AUTODIFESA MEDICA
Pantere Nere e EZLN
Zineditorial
Traduzione – Nodo Solidale
“Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.”
AUTODIFESA MEDICA
Pantere Nere e EZLN
Zineditorial
Traduzione – Nodo Solidale
“Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.”
da Radio BlackOut
CARCERE, MILITARIZZAZIONE E IMPUNITÀ NELLO STATO D’ECCEZIONE
Il 20 giugno 2023 ci fu un massacro nell’allora unico centro penitenziario femminile dell’Honduras, il PNFAS (Penitenciaría Nacional Femenina de Adaptación Social). 46 donne detenute con accuse relative all’affiliazione alla Mara Salvatrucha, la MS-13, furono brutalmente assassinate da altre donne appartenenti alla Pandilla Barrio 18. Le maras e le pandillas rappresentano il fenomeno predominante della criminalità organizzata in Centro America.
Quella del giugno 2023 è stata la più grande strage mai avvenuta in una prigione femminile nel Paese. Diverse denunce delle sopravvissute indicano che si sarebbe potuta evitare: molte detenute avevano segnalato ripetuti episodi di minacce e avevano chiesto di essere trasferite in altre strutture. Le armi utilizzate nel massacro sembrano provenire dalle forze di polizia, che in quel periodo gestivano la struttura carceraria, così come riportato nel documentario El País Carcel, frutto del lavoro d’inchiesta delle giornaliste di Contracorriente. Perché si è permesso che un simile massacro avvenisse? È la domanda che guida l’inchiesta e il documentario. L’Honduras già all’epoca si trovava in stato d’eccezione, emanato nel novembre 2022 per la lotta a maras e pandillas, e in particolare alle estorsioni. Con lo stato d’eccezione, ancora oggi in vigore, le forze di polizia e i militari hanno ottenuto ampi poteri per compiere arresti senza necessità di mandato, controllare i movimenti delle persone e intervenire con maggiore forza nelle aree sotto il loro controllo.
Dopo il massacro, la gestione delle carceri è stata affidata nuovamente ai militari. Nel frattempo il governo ha avviato una campagna mediatica con la promessa della costruzione di un megacarcere sull’isola del Cisne, nel nord del Paese. Questa appare più che altro come una mossa propagandistica, quello che potremmo definire populismo penale, nel solco della straordinaria popolarità di cui gode Nayib Bukele, attuale presidente del Salvador, dopo aver adottato politiche di tolleranza zero per la lotta a maras e pandillas. Negli ultimi 3 anni nel Salvador sono state arrestate oltre 80 mila persone, giovani e giovanissimi accusati di essere affiliati alle bande. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei trasferimenti al CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo), mega-carcere destinato a ospitare più di 40 mila persone.
In questa intervista con Jennifer Ávila, autrice del documentario e giornalista di Contracorriente, si affrontano tutti questi temi, con un focus particolare sul caso honduregno. Ciò che emerge è che la strage del giugno 2023 è il riflesso delle trattative tra lo Stato e la criminalità organizzata.
Ancora una volta, la guerra è stata combattuta sui corpi delle donne.
Come affermano le compagne:
No fueron unas contra otras, fue el Estado contra ellas.
Non si è trattato di uno scontro tra bande, ma del più grande femminicidio di Stato mai avvenuto nel Paese.
19 novembre 2024
All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Al Congresso Nazionale Indigeno
Al Consiglio Indigeno di Governo
Alla Sesta Internazionale
A chi ha sottoscritto “Una dichiarazione per la vita”
Alle Reti di Resistenza e Ribellione
Alle Organizzazioni per i diritti umani
Ai Popoli del Messico
Al Movimento sociale di Guerrero
Ai Mezzi di comunicazione liberi e autonomi
Fratelli e sorelle del Messico e del mondo, vogliamo condividere con voi le nostre parole sulla situazione che stiamo vedendo e vivendo nello stato di Guerrero e in Messico:
Con tutto l’apparato dello Stato, con 4 canali televisivi pubblici dove quotidianamente vengono trasmesse le conferenze stampa mattutine, giornali, notiziari radio e TV, su internet e a stampa, l’attuale governo della Quarta Trasformazione guidato da Claudia Sheinbaum, con Omar García Harfuch come Segretario di Sicurezza e Protezione Civile del Messico, ripete fino allo sfinimento discorsi su ciò che il suo governo fa – o dice di fare – per ristabilire la pace nel paese. Attraverso questi discorsi, costruisce una realtà inesistente e cerca di ingannare la popolazione, facendo credere che il male sia esterno all’apparato statale e che provenga solo da alcuni individui che creano l’intera violenza nel paese. Con una narrativa da telenovela, parlano durante le conferenze stampa mattutine di coordinamento tra stati, di spionaggio, di sicurezza e di arresti di persone importanti all’interno delle diverse strutture criminali.
Ma ciò che vediamo e viviamo quotidianamente nello stato di Guerrero è completamente l’opposto di tutto questo:
Sparatorie e omicidi di innocenti, decapitazioni di sindaci, sequestri di gruppo che coinvolgono donne, bambini e bambine, incenerimento di corpi, che secondo il capo della Segreteria della Difesa Nazionale, Ricardo Trevilla Trejo, sono dovuti a “scontri tra gruppi locali”; partendo da questa affermazione, ci chiediamo: a quale gruppo criminale locale apparteneva il sindaco di Chilpancingo, Alejandro Arcos Catalán, per meritarsi di essere decapitato? E a quale gruppo appartenevano le donne e i bambini sequestrati a Mochitlán?
Vediamo e viviamo sfollamenti forzati, estorsioni, il controllo delle risorse economiche dei comuni da parte di gruppi criminali, le telecamere di videosorveglianza nel comune di Chilapa sotto il controllo degli Ardillos, il traffico di stupefacenti su tutte le strade dello stato con la compiacenza della Polizie Municipale, Statale e delle autorità dello Stato; molestie, intimidazioni e furti nei confronti di appartenenti al mondo del giornalismo di Guerrero; pranzi e conversazioni cordiali tra sindaci, sindache e produttori di violenza – così come vengono chiamati oggi nelle conferenze stampa mattutine -, come il pranzo di Norma Otilia Montaño (ex-sindaca di Chilpancingo) con Celso Ortega, leader degli Ardillos; osserviamo anche incarcerazioni di capri espiatori e indagini pilotate per evitare l’arresto dei capi dei gruppi criminali, i mandanti intellettuali; in questi casi, è evidente la complicità e la partecipazione diretta di autorità municipali, statali e federali, insieme alle corporazioni di “sicurezza”, compresa la Guardia Nazionale, la SEDENA e la Marina, il cui numero di effettivi raggiungono già i 12.675 tra Tecpan, Quechultenango, Acapulco e altri comuni dello stato, secondo Ricardo Trevilla Trejo, lo stesso capo della SEDENA la cui analisi della realtà indica che il problema di Guerrero sono gli “scontri tra gruppi locali”.
Il semplicismo delle loro affermazioni dovrebbe essere una prova sufficiente per capire che: 1. Le capacità cognitive di coloro che dirigono le corporazioni di sicurezza dello Stato sono inesistenti. 2. La criminalità organizzata ha il suo volto più visibile in chi spara, uccide, rapisce, traffica, ecc., ma il volto occulto della criminalità veste in giacca e cravatta e si trova in ogni istituzione dello Stato e in ogni corporazione di “sicurezza”. Per noi, popoli indigeni che abbiamo vissuto da vicino la violenza dei gruppi criminali e il silenzio dello Stato, è chiaro che la criminalità sono tutti e tutte loro.
Dal nostro punto di vista, il governo ha tollerato l’esistenza di gruppi paramilitari, narco-paramilitari e cartelli che arrivano a controllare interi territori in tutto il paese, spesso per appropriarsi delle risorse naturali custodite dai popoli e dalle comunità indigene, per poi consegnarle al capitale transnazionale; i partiti politici sono collusi con la mafia, con cartelli locali e non, per controllare il territorio e cooptare le popolazioni del paese affinché gli fossero affidate cariche pubbliche (sindaci, governatori, presidenti), con la conseguenza evidente di dover restituire il favore a chi li ha messi al potere.
Lo stesso governo federale ha tollerato l’esistenza dei cartelli per controllare il movimento sociale-popolare di Guerrero e del paese, i sistemi comunitari e di giustizia sorti da assemblee popolari e dalle comunità; le corporazioni di sicurezza percepiscono un secondo stipendio, più redditizio rispetto a quello che ricevono per il loro lavoro legale, dal servizio che offrono alla criminalità; il denaro che circola nelle sfere del potere, da qualsiasi fonte provenga, legale o illegale, è più importante della vita del popolo, sia esso di Guerrero, Chiapas, Sinaloa, Guanajuato, Oaxaca, Michoacán o di qualsiasi stato del paese. Per questo affermiamo con chiarezza che la criminalità è lo Stato.
È per questo che non accettiamo la narrazione dei buoni contro i cattivi, ciò che vediamo è l’intervento assoluto, non di sola complicità, ma di coinvolgimento dello Stato nei crimini contro la popolazione messicana. In Guerrero, il Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata (CIPOG-EZ), durante l’intero mandato di Andrés Manuel, ha denunciato il gruppo narco-paramilitare Los Ardillos, che ha rapito, torturato, fatto a pezzi e ucciso 63 abitanti delle comunità della Montagna Bassa di Guerrero, oltre alla desaparicion forzata di altri 22 fratelli e sorelle, allo sfollamento e all’assedio di queste comunità.
Lo abbiamo detto in faccia allo stesso Andrés Manuel quando è stato intercettato dal CIPOG-EZ nell’ottobre 2022, sulla strada che va da Chilapa a Tlapa: “CI STANNO UCCIDENDO! Evelyn Salgado (governatrice dello stato di Guerrero) sa chi sono e dove si trovano Los Ardillos, i presidenti municipali lavorano con Los Ardillos, pubblici ministeri e giudici dello stato lavorano con loro, le polizie municipali e statali sono Ardillos, Bernardo Ortega Jiménez, attuale deputato del PRD, è il capo degli Ardillos insieme ai suoi fratelli. Chilapa, Quechultenango, Tixtla, Colotlipa, Acatepec, ecc., sono municipi sotto il controllo degli Ardillos”.
Nonostante quanto già detto, lo scorso 13 novembre, Harfuch ha annunciato trionfalmente l’arresto di Vicente Gerardo, detto “El Garza”, a Querétaro (sono andati fin là a cacciare Ardillos, pur sapendo dove operano), capo zona degli Ardillos. Come se avessero sradicato il male dallo stato di Guerrero, hanno annunciato il suo arresto collegandolo alla decapitazione del sindaco di Chilpancingo, alla sparizione e all’omicidio della famiglia di Mochitlán, al controllo di ampie regioni di Guerrero come Tecoanapa, Ayutla de los Libres e San Marcos, ecc., come se fosse lui il capo degli Ardillos; ma noi sappiamo e abbiamo già denunciato dove si trovano i veri capi di questo gruppo criminale.
È sufficiente chiedersi perché non arrestano Bernardo Ortega Jiménez, deputato del PRD di Guerrero e capo degli Ardillos, o Jesús Parra García, ex sindaco del PRI di Chilapa, oggi deputato locale al congresso di Guerrero, che sa come e dove operano gli Ardillos e come si finanziano le campagne elettorali affinché persone come lui diventino deputati o accedano a incarichi pubblici.
Quindi è sufficiente chiedersi per quale motivo arrestino piccoli delinquenti e non coloro che dirigono le organizzazioni criminali per comprendere che la violenza a Guerrero non avrà fine poiché è provocata dallo stesso Stato, in tutte le sue strutture, e lo Stato non può attaccare se stesso. Per questo, la cosa più comoda è simulare operazioni, reinventare la realtà e mantenere intatta la struttura criminale. Pace a parole, violenza nei fatti.
Di quanto detto finora riteniamo direttamente responsabili Claudia Sheinbaum, Evelyn Salgado, Harfuch, i presidenti municipali e le corporazioni di sicurezza; per la violenza che si vive nel paese e per la morte delle persone che ogni giorno sono vittime della violenza causata dal disprezzo dei gruppi al governo. Li riteniamo responsabili della sicurezza del nostro fratello Jesús Plácido Galindo, promotore del CIPOG-EZ, come di altre autorità comunitarie, minacciate di morte dagli Ardillos, e per le quali non sono è stata messa in atto alcun tipo di misura di sicurezza; sappiamo perché.
Facciamo un appello alla società affinché metta in dubbio e e si interroghi sul discorso portato avanti dai mezzi di comunicazione e attraverso cui pretendono convincerci che il governo di Morena stia disarticolando la criminalità e lavorando per la sicurezza del popolo, mentre in realtà sta solo assicurando la consegna delle risorse naturali del paese al capitale e la sua permanenza al potere per molti mandati.
Facciamo appello ai maestri, agli intellettuali, a rendere visibile attraverso il pensiero critico la realtà del paese e la costruzione di discorsi provenienti dal potere. Rivolgiamo inoltre un appello ai contadini, alle organizzazioni sociali, agli studenti e al movimento popolare di Guerrero affinché si organizzino per la difesa della vita delle loro comunità e per la difesa del territorio, poiché la giustizia non arriverà mai dall’alto.
Ai popoli e alle comunità del Messico, chiediamo di rimanere in allerta, poiché lo scenario che descriviamo non si verifica solo a Guerrero, ma in tutto il paese. Gli omicidi e gli arresti continueranno, perché prolungare la permanenza di Morena al potere e posizionare politicamente Harfuch, personaggio dal passato tetro (con un nonno militare assassino di studenti nel 1968, un padre torturatore membro della Direzione Federale di Sicurezza durante la Guerra Sucia, e lui stesso artefice, insieme ad altri, della cosiddetta “verità storica” nel caso della sparizione dei normalisti di Ayotzinapa), come figura centrale del prossimo mandato, implica spianare la strada e riordinare il territorio, le forze economiche, politiche e sociali in Messico, uccidendo persone innocenti e chi lotta per difendere la vita e il territorio, distruggendo storie per imporre la propria, quella del vincitore, cosa che ci rende fortemente vulnerabili.
Alle organizzazioni per i diritti umani solidali, alla Sesta Nazionale e all’Altra Europa, quella che non si arrende, chiediamo di continuare a vegliare su di noi, come hanno sempre fatto fino ad oggi.
A 114 anni dall’inizio della Rivoluzione Messicana, rivendichiamo la lotta di Emiliano Zapata, di Francisco Villa, di Magón e di tutte quelle persone che hanno lottato per la vita e per la costruzione di una realtà senza tiranni e sfruttatori, con libertà, giustizia e democrazia.
Abbracciamo i nostri fratelli e sorelle dell’EZLN per i loro 41 anni di lunga ribellione e resistenza. Come CIPOG-EZ, continuiamo a resistere, senza arrenderci, senza venderci e senza claudicare.
FERMIAMO LA GUERRA CONTRO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO!
Con rispetto:
Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata.
Link originale: https://www.congresonacionalindigena.org/2024/11/19/la-violencia-en-mexico-en-guerrero-y-la-creacion-de-realidades-en-tiempos-de-la-4t/
Per saperne di più: https://radiozapote.org/denuncia-urgente-hostigamiento-y-amenazas-a-companers-de-la-mision-civil-de-observacion-sexta/
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Para Cristina
Para Flori
A la gran familia que son
A la gran familia que somos
Desaparecidos. Desaparecidas.
En la Argentina de la dictadura militar, entre 1976 y 1983, durante el llamado Proceso de Reorganización Nacional, 30.000 vidas fueron tragadas por las tinieblas. Estudiantes, obreros y obreras, sindicalistas, artistas, miembros de la Iglesia, maestros y maestras. Mujeres y hombres, en su mayoría jóvenes, que a los ojos del poder eran, o podían llegar a ser, una amenaza para el régimen. Revolucionaries, rebeldes, insubordinados, disidentes. Toda una generación diezmada. Torturada con ferocidad inhumana. Cuerpos violados, masacrados, humillados, aniquilados sistemáticamente. Muy pocos sobrevivieron. Mujeres embarazadas apresadas en centros de tortura, sometidas a la misma brutalidad que las demás. Sus hijos, nacidos en el horror, fueron arrancados de sus brazos, privados de su nombre, de su historia, vendidos o entregados a familias complacientes, casi siempre militares o en connivencia con el sistema criminal.
Sus identidades fueron robadas y profanadas. 30.000 hombres y mujeres, en esos siete años, fueron tragados por el agua, la tierra, el fuego. Arrojados al olvido. Sus cuerpos desaparecieron, engullidos por el horror fascista. Sin embargo, sus voces, sus sueños, su lucha y sus razones nunca las pudieron borraron. No consiguieron «desaparecerlos». Nunca. Las Madres, Las Abuelas y Los Hijos de Plaza de Mayo, junto con muchos otros y otras, nunca han dejado de luchar. Han transformado el dolor en resistencia, la memoria en instrumento de justicia, tejiendo puentes entre el pasado y el presente. Siguen buscando, siguen nombrando, siguen denunciando. Siguen gritando. Porque olvidar significa ser cómplice.
Los que no conocen esta historia, jóvenes o mayores, deben conocerla. Los que la han olvidado, que asuman su responsabilidad. No hay justicia sin memoria, no hay futuro sin verdad.
Como Nodo Solidale, un pequeño colectivo con raíces tanto en Italia – la tierra de origen de tantos migrantes que llegaron a Argentina – como en México – una inmensa fosa común en la que se cuentan 115,000 desaparecid@s – sentimos que es nuestro deber contribuir a preservar y difundir la memoria de la dictadura argentina de aquellos años, de los horrores y atrocidades que provocó, así como de todas las dictaduras y fascismos, explícitos o enmascarados, que han marcado la historia, ayer como hoy, en todos los rincones del mundo. La memoria no se refiere sólo al pasado lejano, sino que es una vigilancia continua contra todas las formas de opresión, fascismo, violencia y negación de los derechos humanos, en cualquier contexto y en cualquier momento. Porque sólo a través de la memoria, sin perdón para los asesinos ni olvido para sus cómplices, podremos conseguir que el Nunca Más sea realmente definitivo.
Hoy queremos compartir la historia de NIETO 133, Daniel Santucho Navajas, hijo de Julio y Cristina, robado a su madre, posteriormente desaparecida, durante su encarcelamiento. Tras años de lucha y esperanzas rotas, en julio de 2023, este nieto -que ahora es un hombre- recuperó su identidad y, con ella, una parte de la vida que le había sido arrebatada.
El caso de Daniel es simbólico de todas las historias de nietos y nietas robados, pero también de una esperanza que nunca muere: que la verdad y la justicia puedan prevalecer, incluso después de décadas de silencio y complicidad. Esta restitución de la identidad no es sólo una victoria personal, sino un acto de resistencia colectiva, que nos recuerda lo crucial que es no rendirse.
Todavía hay 300 nietos de las Abuelas de Plaza de Mayo desaparecidos, arrebatados a sus familias por los militares, y podrían estar en cualquier parte, incluso en Europa. Su búsqueda no ha terminado, la lucha, de hecho, continúa. Difunde, comparte y haz que la memoria no se desvanezca.
Existen numerosos textos, novelas, películas y otras aportaciones que relatan la historia y las historias de los desaparecidos y desaparecidas durante la dictadura argentina. Estas historias siguen ahí, listas para ser descubiertas. Es nuestro deber buscarlas, escucharlas y no olvidar.
Aquí siguen los enlaces a materiales sobre la historia del NIETO 133:
– “Identidad Robada” Breve documental dirigido por Rodrigo Vazquez-Salessi y Florencia Santucho sobre la historia de Daniel.
«Las dudas que Daniel Santucho Navajas tenía sobre su identidad finalmente salieron a la luz cuando las Abuelas de Plaza de Mayo, que almacenan la información genética de las víctimas de la dictadura militar en Argentina, encontraron una coincidencia de ADN para él en julio de 2023. Al reencontrarse con su familia biológica, Daniel descubre la verdad sobre lo que le ocurrió. Descubre que nació en un centro de detención y que fue adoptado en secreto. Su madre sigue siendo una de los miles de desaparecidos. Durante su búsqueda de la verdad, se revela el programa sistemático de adopciones ilegales y los crímenes cometidos durante la dictadura militar de 1976 a 1983».
https://www.instagram.com/reel/DCisRFKtCTI/?igsh=bHV0dDd2M2hmaDc2
-El enlace a la emotiva conferencia de prensa en la que la familia Santucho anunció el hallazgo de Daniel.
Es importante llamarlo nieto, aunque sea hijo, hermano y padre porque, como recuerda Estela Carlotto, representante de las Madres de Plaza de Mayo, también es nieto de Nélida Gómez Navaja. Abuela de Plaza de Mayo, Nélida murió en 2012 y nunca dejó de buscar a su nieto hasta el final de su vida.
–En italiano, el hermoso Podcast de Claudia Gatti, Riccardo Cocozza y Florencia Santucho, NIETO 133 – Historia de una familia contra las dictaduras argentinas.
«Esta es la saga de una familia militante que marca la historia de Argentina en los últimos 70 años, la familia Santucho, las dictaduras, la lucha armada, los desaparecidos, el Mundial del 76 y luego el exilio, Italia y México, y luego otra vez la democracia y los juicios a medias, el PC y los centros sociales, y Génova, Maastricht y la Patagonia, forman el telar de fondo de identidades militantes que se mueven entre Italia y Argentina en busca de la verdad y atenazadas por una duda. Duda que encuentra respuesta en un rostro de 46 años. Es el 28 de julio de 2023. Finalmente, una nueva identidad militante, el último Santucho, emerge del pasado y se convierte en el futuro. Esta es la historia de Daniel, Nieto 133.»
È iniziata domenica 17 novembre la campagna europea “Un Quirófano en La Selva Lacandona (Una Sala Operatoria nella Selva Lacandona”).
Di che cosa si tratta è presto detto: una campagna di solidarietà e appoggio al Sistema di Salute Autonomo zapatista, nata in seguito ad un post scriptum del Capitán Marcos contenuto nel comunicato “Una idea genial” del passato agosto https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/21/una-idea-genial/
nel quale ironicamente segnalava: “Abbiamo bisogno di attrezzare diverse sale operatorie. Ci sono i “macellai” (N.d.T.: chirurghi) fraterni, ci sono i candidati per l’intervento chirurgico, ci sono i luoghi per costruirle, ci sono i giovani e le giovani disposte a imparare. Manca solo l’attrezzatura. E la formazione per il suo uso e manutenzione, naturalmente.”
La campagna è stata lanciata dalla rete europea EuropaZapatista, di cui facciamo parte anche noi del Nodo Solidale. Le date scelte non sono casuali: quella di lancio, il 17 novembre, è quella in cui nel lontano 1983 nacque l’EZLN, mentre quella di chiusura, il 10 aprile, è quella in cui morì Emiliano Zapata, in un ideale abbraccio e continuità tra zapatismo chiapaneco e quello storico.
Durante i 40 anni di esistenza dell’EZLN, e i 30 dal primo gennaio del 1994 quando migliaia di indigeni maya dello stato del Chiapas, nel sud est messicano, si sollevarono in armi al grido di “Ya basta!” nei confronti dello Stato, l’esercito zapatista e la capacità organizzativa delle sue basi di appoggio hanno sempre puntato al benessere delle proprie comunità. Come scrivevamo nell’introduzione al testo “Autodifesa Medica – Pantere Nere e EZLN” Ed. Kairos:
“…Ad oggi gli zapatisti e le zapatiste hanno costruito un sistema autonomo di cura che si avvale di sale operatorie, ambulanze per le emergenze, case di salute sparse nelle comunità, campagne di prevenzione e vaccinazione, laboratori di analisi. Inoltre con un sistema di formazione, approfondendo temi come la salute pubblica, primo soccorso, fitoterapia e medicina ancestrale educano promotori e promotrici di salute che si prendono cura della comunità…”
In piena tormenta del narco-stato e della repressione dei narco-paramilitari, gli e le zapatiste hanno deciso di fare un passo avanti nella costruzione e nella pratica dell’autonomia nella salute. Questo è quello che vogliamo appoggiare con questa campagna.
“Perché se la lotta è per la vita, non può che essere una lotta per la salute”
“Non puoi pensare alla salute senza pensare al fiume”
“Non puoi pensare alla salute senza pensare alla Madre Terra. Se lei non è sana, non c’è salute. Dunque, abbiamo iniziato da qui, dalla cura della Madre Terra, togliendole il dolore, le ferite, la stanchezza e la malattia che le hanno imposto alcuni nel suo corpo con la chimica, con i fertilizzanti, violentandola per avere più profitti. Bene… questo la chiamiamo “prevenzione”. E questa è la salute, e non solo la cura con le pasticche e le medicine…”
(dal dialogo con un compagno promotore di salute nel 2008 nel Caracol di Oventik)
Cos’è la Campagna “Una sala operatoria nella Selva Lacandona”?
La Rete EuropaZapatista, composta da organizzazioni, collettivi e gruppi di vari territori europei, che appoggiano e solidarizzano con le comunità autonome e in ribellione zapatiste del Chiapas nel sud-est del territorio chiamato Messico, ha lanciato questa campagna con tre obiettivi:
– Ottenere l’attrezzatura necessaria per le sale operatorie nelle cliniche e negli ospedali zapatisti.
– Diffondere la lotta zapatista per una salute integrale per i popoli indigeni del Chiapas.
– Far conoscere nelle nostre comunità le realtà, le difficoltà e i successi dei popoli zapatisti nella costruzione di un sistema sanitario autonomo, indipendente dai governi, dai loro fondi e dalle loro politiche.
Perché in Chiapas?
Il 1º gennaio 1994, i popoli indigeni del sud-est messicano si sollevarono contro secoli di repressione, razzismo e violenza esercitati su di essi dai vari governi del Paese. Da allora, i diversi governi che si sono succeduti ogni sei anni hanno condotto nella regione una guerra implacabile di logoramento, detta impropriamente “a bassa intensità”, tentando di far arrendere i ribelli. Contro di loro non vi sono stati solo i vari livelli di governo (federale, statale e municipale), ma anche l’esercito federale, le numerose bande paramilitari e di narcotrafficanti, i grandi proprietari terrieri e le multinazionali che cercano di appropriarsi delle ricchezze naturali del Chiapas, uno degli stati più ricchi del Messico.
Questa situazione non appartiene al passato. Ancora oggi la guerra non è cessata. I megaprogetti imposti nelle terre indigene dal precedente presidente López Obrador, che trovano continuità nell’attuale governo di Claudia Sheinbaum, e soprattutto il megaprogetto “Sembrando Vida”, hanno portato il Chiapas sull’orlo di una guerra civile. Organizzazioni vicine al governo da un lato, e gruppi legati al narcotraffico dall’altro, cercano di sottrarre e di appropriarsi delle terre recuperate dai ribelli nel 1994, terre oggi coltivate collettivamente. Ciò ha provocato conflitti molto gravi, come ad esempio le costanti intimidazioni e attacchi alle comunità di Moisés Gandhi e di Seis de Octubre.
Di fronte a tutto questo le comunità zapatiste in ribellione lottano da oltre 30 anni per costruire la loro vita quotidiana secondo i loro principi e valori, rispettando la natura, la Madre Terra, la vita e l’essere umano. Contro la guerra stanno costruendo una cultura di resistenza alla barbarie capitalista. Contro la guerra costruiscono quotidianamente il loro sistema di produzione, di coltivazione e distribuzione dei prodotti, di istruzione e di salute.
Perché nella Selva Lacandona e non altrove?
La Rete EuropaZapatista non è un’associazione umanitaria. Non aiuta i poveri – indigeni o non indigeni – con gli avanzi dei ricchi in cambio di una sorta di espiazione delle proprie colpe. Non è un gruppo culturale che cerca di preservare le tradizioni indigene mentre questi ultimi cercano solo di sopravvivere.
La Rete EuropaZapatista si solidarizza e sostiene i popoli ribelli zapatisti del Chiapas perché questi si sono alzati in lotta.
Perché hanno gridato “¡Ya basta!” alla miseria, all’umiliazione e alla repressione.
Perché cercano di realizzare la loro visione collettiva “qui e ora”.
Perché hanno il coraggio di avere speranza e sanno ascoltare il silenzio mentre resistono e costruiscono.
Perché hanno la forza di aspettare senza cedere, di imparare dai loro errori, di mettere in discussione anche le loro tradizioni pur desiderando di conservare la loro memoria collettiva.
Di più. Perché i popoli originari in ribellione delle montagne del sud-est messicano ci hanno insegnato cosa significa dignità: lottare per la vita. Ci hanno ispirato e continuano a ispirarci a costruire, anche qui nelle nostre terre, un “noi”.
Chiamiamo questa forma di azione, questo sostegno reciproco: politica della solidarietà praticata.
Questa è la nostra risposta, come Rete EuropaZapatista, alla domanda: “Perché nella Selva Lacandona?”
La Salute Autonoma Zapatista
All’epoca dell’insurrezione armata zapatista del 1994, la morte e la povertà colpivano duramente l’infanzia nelle comunità indigene del Chiapas. Le cosiddette “malattie della povertà” come infezioni intestinali, respiratorie ed epidemiche, malnutrizione infantile, febbre e diarrea, abbondavano tra i bambini e le bambine. Sebbene si trattasse di malattie perfettamente curabili, un alto numero di morti avvenivano per mancanza di cure mediche e farmaci, rendendo l’aspettativa di vita alla nascita tra le più basse del Paese. All’epoca non si aveva una chiara idea del numero delle nascite e dei decessi dei bambini e delle bambine poiché le istituzioni governative basavano le statistiche sui certificati di nascita e di morte, documenti ufficiali inesistenti per la popolazione indigena della maggior parte dei municipi, considerati ad alta e altissima marginalità.
Il caso di Paticha, una bambina indigena di meno di 5 anni, è emblematico. Raccontava il Sup Marcos:
“..Quella notte, il compagno Samuel venne a cercarmi, sua figlia stava molto male. Andammo a casa loro e lei aveva la febbre. Non avevamo nemmeno un termometro per capire quanto fosse alta, né sapevamo cosa avesse. L’unica cosa che potemmo fare fu immergerla nel fiume, così com’era con tutti i vestiti, per abbassarle la temperatura. E quando tornammo dal fiume, i vestiti si erano già asciugati per quanto la febbre era alta. Morì poche ore dopo… tra le mie braccia, per dirlo in modo crudo, no? Come Paticha c’era tutta una generazione di bambini e bambine sotto i cinque anni che venivano persi lungo il cammino. E per malattie assurde, curabili con poco.”
Nella Granja, Colonia G. Tepeyac, Puebla. 15 de febrero de 2006
Ed è per questo che decisero di sollevarsi in armi, per costruire una vita per i loro bambini e bambine, per i loro anziani e anziane, per le loro donne e i loro uomini basi di appoggio zapatista, e per costruire una salute, un’educazione e una vita dignitosa per tutti e per tutte.
In questi trent’anni sono riusciti a creare un sistema di salute autonomo gestito dai promotori e dalle promotrici della salute che, ponendo particolare attenzione alla prevenzione, ha costruito farmacie, dispensari e cliniche nelle comunità, anche nelle più remote, e cliniche più grandi che permettono anche il ricovero a livello regionale. Esempi di queste cliniche sono “La Guadalupana” a Oventik e la “Clínica de la Mujer, Comandanta Ramona” a La Garrucha, dove è possibile effettuare analisi e studi clinici e offrire servizi di oftalmologia e odontoiatria. In queste cliniche, i pazienti, siano essi
zapatisti o no, vengono trattati senza differenza, con una sapiente combinazione di conoscenze tradizionali e medicina moderna allopatica. Oggi, la mortalità infantile e quella materna al momento del parto appartengono al passato.
Un passo avanti
Ora, i compas e le compas hanno deciso di fare un passo avanti nella pratica dell’autonomia nella salute:
“Abbiamo bisogno di attrezzare diverse sale operatorie. Ci sono i “macellai” (N.d.T.: chirurghi) fraterni, ci sono i candidati per l’intervento chirurgico, ci sono i luoghi per costruirle, ci sono i giovani e le giovani disposte a imparare. Manca solo l’attrezzatura. E la formazione per il suo uso e manutenzione, naturalmente.”
Postdata del comunicado “Una Idea Genial”. Agosto del 2024
https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/21/una-idea-genial/
E questo è quello che vogliamo appoggiare.
Come partecipare alla Campagna “Una sala operatoria nella Selva Lacandona”
– Organizzando eventi e presentazioni pubbliche sulla Campagna
– Informando di questo progetto persone e collettivi che potrebbero essere interessati a partecipare
– Diffondendo gli eventi e le attività della Rete EuropaZapatista
– Contattando direttamente la Rete EuropaZapatista all’indirizzo email: eurozapweb@riseup.net
Potete anche scriverci per qualsiasi domanda, proposta o idea.
Insieme a Radio OndaRossa 87.9, come Nodo Solidale abbiamo parlato della situazione di crescente violenza in Messico, in corrispondenza del cambio di presidenza che ha visto l”installarsi di Claudia Sheinbaum. Questo è il contesto all’interno di cui si inseriscono le pressioni da parte di gruppi paramilitari nei confronti della comunità zapatista 6 de octubre, nel caracol Nuevo Jerusalem, e l’omicidio di Padre Marcelo Perez nella città di San Cristobal de las Casas:
https://www.ondarossa.info/redazionali/2024/11/nodo-solidale-messico-e-chiapas
Video realizzato dalla Sexta di San Cristóbal de las Casas: immagini della mobilitazione del passato 24 ottobre, a San Cristóbal, testo: “Alto a la guerra contra a los pueblos zapatistas”:
https://www.congresonacionalindigena.org/2024/10/21/pronunciamiento-alto-a-la-guerra-contra-los-pueblos-zapatistas/
Traduzione in italiano:
A coloro che non vedono la guerra con indifferenza
“Chiapas al bordo della Guerra Civile” era il titolo di un comunicato dell’EZLN del 19 settembre 2021; oggi il Chiapas è un campo di Guerra Civile. Secondo quanto denunciato dallo stesso EZLN il 16 ottobre scorso, da settimane i residenti della comunità chiamata Palestina in Chiapas hanno minacciato gli abitanti del villaggio zapatista “6 ottobre” con armi ad alto calibro, hanno violentato donne, incendiato case e commesso furti delle loro proprietà, raccolti e animali, per sfrattarli dalle terre che occupano e lavorano pacificamente da oltre 30 anni.
I residenti di questa comunità chiamata Palestina hanno segnalato pressioni da parte della criminalità organizzata affinché i compagni zapatisti vengano sfrattati, e che esiste un accordo della criminalità organizzata con i diversi livelli di governo per dare un carattere “legale” a questo esproprio.
Dal 2021, l’EZLN aveva già avvertito dei legami tra il governo del Chiapas e i cartelli della droga e denunciava da allora la crescita del narcoparamilitarismo che ha portato adesso il Chiapas nella più sanguinosa violenza. In Chiapas, il narcoparamilitarismo sta espropriando il territorio e, come affermano le compagne zapatiste, opera insieme ai vari livelli di governo per legalizzare questi espropri. Le stesse terre che l’EZLN liberò dalle mani dei latifondisti nel 1994 sono quelle che ora i governi dei tre livelli pretendono, per poi favorire passivamente o attivamente, che siano consegnate a dei criminali.
In Messico la guerra non solo non è finita, ma si è acutizzata in alcuni stati, e uno di questi è il Chiapas. La gestione della guerra da parte del governo si è concentrata sull’esproprio del territorio, sulla criminalizzazione della ribellione e, ovviamente, su un discorso che minimizza le atrocità e giustifica il crescente e inefficace militarismo, come ha dimostrato la militarizzazione incessante in Chiapas. La guerra del narcotraffico che ha insanguinato il confine nord del Messico e gradualmente tutto il paese, ora si estende verso il sud-est e il confine meridionale, dove gli interessi criminali estrattivi, narcoeconomici e controinsurrezionali si incontrano e si trasformano in una guerra narcoparamilitare particolarmente ostile contro le Comunità Zapatiste, mentre la Guardia Nazionale e il resto delle Forze Armate non solo tollerano queste pratiche criminali, ma le proteggono e, dall’altra parte, assassinano migranti.
Come afferma il Subcomandante Moisés nel più recente comunicato dell’EZLN, la situazione è più grave di quanto si possa percepire; il rischio rappresentato da queste minacce ha portato a sospendere ogni forma di comunicazione e a prendere in considerazione la cancellazione degli incontri annunciati per quest’anno e per il prossimo.
Il Chiapas ha vissuto una guerra di bassa intensità per 30 anni dalla presidenza di Carlos Salinas; il Messico ha vissuto una narcoguerra per quasi 20 anni dalla presidenza di Felipe Calderón e, dopo tre anni della presidenza di Andrés Manuel López Obrador, l’EZLN ha avvertito del recrudescimento della violenza favorita dal governatore Rutilio Escandón e di una possibile guerra civile in Chiapas. A poco più di due settimane dalla presidenza di Claudia Sheinbaum, il Chiapas si trova in uno scenario di guerra civile e uno dei pochi angoli di dignità rimasti al Messico e al pianeta, il territorio zapatista, è nuovamente minacciato dalla morte e dalla distruzione. Come afferma il comunicato dell’EZLN: “questa è la realtà della ‘continuità del cambiamento’ nei cattivi governi”.
Noi che firmiamo questa lettera ci troviamo profondamente indignati, preoccupati e in allerta per quanto sta accadendo nei territori zapatisti del Chiapas. Invitiamo coloro che credono ancora che la dignità e la ribellione siano il cammino verso la speranza, a denunciare quanto sta accadendo e a esercitare pressione sul governo messicano e sul governo del Chiapas affinché cessino queste aggressioni e crimini, si sospenda ogni supporto a organizzazioni narcoparamilitari, che la smettano con il militarismo e la militarizzazione come presunta soluzione. Questa dinamica di guerra ostacola la possibilità che le comunità zapatiste continuino a costruire, a partire dalla loro autonomia e dal comune, quella realtà piena di speranza che esse chiamano quotidianità, affinché nel loro specchio possiamo intravedere i sentieri per sopravvivere al collasso e pensare al giorno dopo.
Corrispondenza del 24 ottobre con Radio OndaRossa 87.9
Di nuovo in Messico, in particolare in Chiapas con i compagni e le compagne del Nodo Solidale, questa volta per una notizia triste, che ci riempie di rabbia e dolore, l’omicidio di Fra Marcelo Perez Perez, il parroco della chiesa di Nuesta Senora de Guadalupe a San Cristobal, freddato davanti alla chiesa da due persone in motocicletta appena finita la messa. Fra Marcelo non era un sacerdote qualsiasi, e i compagni e le compagne ci raccontano un po’ di lui, del suo lavoro e del suo modo di vedere la resistenza dal basso.
La prossima settimana torneremo a parlare di questa terribile vicenda e di cosa sta continuando a succedere nel territorio chiapaneco e nel paese.
https://www.ondarossa.info/redazionali/2024/10/assassinano-padre-marcelo-perez-san
Chi era padre Marcelo?
Condividiamo un’intervista con il sacerdote realizzata da Raúl Zibechi nel settembre 2022.
“Stiamo vivendo qualcosa di simile ai tempi di Gesù. I romani non avevano pietà. Il narcotraffico non ha pietà”, sentenzia padre Marcelo Pérez, seduto nella sala da pranzo della parrocchia Nuestra Señora de Guadalupe a San Cristóbal de las Casas, Chiapas.
La chiesa sorge su un’altura, raggiungibile salendo 79 scaloni che lasciano con il fiato corto. La ricompensa è una vista panoramica stupenda, con montagne alberate che dominano la candida città coloniale. Al centro, a fare da cerniera tra il manto naturale e le pietre urbane, c’è la chiesa, circondata da una piazza alberata dove incontriamo padre Marcelo, sempre accompagnato da persone che lo consultano e gli chiedono consiglio.
Marcelo si è formato nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez, che definisce come “molto conservatrice”, ma nel 2001 fu inviato a Chenalhó dove la sua vita cambiò radicalmente. “Acteal mi ha dato la luce”, afferma con fermezza. Il massacro di Acteal, del 22 dicembre 1997, con un saldo di 45 tsotsiles [popolo maya della regione de Los Altos de Chiapas, ndt] assassinati mentre pregavano per mano di paramilitari addestrati per combattere l’EZLN, continua a esercitare una brutale presenza sul municipio e in tutto il Chiapas.
“Avevo paura, ma ad Acteal ho visto che le persone sono libere. Sono pastore, ma ho visto che il gregge è molto più coraggioso. Mi sono unito a loro per denunciare l’impunità e per lottare contro il progetto Ciudades Rurales del governo di Juan Sabines”, continua il padre in un racconto che spazia dagli anni della formazione all’impegno con il suo popolo.
Rifiuta l’ispirazione della Teologia della Liberazione e recita i quattro pilastri del suo pensiero e modo di agire: la realtà che affrontiamo, la parola di Dio di fronte a essa, la posizione della chiesa e gli impegni necessari da assumere. “Parlare di teologia della liberazione significa entrare in conflitto”, afferma con pragmatismo.
Poi ritorna al suo discorso: “Acteal mi ha convertito”. Il dolore nasce ascoltando i sopravvissuti: María, Zenaida, donne e uomini che hanno perso tutta la loro famiglia. “Come è possibile dir loro che Dio li ama!”, esclama il padre. Per questo non si ispira alla parola della Bibbia, alla teoria che nasce dal testo sacro, ma prende un’altra direzione, “piangere con chi piange, soffrire con chi soffre” e, soprattutto, “camminare con loro”.
La strada non è nel cambio di partito.
Le parole scorrono su una tavola imbandita con un pranzo semplice. Ci avvolge il suo entusiasmo e la sincerità del suo dolore. “I sopravvissuti sanno leggere, lì è la luce”. Impossibile non ricordare parole molto simili pronunciate decenni fa dall’assassinato monsignor Oscar Romero, che si espresse in modo molto simile al sacerdote di Chenalhó: “Il sangue di Rutilio Grande mi ha convertito”, disse in riferimento al martire del movimento contadino salvadoregno.
La conversione portò padre Marcelo a camminare con il popolo contadino. Non solo ha accompagnato le vittime, ma denunciò anche gli autori materiali e intellettuali della violenza, il che gli ha provocato la persecuzione da parte del governo del Chiapas.
“Nel 2008 hanno incendiato la casa parrocchiale, poi hanno danneggiato le candele e le gomme della mia auto, e il 12 dicembre 2010 due ragazzi mi hanno picchiato per strada”, racconta con calma.
È quasi morto quando hanno collegato un cavo elettrico al serbatoio della benzina del suo veicolo, il che lo ha spinto ad accettare il trasferimento a Simojovel, dove è arrivato il 5 agosto 2011. “La gente ha iniziato a visitarmi per raccontare le proprie tragedie, gli omicidi, le morti. È così che ho scoperto che i criminali hanno accordi con le autorità e alle denunce sono seguite le minacce”.
L’8 marzo ha organizzato una processione di donne contro la vendita di droghe nei pressi della presidenza del municipio. Lo hanno accusato di essere un guerrigliero e persino uno zapatista, hanno messo una taglia sulla sua testa, fino a quando nel 2014 il municipio e il PRI hanno cercato di mobilitare la popolazione contro di lui, con scarso successo tra la gente.
Un punto di svolta è stato il pellegrinaggio di 15.000 persone, tenutosi in ottobre, in cui si denunciò la famiglia Gómez Domínguez, che è entrata in scena con sicari che hanno fatto vari attentati e messo sù una campagna mediatica contro padre Marcelo, arrivando a offrire un milione di pesos per la testa del sacerdote di Simojovel.
Nel citato comunicato, il Pueblo Creyente conclude che i cambiamenti non vengono da un partito “ma dalla società civile, dai popoli originari, dalla classe povera e media”, e denuncia che il Chiapas “si avvicina a un’esplosione sociale”.
La sua forma d’azione sociale è la convocazione di processioni, alle quali hanno partecipato decine di migliaia di fedeli, e la denuncia delle autorità e dei politici. È riuscito a far sì che i Gómez Domínguez non vincessero le elezioni municipali, ma è stato denunciato per diffamazione presso la PGR. Comunque Marcelo riconosce che “la strada non è cambiare partito”.
Negli anni successivi ci sono stati molti sit-in della popolazione e tanti omicidi da parte del crimine organizzato, sempre sotto la protezione delle autorità. “Il 12 dicembre 2017 ho celebrato la messa più triste della mia vita, per la morte di due anziani a causa del freddo e della fame”. Proseguono lo sfollamento forzato di intere comunità, ulteriori violenze e morti, bombe e spari. Ma la popolazione continua a resistere.
Nel maggio 2017 nasce il Movimento Indigeno del Pueblo Creyente Zoque in Difesa della Vita e del Territorio (ZODEVITE), mentre a giugno si svolse una massiccia processione verso Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e petrolifere, poiché il governo messicano voleva concedere a imprese straniere oltre 80.000 ettari, coinvolgendo più di 40 ejidos e comunità locali.
La mobilitazione ha rappresentato una nuova sconfitta per i piani di chi sta in alto, ma la violenza continua. Nel 2021 si sono registrati a Pantelhó, un municipio di appena 8.600 abitanti della regione degli Altos del Chiapas, più di 200 morti a causa del crimine di stato/organizzato,.
Il 3 luglio viene assassinato Mario Santiz López. Il 5 luglio 2021 viene assassinato Simón Pedro Pérez López, catechista ed ex presidente della direzione della Società Civile Las Abejas di Acteal, colpevole di promuovere la non violenza e di accompagnare le comunità tsotsiles di Pantelhó. Al suo funerale Marcelo ha accusato il “narco-municipio”, cioè l’alleanza tra lo Stato e il crimine organizzato.
Sebbene abbia chiesto alle comunità di “non cadere nella tentazione della vendetta”, il 10 luglio è stato diffuso un comunicato del gruppo armato “El Machete”, creato dalle comunità come autodifesa contro la violenza. Il 26 luglio 2021 migliaia di persone in passamontagna hanno preso il controllo del municipio, 19 uomini sono stati esposti ammanettati nella piazza centrale del municipio a causa dei loro legami con il crimine organizzato.
Sebbene fosse stata un’azione collettiva comunitaria (un’esplosione dal basso), che apparentemente non fu convocata da El Machete, la Procura Generale del Chiapas ha emesso un mandato di arresto contro padre Marcelo per la scomparsa di queste 19 persone a Pantelhó. Non importava loro che quel giorno il sacerdote fosse in un altro luogo, a Simojovel, che invocasse sempre la pace e che il giorno successivo fosse arrivato in realtà per calmare gli animi.
È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.
Il mandato di arresto è ancora in vigore. A ottobre è stato trasferito alla chiesa di Guadalupe a San Cristóbal, dove adesso ci spiega chi sta provocando violenza e morte. “Le autorità sono complici del narcotraffico. Hanno cercato di metterci a tacere, attraverso minacce di morte e diffamazione sui social network. Si ho paura, ma questo non mi ferma”.
Nella sua analisi della situazione, questo indigeno tsotsil che è sacerdote in Chiapas da 20 anni, sostiene che non è possibile fermare la violenza perché i poliziotti sono sicari, perché “abbiamo un narco-Stato”. È convinto che la violenza peggiorerà e che solo successivamente si potrà giungere ad una certa calma, ma a costo di molto sangue. “Spero che sia il sangue di sacerdoti e vescovi, non quello del popolo”.
Afferma che siamo nel mezzo della tempesta, che non si può risolve con un’altra tempesta, ma cercando strade differenti. Diffida dei poteri e dei potenti: “Se uccidono me è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla, a nessuno importa. Se serve dare la mia vita, eccomi qui”, conclude.
Prima di congedarci, fa riferimento a una frase biblica, assicurando che i dolori che stiamo attraversando sono “i gemiti del parto”. Pone i suoi principi e valori al di sopra della sua stessa vita: “Non accetto guardie del corpo. È contro il Vangelo che qualcuno muoia perché io viva. È la vita del popolo ad essere a rischio, non la mia.”. Nel saluto finale, si confessa: “Non mi fido della polizia”.
Di seguito riportiamo la traduzione del comunicato dell’EZLN e denuncia effettuata dal Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) in merito alle minacce e aggressioni subite dalle Basi d’Appoggio Zapatiste di Nuevo Jerusalén.
La denuncia può essere firmata dalla pagina:
https://frayba.org.mx/denunciamos-el-riesgo-la-vida-seguridad-e-integridad-personal-de-los-habitantes-bases-de-apoyo-del
COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIÓNE NAZIONALE
MESSICO
16 OTTOBRE 2024
ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE:
A CHI HA FIRMATO LA DICHIARAZIONE PER LA VITA:
COMPAS:
ALCUNE SETTIMANE FA, ABITANTI DI PALESTINA HANNO MINACCIATO LE DONNE, GLI ANZIANI, I BAMBINI E GLI UOMINI DEL VILLAGGIO ZAPATISTA “6 DE OCTUBRE”, PARTE DEL CARACOL DI JERUSALÉN, DI CACCIARLI DALLE TERRE CHE OCCUPANO E LAVORANO, PACIFICAMENTE, DA OLTRE 30 ANNI.
FINO A QUESTO “CAMBIO” DI GOVERNO, IL VILLAGGIO “6 DE OCTUBER” AVEVA VISSUTO IN PACE E ARMONIA CON LE POPOLAZIONI CIRCOSTANTI, SENZA PROBLEMI.
DALL’INIZIO DI QUESTO PROBLEMA IL GOVERNO AUTONOMO LOCALE (GAL) DI “6 DE OCTUBRE” E L’ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DEI GOVERNI AUTONOMI ZAPATISTI (ACEGAZ) DEL CARACOL JERUSALÉN, HANNO INSISTO PER IL DIALOGO E L’ACCORDO CON LE AUTORITÀ COMUNALI DI PALESTINA, MA È STATO INVANO. QUESTE AUTORITÀ DI PALESTINA DICHIARANO DI AVERE L’APPOGGIO DELLE AUTORITÀ MUNICIPALI DI OCOSINGO E DEL GOVERNO DELLO STATO DEL CHIAPAS (RISPETTIVAMENTE PVEM E MORENA), E DI AVERE ISTRUZIONI DA TALI MALGOVERNI DI CONSEGNARE AGLI AGGRESSORI I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LA LORO PROPRIETÀ SULLE TERRE SOTTRATTE.
GLI STESSI ABITANTI DI PALESTINA SOTTOLINEANO CHE CI SONO PRESSIONI DA PARTE DELLA COSIDDETTA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PERCHÉ I NOSTRI COMPAGNI VENGANO CACCIATI E CHE C’È UN ACCORDO TRA LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E I DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO PER DARE NATURA “LEGALE” A QUESTO FURTO.
LE MINACCE SONO IN AUMENTO FINO A COMPRENDERE LA PRESENZA DI ABITANTI DI PALESTINA CON ARMI DI GROSSO CALIBRO, MINACCE DI STUPRO SULLE DONNE, INCENDI DI CASE E FURTI DI BENI, RACCOLTI E ANIMALI.
LE PROVOCAZIONI NON CESSANO. IL CARACOL JERUSALÉN ERA UNO DEI LUOGHI CONTEMPLATI PER LA CELEBRAZIONE DEGLI INCONTRI DI RESISTENZA E RIBELLIONE 2024-2025.
POICHÉ DOBBIAMO ESSERE CONSAPEVOLI DEL DETERIORAMENTO DI QUESTA GRAVE SITUAZIONE, SOSPENDIAMO TUTTE LE COMUNICAZIONI E LE INFORMAZIONI RIGUARDANTI TALI INCONTRI E CONTEMPLEREMO LA CANCELLAZIONE DEGLI STESSI PERCHÉ NON CI SAREBBE SICUREZZA PER I PARTECIPANTI OVUNQUE IN CHIAPAS.
QUESTA È LA REALTÀ DELLA “CONTINUITÀ CON IL CAMBIAMENTO” DEI MALGOVERNI.
È TUTTO.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, ottobre 2024
16 ottobre 2024
Azione Urgente n. 3
Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha ricevuto informazioni dai Collettivi di Governi Autonomi Zapatisti (CGAZ), Caracol IX, Nuevo Jerusalén, riguardo agli attacchi di persone armate e all’installazione di capanne all’interno delle terre recuperate del villaggio 6 de Octubre, Governo Autonomo Locale (GAL), comune ufficiale di Ocosingo, Chiapas.
In più occasioni durante il mese di giugno, persone sconosciute sono arrivate nella comunità con armi di differente calibro, intimidendo le famiglie del villaggio 6 de Octubre. Hanno svolto delle perlustrazioni e scattato foto. Successivamente, due Basi di Appoggio che erano uscite per andare a lavoro sono state minacciate: è stato detto loro in modo “pacifico” che devono lasciare la loro comunità, altrimenti sarebbero stati “cacciati con la forza”. La comunità non ha ceduto a queste intimidazioni che si sono succedute nel tempo. Finché la sera del 30 agosto, un drone è stato avvistato sorvolare l’abitato della comunità 6 de Octubre.
Nel corso del mese di settembre, persone sconosciute hanno continuato a fare incursioni, generando paura tra gli abitanti. L’episodio culminante è avvenuto il 23 settembre 2024, intorno alle ore 6:00, quando un gruppo di persone armate è arrivato al GAL 6 de Octubre. Sono arrivati con 10 veicoli con a bordo circa 100 persone, scese per ripulire una porzione di terreno dove costruire le proprie capanne, vicino alle abitazioni delle famiglie Basi di Sostegno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN). Da quel momento, il gruppo armato è rimasto sul posto, incrementando le intimidazioni e le minacce. Uomini armati sorvegliano le attività delle famiglie zapatiste. Per sicurezza, gli uomini del villaggio preferiscono restare in casa, lasciando uscire solo le donne, che sono state oggetto di minacciate di violenza sessuale.
Dal 5 settembre 2024, diverse autorità dello Stato messicano sono state informate della presenza di questo gruppo armato, delle intimidazioni e delle minacce nelle terre recuperate delle famiglie BAEZLN, senza che finora siano state intraprese azioni efficaci per affrontare la situazione, con il rischio di sfollamento forzato interno.
Chiediamo alle autorità competenti di:
Firmando questa Azione si invierà automaticamente un’e-mail alle autorità governative con il vostro indirizzo come mittente . Maggiori informazioni nell’ informativa sulla privacy.