazionale Indigeno, l’8 giugno 2023, in Messico e nel mondo, abbiamo realizzato 72 azioni (36 nazionali e 36 internazionali) per rendere visibili queste denunce e per chiedere la fine della guerra contro i popoli zapatisti e la fine della guerra in Chiapas. Queste azioni di solidarietà hanno continuato a svolgersi in diversi Stati e Paesi. Le risposte sono arrivate poche settimane dopo: dal 19 al 22 giugno 2023, membri dell’ORCAO hanno compiuto nuovi attacchi coordinati contro tre comunità zapatiste: Emiliano Zapata, San Isidro e Moisés y Gandhi, che fanno parte della Regione Moisés y Gandhi e si trovano nel comune ufficiale di Ocosingo, in Chiapas. Gli attacchi andavano dall’incendio di appezzamenti di terreno agli attacchi armati. Queste aggressioni sono durate, in questa occasione, tre giorni dove sono stati sparati almeno 800 colpi di diverso calibro, oltre all’incendio di appezzamenti di terreno nelle vicinanze delle case di famiglie zapatiste.

Il 23 giugno, nella sua conferenza mattutina dal Chiapas, il capo dell’Esecutivo federale, accompagnato dal Segretario degli Interni, dal Segretario della Difesa Nazionale e dal governatore locale, ha minimizzato tanto il grave contesto che si sta vivendo in Chiapas quanto gli attacchi ampiamente documentati contro le comunità zapatiste. Inoltre, ha continuato con le denigrazioni contro le organizzazioni e le persone che difendono il territorio, i diritti umani e le organizzazioni che documentano e denunciano queste e altre forme di violenza.

Queste risposte, sia da parte dell’ORCAO che del presidente messicano, ci preoccupano e ci allarmano: l’ORCAO continua ad aumentare le sue operazioni armate, mentre il presidente messicano copre, con i suoi discorsi, gravi atti di violenza che sono chiaramente in crescita. La negazione, la minimizzazione e il travisamento di questa realtà comprovata diventano una cappa di impunità che protegge i gruppi paramilitari. Peggio ancora, il presidente del Messico ha ripreso il discorso dei suoi predecessori quando questi hanno sottolineato che questi conflitti erano tra gruppi locali o “tra comunità”, eludendo così ogni responsabilità dello Stato ed emulando Felipe Calderón nel suo offensivo «si uccidono tra di loro».

Questo panorama ci porta come individui, popoli e comunità organizzate, in Messico e in altre parti del mondo, a raddoppiare gli sforzi per fermare la guerra contro le comunità zapatiste e in Chiapas. Oggi ratifichiamo che l’attuale governo non solo non ascolta, ma continua a permettere e sostenere una strategia di guerra controinsurrezionale e criminale. Per queste ragioni, chiediamo di:

 Denunciare la guerra contro i popoli zapatisti, e in Chiapas in generale,  sottolineando la responsabilità del governo statale e federale. 

  1. Realizzare campagne di informazione e azioni di solidarietà in tutto il paese e in altri paesi per informare su questa guerra contro i popoli e le comunità zapatiste e sulla guerra in Chiapas.
     
  2. Realizzare campagne di informazione e azioni di solidarietà in tutto il paese e in altri paesi per informare su questa guerra contro i popoli e le comunità zapatiste e sulla guerra in Chiapas.
  3. Da questo spazio di coordinamento nazionale, indiciamo dell giornate d’azione globale: “Stop alla guerra contro i popoli zapatisti. Dall’orrore della guerra alla resistenza per la vita”, il 13, 14, 15 e 16 luglio, con l’obiettivo di informare la società sulla situazione della guerra contro i popoli zapatisti e in Chiapas. Questa giornata comprenderà:
  1. Volantinaggi e distribuzione di materiali informativi
  2. Banchetti informativi 
  3. Eventi artistici
  4. Mobilitazioni

Inoltre, tra il 24 e il 28 luglio terremo un forum nazionale che si articolerà lungo tre assi: violenza, giustizia e pace. Condividiamo anche che ci si sta preparando a svolgere un lavoro di osservazione e accompagnamento in territorio zapatista appena le condizioni lo permetteranno.

Chiamiamo a dispiegare tutta la solidarietà possibile con i popoli zapatisti, di non cadere nell’indifferenza e nell’evasione individualista di fronte agli attacchi che i popoli e le comunità di quello Stato stanno vivendo quotidianamente. Il Chiapas è Messico, e oggi il Messico e il mondo devono guardare e agire contro la guerra e a favore della pace, con giustizia e dignità.   

Espacio de Coordinación Nacional
 Alto a la guerra contra los pueblos zapatistas

Sabato 8 luglio 2023 alle ore 18 ci troveremo presso l’occupazione di Via del Porto Fluviale 18, Roma per parlare dell’attuale situazione di guerra in atto in Messico: di seguito il link all’evento Facebook:
Chiapas sull’orlo della Guerra civile – Iniziativa benefit

Di seguito invece trovare l’audio della trasmissione di Giovedì 6 luglio su Radio Onda Rossa con aggiornamenti sulla situazione  nel paese.

http://www.ondarossa.info/redazionali/2023/07/guerra-corso-messico

Dichiarazione dell’Incontro Internazionale EL Sur Resiste – 7 maggio 2023

CARAVANA ¡EL SUR RESISTE 2023!

ENCUENTRO DEL SUD/SUD-EST

INCONTRO INTERNAZIONALE

  “Capitalismo corporativo mondiale, Patriarcato planetario, Autonome in ribellione”

CIDECI-UNITIERRA / CARACOL JACINTO CANEK

7 maggio 2023

Alla Comando Generale dell’EZLN
Al Congresso Nazionale Indigeno
Al Consiglio Indigeno di Governo
Alle organizzazioni nazionali e internazionali che lottano e resistono
Ai mezzi di comunicazione liberi, alternativi, indipendenti o come si definiscano
Ai popoli del Messico e del mondo

Dal cuore della terra dove è nata, cresciuta e si riproduce la digna rabia, come popoli ribelli delle geografie del Sud Sudest [del Messico] che hanno accompagnato la carovana “Il Sud Resiste 2023” – Binnizá, Ayuuk, Nahua, Nuntajiyi (Nuntajuyi), Maya, Chol, Zoque, Tzeltal, Tojolabal, Tsotsil e meticci-, convocati da varie organizzazioni di questa geografia e dal Congresso Nazionale Indigeno, abbiamo attraversato i territori investiti dai megaprogetti di matrice militare, interconnessi tra di loro, che sono il cosiddetto Tren Maya e il Corridoio Interoceanico. Siamo arrivati in territorio zapatista presso il CIDECI-UNITIERRA / Caracol Jacinto Canek a San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, dove ci siamo incontrati con molti altri popoli e organizzazioni dei popoli originari e delle aree urbane del sud-est del Paese, e di molte altre regioni della nostra Madre Terra, per condividere dolori, speranze e strategie di articolazione; per imparare dalle lotte di altre geografie e per continuare a tessere reti solidali di resistenza e ribellione planetaria.

Dal 25 aprile al 4 maggio, la carovana El Sur Resiste ha attraversato comunità e città di otto Stati della Repubblica messicana: partendo dalla comunità di El Progreso, municipalità di Pijijiapan, con una sosta a Tonalá, abbiamo percorso la costa del Chiapas e iniziato la traversata dell’Istmo di Tehuantepec a partire dallo stato di Oaxaca; siamo passati dalla comunità Binniza in resistenza di Puente Madera, municipalità di San Blas Atempa, e dall’accampamento ribelle “Tierra y Libertad” nella comunità Aayuuk di Mogoñe Viejo, municipalità di San Juan Guichicovi, fino a raggiungere la comunità Nahua di Oteapan, nel sud di Veracruz. Da lì è iniziato l’itinerario verso i territori maya della penisola dello Yucatan, attraversando lo stato di Tabasco passando da Villahermosa e dalla comunità costiera di El Bosque, divorata dal mare a causa del riscaldamento globale; ci siamo diretti verso Candelaria, Campeche, e abbiamo continuato il percorso raggiungendo la comunità di Zakí – oggi chiamata Valladolid-, nello Yucatan, e la comunità di Noj Kaaj Santa Cruz – oggi Felipe Carrillo Puerto-, nello Stato di Quintana Roo, e abbiamo proseguito da Xpujil di nuovo nel territorio di Campeche per poi tornare in Chiapas e incontrare i popoli Zoque, Chol, Tsotsil, Tojolabal e Tzeltal, con una sosta a Palenque e, infine, abbiamo attraversato la regione de Los Altos, raggiungendo Jovel, oggi San Cristóbal de las Casas, nostra destinazione finale.

Durante questo viaggio, i nostri cuori, sentimenti e pensieri si sono aperti all’ascolto e all’osservazione dei molteplici dolori e della distruzione, causati dalla voracità del grande capitalismo globale, che abbiamo vissuto sui nostri stessi corpi attraverso le continue vessazioni nei confronti della carovana operate da parte delle forze di polizia e militari dello Stato messicano.

In questi tempi di riordinamenti geopolitici mondiali, i grandi capitali del blocco occidentale e asiatico stanno spingendo l’acceleratore del progresso verso una nuova fase della guerra di colonizzazione contendendosi i territori del nostro pianeta, distruggendo madre natura, espropriando, sfruttando e allontanando i popoli e uccidendo e facendo scomparire a chi vi si opponga; osserviamo la complicità degli stati e del crimine organizzato nelle sue distinte modalità, tutte sanguinarie.

Affermiamo di trovarci di fronte alla massima espressione del sistema di potere patriarcale, ereditato da migliaia di anni e, installato nelle nostre terre più di 500 anni fa con l’invasione genocida europea. Testimoniamo le conseguenze devastanti sui nostri territori ma sentiamo anche, con grande forza, la resistenza dei nostri popoli che hanno salvaguardato la nostra stessa esistenza come popoli originari.

Il sud-est messicano e l’istmo di Tehuantepec, in questo riassetto globale, giocano un ruolo strategico nell’interesse delle multinazionali per unire via terra l’oceano Pacifico con l’oceano Atlantico, in soli 200 chilometri, facilitando il trasporto di merci, idrocarburi e altre risorse del sottosuolo. La rotta del corridoio interoceanico è stato fin dall’antichità un luogo per il transito commerciale dei popoli, di cui durante l’epoca coloniale e la dittatura di Porfirio Diaz – così come durante i governi del XX e XXI secolo-, è  avvenuto un tentativo di appropriazione senza successo, grazie alla resistenza storica dei popoli della regione.

Questo governo, autoproclamato della quarta trasformazione, non è differente dai precedenti, poiché si è dato come obbiettivi l’ammodernamento dei porti di Coatzacoalcos e Salina Cruz, la costruzione di un’autostrada e l’ammodernamento della ferrovia per treni merci che, non solo collegherà i due porti ma, si collegherà nella penisola dello Yucatan con il cosiddetto Tren Maya.

Per questo affermiamo che il Corridoio Interoceanico, il malchiamato Tren Maya e il Progetto Integrale Morelos nel centro del Paese, fanno parte di una rete di interconnessione e di approvvigionamento energetico destinata alle imprese che opereranno nel sud del Paese e in Centro America, la maggior parte delle quali appartenenti a capitali privati e stranieri.

Verrà installata una linea ad alta tensione e il prolungamento del gasdotto dell’istmo, per collegarlo con il nuovo gasdotto marittimo che porterà il gas di fratturazione dal Texas alle nostre terre. Questo progetto sarà costruito lungo la costa di Veracruz, in prossimità del sistema della barriera corallina, da Tuxpan a Coatzacoalcos e attraverso un’altra diramazione marittima si dirigerà verso la nuova raffineria di Dos Bocas, anch’essa inclusa in questo megaprogetto.

Questa infrastruttura riflette l’approfondirsi di un modello, basato sull’estrazione di idrocarburi fossili, che nel corso del XX secolo ha accelerato l’inquinamento e gli indicatori di riscaldamento globale in un modo mai visto prima e che, rafforzato da energie presumibilmente pulite che, nelle mani del grande capitale straniero, non rappresentano alcuna transizione energetica giusta per i popoli.

Il progetto, infatti, non prevede solo la costruzione di queste infrastrutture, ma anche l’apertura di nuovi territori all’estrazione di idrocarburi, all’estrazione mineraria e alla realizzazione di impianti industriali ed eolici, nonché la costruzione di nuovi centri urbani per i lavoratori e lavoratrici nazionali semi-schiavizzat3, ma soprattutto migranti che, per ordine del padrone del Nord, saranno trattenuti nella regione dell’Istmo trasformando questo territorio in un nuovo muro di contenimento per esseri umani.

Nei territori maya della Penisola dello Yucatan e degli Stati del Chiapas e di Tabasco è in atto un nuovo riordino territoriale, per metterli al servizio del grande capitale, finalizzato allo sviluppo turistico e industriale.

La carovana ha assistito alla devastazione della foresta per far posto a binari ferroviari. Dove un tempo camminavano cervi e giaguari, ora ci sono centinaia di chilometri, e milioni, di alberi abbattuti; i flussi dell’acqua sacra, vengono adesso modificati con conseguenze catastrofiche per le persone e che in futuro saranno definiti disastri naturali.

Oggi, nei territori maya che all’inizio del XX secolo furono vittime del genocidio promosso dallo Stato durante la Guerra Sociale Maya, il treno e i megaprogetti imposti illegalmente fanno parte delle nuove pratiche genocide.

La costruzione di questo treno è accompagnata dall’installazione di 21 stazioni e zone di sviluppo turistico, parchi eolici e fotovoltaici, centrali termoelettriche, fabbriche di birra, allevamenti di maiali, coltivazioni di palma, soia e altre monocolture, oltre a grandi insediamenti immobiliari, complessi alberghieri, centri commerciali, casinò, ristoranti e tutto ciò che è necessario per le grandi masse di turisti che si prevede arriveranno nella penisola, provocando, attraverso l’espropriazione e l’estrattivismo vorace, la distruzione dello stile di vita dei popoli Maya.

Sia nella penisola che nell’Istmo, attraverso la disinformazione e le false promesse di benessere legate all’uso fuorviante di paradigmi come progresso e sviluppo – dove i programmi sociali hanno giocato un ruolo fondamentale-, molte persone rimangono in silenzio e senza  organizzarsi, pur conoscendo e vedendo la crescente violenza e la distruzione presenti nei territori, per paura della violenza, a causa delle divisioni nelle comunità e di fronte alla possibilità di perdita dei finanziamenti legati ai programmi sociali.

Ma i mali che accompagnano questi megaprogetti di morte diventano ogni giorno più evidenti.  Tutte queste infrastrutture rappresentano l’espropriazione dei nostri territori a vantaggio del grande capitale, nell’ambito di un progetto gestito dalle forze armate messicane, dall’esercito, dalla marina e dalla guardia nazionale, in collaborazione con la polizia e gli organismi migratori, in collusione con i cartelli del crimine organizzato e la conseguente espansione di economie criminali capitaliste e patriarcali.

Abbiamo sentito e testimoniato che la prima delle espropriazioni è quella della cosmovisione ancestrale e comunale, perché quando ci viene tolto il senso di appartenenza alla madre terra smettiamo di percepirla, di ascoltarla e di sentire i suoi dolori. Prima ci privano della nostra memoria e della nostra spiritualità per poterci spogliare del nostro stile di vita, delle nostre radici e della terra, perché chi non la vede più come una madre -ma come una merce da comprare e vendere-, se ne sbarazza senza pensare a ciò che ne faranno coloro che vogliono solo sfruttarla, sradicare i suoi alberi e avvelenarla senza preoccuparsi della distruzione delle nostre comunità e dei nostri centri cerimoniali, dell’inquinamento dell’aria, della terra e delle acque, delle sorgenti, dei fiumi, delle lagune, dei mari e dei cenotes che sono le acque provenienti delle viscere della nostra madre terra.

Abbiamo visto come il mare stia letteralmente e tragicamente inghiottendo la comunità di El Bosque, nello stato di Tabasco, come conseguenza del cambiamento climatico causato dal mega-inquinamento planetario e soprattutto dal modello energetico basato sull’estrazione di idrocarburi, che questo governo e il grande capitale stanno rafforzando.

Rileviamo inoltre il terribile aumento di una cultura della violenza che ha permeato l’intera società: dalle comunità ai quartieri delle città, con il traffico di droga, l’estorsione e colpendo in particolare i giovani, le donne, i migranti e i difensori dell’ambiente e dei diritti umani.

Sempre più giovani delle comunità indigene e dei quartieri urbani poveri sono vittime delle reti del narcotraffico, come una delle poche “alternative” per superare questo disastro, si autodistruggono il cervello con droghe a basso costo come le metanfetamine, diventano sicari e finiscono assassinat3.

In particolare, notiamo l’aumento della violenza di genere, dalla violenza domestica ai femminicidi, con la terrificante cifra di 13 donne uccise ogni giorno nel nostro Paese e un chiaro aumento della repressione contro coloro che si oppongono ai megaprogetti, difendono il territorio e denunciano l’impunità, i legami di corruzione e la repressione che va dalle minacce, allo sfollamento forzato, all’incarcerazione, alle sparizioni e agli assassinii.

Identifichiamo le politiche razziste, la strategia di persecuzione e la stigmatizzazione dell’Istituto Nazionale della Migrazione contro i nostri fratelli e sorelle migranti le quali hanno negato l’ingresso nel Paese ai nostri compagni provenienti da Honduras, Guatemala e El Salvador.

Prendiamo atto della sistematica violazione dei diritti dei popoli indigeni e, in particolare, del diritto all’autodeterminazione e all’autonomia, il cui esercizio è essenziale per ricostruire, a partire dalle nostre radici culturali ancestrali, una vita libera e dignitosa basata sulla comunalità attraverso il processo decisionale in assemblea, nel pieno rispetto delle donne, delle persone non binarie, dei giovani, dei bambini e degli anziani, e in armonia con la natura.

Prendiamo atto delle pressioni esercitate da tutti gli enti governativi, a partire dall’ufficio del procuratore agrario, affinché i nuclei agrari e le comunità indigene siano privatizzabili, ponendo così fine alla proprietà sociale della terra che rappresenta la forza delle nostre lotte.

Ma nonostante tutte queste calamità, la Carovana ci ha anche permesso di incontrare la speranza e la vita, di incontrare la campagna e i suoi semi autoctoni che vengono protetti dalle mani dei contadini, di sentire la gioia della musica ribelle che eccita i cuori e ispira la resistenza. Abbiamo apprezzato l’arte come fronte di lotta che con i suoi colori, suoni e rumori ci permette di continuare nella alegre rebeldía.

La Carovana ci ha permesso di incontrare la selva che resiste. Lì dove gli alberi vengono abbattuti, la vita rinasce. Abbiamo ascoltato gli uccelli e i loro messaggi, bevuto l’acqua cristallina dei pozzi e respirato l’aria pulita della vita rurale. Abbiamo incontrato popoli e comunità che si organizzano, resistono e non permettono l’esproprio e nemmeno l’ingresso delle imprese nei loro territori. Così come si stanno organizzando per recuperare modi di vita che costruiscono autonomie che offrono speranza all’umanità. Dall’altro lato, troviamo città ribelli che costruiscono collettività e autonomia in mezzo a mostri urbani, dove l’amore per la terra e il territorio rifiorisce.

Facciamo offerte alla madre terra, invochiamo lo spirito del fuoco, dell’acqua e dell’aria, riconoscendo che le lotte di lunga durata sono sostenute dalla spiritualità legata al territorio e alla nostra ascendenza. Sapendo che non cerchiamo una vittoria finale, ma che lottiamo come hanno fatto i nostri nonni e le nostre nonne e prima di loro i/le nostr3 antenat3 e come continueranno a fare i/le nostr3 figl3 e nipoti. Come abbiamo ribadito nei 10 gruppi di lavoro dell’incontro del Sur/sureste  del 5 maggio, stiamo costruendo altri mondi possibili celebrando ciò che stiamo raccogliendo e riconoscendo che la nostra forza deriva dalla memoria e dalla saggezza di popoli in lotta. Abbiamo riflettuto sul fatto che resistiamo abbracciando i valori di una vita piena e dignitosa vicino alla terra, come la coltivazione del nostro cibo, la medicina tradizionale e la salvaguardia dei nostri popoli attraverso le guardie comunitarie.

Abbiamo riconosciuto che anche in mezzo a tutta la distruzione dei capitalisti ci sono molte vittorie che stiamo raccogliendo. La prima e più importante è che dopo 500 anni di tentativi di sterminio siamo ancora qui, con l’organizzazione a livello comunitario contro l’espropriazione, così come con le terre recuperate in diverse città, con la lotta delle donne per il riconoscimento e l’esercizio dei loro diritti, con la lotta per l’acqua, per la liberazione dei prigionieri politici, per il ricollocamento delle stazioni ferroviarie di Merida e Campeche, per la creazione di zone libere da progetti estrattivi, per la conservazione delle lingue e delle feste tradizionali e per la costruzione di autonomie.

Dopo la carovana e la nostra assemblea interna, 940 persone provenienti da 40 popoli nativi del mondo, da 27 stati della Repubblica, da 30 paesi e da 10 regioni autonome si sono riunite nell’incontro internazionale “Capitalismo corporativo globale, patriarcato planetario, autonomie in rivolta”. Abbiamo ascoltato le parole di 5 relatori/trici per analizzare e studiare la situazione geopolitica del mondo, del Messico, in particolare del sud-sudest messicano, e del sud globale. Abbiamo anche ascoltato la condivisione di esperienze di lotta da tutte queste regioni e proposte per continuare la costruzione dell’autonomia.

Le sorelle e i fratelli di Abya Yala provenienti da Guatemala, El Salvador, Costa Rica, Honduras, Colombia e Ecuador hanno condiviso con noi la situazione che stanno affrontando e abbiamo constatato che questo sistema, capitalistico e predatorio, agisce allo stesso modo in tutte le geografie in cui i popoli proteggono ancora i beni naturali, culturali e la vita stessa. Ma abbiamo anche constatato la gioia, la forza e la vivacità organizzativa dei popoli organizzati.

Denunce:

Denunciamo lo sgombero violento dell’accampamento “Tierra y Libertad” e l’incarcerazione di 6 compagn3 per mano della marina e della polizia di stato il 28 aprile, un giorno dopo il passaggio della nostra carovana. Chiediamo che il governo di Oaxaca e il governo federale cessino immediatamente gli attacchi contro i difensori della terra e del territorio e, in particolare, contro l’accampamento “Tierra y Libertad” nell’Istmo, e che vengano ritirati i mandati di arresto contro 17 membri della comunità di Puente Madera, San Blas Atempa, così come chiediamo l’assoluzione del compagno David Salazar, che è sotto processo.

Rifiutiamo la politica migratoria razzista e violatrice dei diritti di questo governo, che ha impedito l’ingresso della figlia della compagna Berta Cáceres vietandole di volare a Città del Messico con tutti i documenti in regola, e denunciamo le molestie subite da 7 compagni centroamericani al posto di frontiera di Tapachula, in Chiapas.

Pretendiamo che nell’ejido Nicolas Bravo venga revocata l’assemblea illegale del 5 marzo 2023, che ha approvato illegalmente la fermata del mal chiamato Tren Maya a favore del gruppo Azcarraga, proprietario di Televisa, e che danneggerà più di 100 centri cerimoniali Maya.

Pretendiamo l’annullamento dell’ordine di sgombero della comunità di Emiliano Zapata III, comune di Candelaria, Campeche, promosso dal presunto proprietario Fernando Oropeza Arispe e ordinato dal giudice civile di prima istanza dello stato di Campeche. Allo stesso modo, chiediamo la cancellazione dei mandati di arresto per i membri della comunità.

Pretendiamo l’annullamento immediato dei lavori del mal chiamato Treno Maya, in particolare della costruzione illegale della settima tratta, dell’installazione del casinò militare e dello sviluppo turistico nella comunità di Xpujil, poiché nonostante la sospensione definitiva ordinata da un giudice federale, la SEDENA continua la costruzione noncurante all’ordine federale.

Pretendiamo che cessino le pressioni dell’Ufficio del Procuratore Agrario sulle comunità e sugli ejidos affinché privatizzino le terre di proprietà sociale, distruggendo così le terre collettive delle comunità indigene del Paese.

Pretendiamo il trasferimento urgente e immediato della comunità di El Bosque, nel comune di Centla, Tabasco, sfollata3 climatic3 e vittim3 del riscaldamento globale causato dal vorace sistema estrattivista che continua a depredare e deforestare i territori.

Pretendiamo la liberazione immediata di tutti i prigionieri politici di questo Paese, dei prigionieri politici solidali con La Voz del Amate, Fidencio Aldama, dei prigionieri di Eloxochitlan de Flores Magón, Oaxaca, di tutti coloro che sono stati ingiustamente incarcerati per aver difeso l’acqua e il territorio, e del compagno Manuel Gómez Vázquez, base d’appoggio dell’EZLN, e la revoca della condanna a 50 anni di Miguel Angel Peralta Betanzos, prigioniero politico perseguitato di Eloxochitlan.

Accompagniamo e ci uniamo fermamente alla richiesta dei familiari delle vittime della violenza femminicida in Messico di ottenere verità, giustizia, riparazione e non ripetizione, non solo per le donne che sono state violentate, ma soprattutto per i bambini (figlie, figli, sorelle e fratelli), vittime collaterali di questa violenza infame in questo Paese che insiste nel seminare paura, morte e impunità. Niente perdono, niente oblio, punizione per i colpevoli! (facebook: @FeminicidiosCrimenesdelesahumanidad, @FatimaVariniaEnTuHonorYRecuerdo, @JusticiaParaLupitaBastida)

Nel caso dell’ejido di Tila, in Chiapas, pretendiamo l’esecuzione della sentenza del RAN a favore del recupero dei 130 ettari che il Comune ha sottratto loro.

Pretendiamo che vengano presentati vivi le migliaia di scomparsi nel Paese, il membro della comunità Antonio Díaz Valencia e l’avvocato Ricardo Lagunes Gasca, desaparecidos di un conflitto tra la comunità di Aquila, nel Michoacán, e la compagnia mineraria canadese Ternium.

Giustizia per i 43 normalisti scomparsi a Ayotzinapa. Perché vivi sono stati presi, vivi li vogliamo!

Affermiamo a voce alta e chiara, dai nostri cuori di lotta e di organizzazione, che continueremo a incontrarci e ad articolarci con altre lotte in tutto il mondo.

Né con la guardia nazionale, né con la marina, né con l’esercito ci fermeranno!

Mentre voi distruggete, noi costruiamo.

Caravana y Encuentro internacional El Sur Resiste

#ELSURRESISTE

                                       

(Traduzione – Nodo Solidale)

Sgombero del presidio “Tierra y Libertad”,Mogoñe Viejo, Huichicovi, Oaxaca

Riprendiamo e diffondiamo da: www.elsurresiste.org

Comunicato della Carovana nazionale e internazionale El Sur Resiste in risposta alla repressione e allo sgombero dell’accampamento “Tierra y Libertad” nella comunità di Mogoñe Viejo, Huichicovi, Oaxaca. Messico.

Venerdì 28 aprile 2023

Da Oteapan, Veracruz

Carovana “El Sur Resiste!”
COMUNICATO URGENTE
Mogoñé Viejo, municipio di San Juan Guichicovi, Oaxaca.

Nelle prime ore di questa mattina, la Marina messicana, la Guardia Nazionale e la Polizia dello Stato di Oaxaca hanno sgomberato l’accampamento Tierra y Libertad, che la comunità indigena Mixe di Mogoñé Viejo ha mantenuto per 61 giorni sui binari della ferrovia, che fa parte del mega-progetto denominato “Corridoio inter-oceanico”. Da giovedì sera, intorno alle 22.38, la Guardia Nazionale ha circondato l’accampamento Tierra y Libertad e prelevato sei compagni, María Magdalena Martínez Isabel, Fernando Hernández Gómez, Adela Severo Teodoro, Esperanza Martínez Isabel, Elizabeth Martínez Isabel ed Eliodoro Martínez Isabel, di cui non si hanno ancora informazioni riguardo il loro arresto.

Inoltre, la nostra compagna Adela Severo è stata picchiata da elementi di questi gruppi militari, l’attacco ha violato uno spazio dove erano presenti per lo più da donne indigene che stavano difendendo il proprio territorio. Si tratta di un attacco violento, misogino, classista, razzista e patriarcale di cui riteniamo responsabili i tre livelli di governo (municipale, statale e federale). È l’atto di un governo militare totalitario e repressivo che risponde a interessi ecocidi.

Ripudiamo questa azione criminale di detenzione e repressione fisica contro le donne. È un’azione patriarcale che mira a smantellare coloro che danno forza e dignità alla lotta per la vita e alla difesa della Madre Terra contro i progetti di morte.
Ieri, giovedì 27 aprile, abbiamo attraversato come Carovana “Il Sud resiste” il territorio difeso dalle sorelle e dai fratelli di Mogoñé, che ci hanno raccontato la tensione che stavano vivendo a causa delle minacce di sgombero da parte del governo federale. Noi come Carovana abbiamo sperimentato le molestie provenienti dalla presenza costante della Marina, della Guardia Nazionale e degli ufficiali dell’Istituto Nazionale delle Migrazioni, che ci hanno registrato e sorvegliato durante il nostro viaggio.

Chiediamo la fine della repressione e della persecuzione dei nostri compagni che difendono il nostro territorio. Chiediamo la fine dell’intimidazione della Carovana e delle lotte dei popoli che si oppongono al Corridoio Interoceanico, al cosiddetto Tren Maya e a tutti i progetti di morte di questo mal-governo.
Chiediamo l’immediata liberazione dei compagni detenuti.
Riteniamo il governo federale guidato da Andrés Manuel López Obrador responsabile del clima di tensione e violenza generato contro i nostri compagni e contro tutte le organizzazioni che si oppongono ai loro progetti di morte.

Se toccano un popolo, risponderemo tutti!

Sappiate che non ci intimidiscono, come ci insegna la nostra sorella Betty Cariño, di cui ieri si è celebrato il 13° anniversario dal suo assassinio in un atto criminale compiuto dallo Stato contro una carovana umanitaria, simile a quanto accaduto oggi a Mogoñé Viejo: hanno paura di noi perché noi non abbiamo paura di loro.
Carovana nazionale e internazionale
“#ElSurResiste”.

(Traduzione Nodo Solidale)

Link al comunicato originale:

https://www.elsurresiste.org/es/posts/comunicado-de-la-caravana-el-sur-resiste-ante-la-represion-y-desalojo-del-planton-tierra-

Di seguito riportiamo il comunicato dell’Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo (Ucizoni) sullo sgombero del presidio Tierra y Libertad

COMUNICATO URGENTE. UCIZONI AC INFORMA.
28 aprile 2023. Alle 10.38 circa di oggi, un folto gruppo di membri della Guardia Nazionale, della Polizia di Stato e della Segreteria della Marina è arrivato all’accampamento Tierra y Libertad dove stazionano i contadini Mixe colpiti dalla costruzione della ferrovia dell’Istmo di Tehuantepec. L’attacco è avvenuto in due punti, portando via sei compagni Mixe, Maria Magdalena Martinez Isabel, Fernando Hernandez Gomez, Adela Severo Teodoro, Esperanza Martinez Isabel, Elizabeth Martinez Isabel ed Eliodoro Martinez Isabel, di cui non si conosce la sorte, mentre Adela Severo Severo sarebbe stata picchiata. L’accampamento è stato distrutto e gli oggetti rubati. In questo momento si sta svolgendo un’assemblea per definire le azioni da intraprendere. I membri della Caravana El Sur Resiste stanno bloccando l’autostrada Transistmica a Oteapan, Veracruz, per denunciare l’aggressione subita dalle forze federali e dello Stato di Oaxaca. L’Ucizoni chiede il rilascio immediato degli uomini e delle donne indigene Mixe detenuti, la fine della repressione e il rispetto dei diritti dei popoli indigeni dell’Istmo di Tehuantepec. Continueremo a dare informazioni.

Link al comunicato originale:

COMUNICADO URGENTE Desalojo del Plantón Tierra y Libertad

Comunicato della Brigada Campeche

PRONUNCIAMENTO BRIGADA CAMPECHE – LEER EN ESPAÑOL
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Dal 3 al 6 marzo una brigata organizzata dai compagni e compagne del Nodo Solidale e composta da attivistx No Tav, Collettivo Zapatista di Lugano (Svizzera), Ostile Serigrafia Ribelle, S.O.A. Molino (Svizzera), Pirineo Aragonés (Spagna) ha attraversato la penisola dello Yucatan, principalmente nello stato di Campeche, incontrando comunità in lotta contro il megaprogetto del “Tren Maya”.
Durante la Gira por la Vida in Europa le compagne e i compagni zapatiste/i e il Congreso Nacional Indígena (CNI) hanno condiviso l’esistenza di una lotta contro l’ennesima grande opera inutile; l’idea di questa brigata é nata nel contesto di un’ottica internazionalista, che vada aldilá del turismo rivoluzionario. Continua la lettura di Comunicato della Brigada Campeche

“CHI SIAMO? PER COSA LOTTIAMO? COME LOTTIAMO?” L’organizaciòn Popular Francisco Villa De Izquierda Independiente (OPFVII)

Le parole che seguono sono un importante strumento per iniziare a conoscere l’OPFVII attraverso il suo operato, il suo modo di organizzarsi e la sua storia; un’ introduzione che possa  accompagnare il breve tour italiano in cui sarà possibile ascoltare di persona una delegazione dell’OPFVII ed il suo confronto con i movimenti e le realtà italiane che la accoglieranno e su cui presto vi daremo maggiori informazioni.

La trascrizione che segue  è l’intervento dell’Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente durante un’iniziativa internazionale di confronto sulle lotte sull’abitare e nei quartieri periferici svoltasi il 7 Agosto del 2022. All’iniziativa, svoltasi nella comunità di Acapatzingo, hanno partecipato in presenza  l’’OPFVII, rappresentata da delegat* provenienti da differenti comunità, insieme ad alcuni compagni del Nodo Solidale con il ruolo di traduttori, mentre da remoto ha visto la partecipazione di compagni e compagne del Quarticciolo Ribelle e del Comitato di Quartiere Quarticciolo, da Roma e della Piattaforma Soluzioni Abitative di Pisa.

Lo scambio è avvenuto attorno a tre domande: Chi siamo? Per cosa Lottiamo? Come lottiamo e come portiamo avanti il nostro lavoro politico?  

Continua la lettura di “CHI SIAMO? PER COSA LOTTIAMO? COME LOTTIAMO?” L’organizaciòn Popular Francisco Villa De Izquierda Independiente (OPFVII)

NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE – Parte 3 di 3 – Guidxi Rucaalú

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Guidxi Rucaalú

Il soggetto della conoscenza storica è la classe oppressa stessa mentre lotta, afferma la dodicesima tesi sulla storia di W. Benjamín. Effettivamente, cosa sarebbe di questa regione contesa dagli interessi geopolitici dei finqueros, senza quelle donne e quegli uomini che non si sono messi ad aspettare che questa -nostra- generazione li ringraziasse per le proprie azioni, ma che hanno lasciato nella memoria il ricordo del fatto che furono abbattut*, perseguitat* e minacciat* per difendere Layú Nabee.

Nella Sierra di Santa Marta si conserva la memoria della ribellione di Acayucan (1906). Una sollevazione dove i popoli nahua insieme ai e alle tannundajïïyi (popolucas) affrontarono la riorganizzazione territoriale, che aveva portato alla speculazione e al saccheggio su più di 80mila ettari di terra per la costruzione di linee ferroviarie nel loro territorio. Al contrario di quanto racconta la storia ufficiale, le nostre sorelle nahua e tannundajïïyi difesero il proprio territorio insieme ai membri del Partito Liberale Messicano. E sapevano che la difesa del territorio non poteva essere slegata dal momento storico, l’impulso e la vittoria della rivoluzione politica e economica che il PLM predicò fino alle ultime conseguenze. Continua la lettura di NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE – Parte 3 di 3 – Guidxi Rucaalú

NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE – Parte 2 di 3 – La corsa all’Istmo di Tehuantepec

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La corsa all’Istmo di Tehuantepec

Sicurezza Nazionale, Ispirazione Nazionale e
America agli Americani.

“Viene abolito il modello neoliberista” recita un comunicato emesso dal capataz [Capo o sorvegliante di una squadra di operai; fattore, castaldo, capoccia. In questo caso utilizzato per riferirsi al presidente messicano] con data 17 marzo 2019. Rinasce, quindi, dalle sue ceneri il liberismo del diciannovesimo secolo, quello che si caratterizza da un miscuglio di idee e ideologie religiose insieme a quello che chiamano umanesimo. Un modello dove i nemici di ieri, oggi sono amici; dove i principali beneficiari del saccheggio sono gente onesta; dove i multimilionari del paese non hanno smesso di accrescere le loro ricchezze; bene, tutto uguale a ieri.

Questo è il nuovo panorama politico che minaccia Layú bee, c’è un detto che i difensori del capataz di palazzo difendono con cappa e spada – con o senza motivazioni fondate, questo non conta più in tempi di Trasformazione- “finalmente un governo si è voltato a guardare il sudest messicano”. E per questo ci domandiamo: “cosa sta succedendo nel sudest?” Continua la lettura di NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE – Parte 2 di 3 – La corsa all’Istmo di Tehuantepec

Da qui si può mirare il cielo

Traduciòn al Castellano

L’esperienza dell’OPFVII nella periferia di Città del Messico (febbraio – marzo 2022)


Entrare ne
lla comunità di Acapatzingo è un’esperienza forte in un Messico contraddittorio come quello che amiamo esplorare, perché per la prima volta se si alza lo sguardo non c’è nulla che si frapponga fra il basso e l’alto. 

Da qui si può mirare il cielo: nessun cavo, groviglio caotico, disturbo dello sguardo pende sulle teste di chi cammina per quello che è un quartiere autonomo alla periferia del Distretto Federale. 

All’orizzonte un disegno perfetto di case colorate, spazi verdi di incontro e di socialità dislocati su otto ettari di terreno sottratto all‘abbandono ed alla speculazione.

Continua la lettura di Da qui si può mirare il cielo