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I cambi nell’Autonomia Zapatista

Pubblichiamo la traduzione dell’ articolo  https://www.elsaltodiario.com/ezln/cambios-autonomia-zapatista 
di Lola Sepúlveda del Centro de documentación sobre Zapatismo, CEDOZ.

 

I cambi nell’Autonomia Zapatista

16 jun 2024

Quarto testo appartiene ad una rassegna che dedichiamo al 30° anniversario della rivolta dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. L’autrice analizza il modo in cui lo zapatismo concepisce l’Autonomia e i vari cambi organizzativi che ha prodotto al suo interno nel corso di tre decenni.

Ora possiamo sopravvivere alla tempesta come comunità zapatiste che siamo. Ma ora non si tratta solo di questo, ma di attraversare questa e altre tempeste che arriveranno, attraversare la notte e arrivare a quel mattino, tra 120 anni, in cui una bambina inizia a imparare che essere libera significa anche essere responsabile di quella libertà.”

Per questo, guardando quella bambina lì da lontano, apporteremo i cambi e gli aggiustamenti che abbiamo discusso e concordato insieme in questi anni, e che abbiamo già concordato con tutti i popoli zapatisti.”

Terza parte: Deni (02/11/2023)

Quando si parla di zapatismo l’autonomia è, probabilmente, uno degli argomenti più seguiti e studiati; loro stessi hanno aperto le porte delle loro comunità per farle conoscere, fondamentalmente attraverso i tre Incontri dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo e la Escuelita Zapatista. Alla fine del 2023, nell’ambito di una serie di 20 comunicati zapatisti pubblicati nel contesto del 30° anniversario della rivolta, hanno annunciato cambiamenti nella loro autonomia che implicano la scomparsa di due delle loro forme organizzative più conosciute, i Municipi Autonomi e le Giunte di Buon Governo; e c’è chi si è chiesto se ciò significasse che, dopo tanti anni di esercizio dell’autonomia nel quadro di una feroce guerra contro le comunità, avessero deciso di “rinunciare” a seguire quella strada. Ma no, non è così. Ciò che hanno fatto gli zapatisti, dopo un lungo processo di analisi, è stato esattamente approfondire questo tema in modo radicale. Questo testo si propone di delinearne i contorni, a partire dalla storia dello zapatismo, per cercare di comprenderne i cambiamenti.

Le comunità indigene, sia in Messico che nel resto del continente americano, hanno sempre praticato la propria autonomia e l’autogoverno. È grazie a questa pratica che sono sopravvissuti e hanno mantenuto la propria cultura. Ma queste pratiche sono state quasi sempre clandestine, poiché non riconosciute dalle leggi vigenti dei vari paesi, causando da sempre molti problemi legali alle comunità.

È stato negli anni precedenti al 1992, e alle celebrazioni ufficiali dei diversi governi, che i popoli nativi del continente cominciarono a realizzare incontri, come il Forum sui Diritti dei Popoli Indigeni tenutosi a Matías Romero, Oaxaca nel 1989, o il I^ Incontro Latinoamericano delle Organizzazioni Contadine e Indigene, nell’ottobre 1991 a Bogotá in Colombia, che hanno travalicato i confini dei paesi in cui vivevano e durante i quali si è dato voce soprattutto alle richieste di autonomia e di autogoverno. E nel 1994 questa discussione era ancora viva.

La richiesta che “ci lascino organizzare e governare secondo la nostra autonomia, perché non vogliamo più sottometterci alla volontà dei potenti nazionali e stranieri”, faceva parte delle loro prime rivendicazioni.

Quando l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si è seduto per la prima volta, il 20 febbraio, davanti a una delegazione del governo nei Dialoghi della Cattedrale, alcune settimane dopo la sua Dichiarazione di Guerra del 1° gennaio 1994, le rivendicazioni per il diritto al proprio governo erano parte della loro piattaforma rivendicativa: “Come popolo indigeno, che ci lascino organizzare e governare con la nostra autonomia, perché non vogliamo più sottometterci alla volontà dei potenti nazionali e stranieri” e “Che la giustizia sia amministrata dagli stessi popoli indigeni, secondo i loro usi e costumi, senza l’intervento di governi illegittimi e corrotti” (punti sedici e diciassette).

Nelle sessioni di dialogo hanno spiegato che autogoverno e autonomia non significano separarsi dal Messico, del quale, anzi, vogliono continuare a far parte, ma che si rispettino le loro logiche di governo secondo cui chiedono dignità, e che si stabilisca un nuovo modo di relazionarsi con le comunità alle quali non si impongano autorità municipali che non le tengano in considerazione e non difendano i loro interessi come popoli.

Fallito questo dialogo, il 19 dicembre dello stesso anno , gli zapatisti rompono l’assedio dell’Esercito federale creando 30 Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti per cominciare ad esercitare pubblicamente la loro autonomia.

Un cartello indica il Caracol  Nueva Jerusalén i nterritorio zapatista. Fto: collettivo Calendario Zapatista (Gr)

I municipi autonomi

Nonostante siano stati annunciati alla fine del 1994, la loro costituzione e consolidamento è rimasta in sospeso prima a causa del tradimento del governo federale, che nel febbraio dell’anno successivo lanciò l’esercito alla ricerca dei dirigenti zapatisti, poi a causa del possibile riconoscimento formale dell’autonomia attraverso i Dialoghi di San Andrés (1996). Negli accordi siglati nel primo round del dialogo, il governo federale, in effetti, aveva riconosciuto il diritto dei popoli a decidere la propria forma di governo interno e le proprie modalità di organizzazione politica, sociale, economica e culturale impegnandosi ad apportare i necessari cambiamenti alla Costituzione. Ma tutto è rimasto lì, perché il governo si è rifiutato di rispettare quanto firmato.

In considerazione di ciò, gli zapatisti hanno deciso di proseguire sulla strada della loro autonomia iniziando a costituire formalmente i Municipi Autonomi Ribelli (MAREZ) dal 1997. Non fu un percorso facile, non solo per la presenza attiva di gruppi paramilitari sostenuti, finanziati e istruiti dall’Esercito Federale, ma anche perché il governo scatenò una campagna contro i Municipi che, con l’aiuto dell’esercito e della polizia federale e statale, cercò di smantellarli arrestando le autorità di nuova nomina. Si ricordano, tra le altre, le operazioni contro il Municipio Autonomo Ricardo Flores Magón, con sede a Taniperla, municipio ufficiale di Ocosingo, e Tierra y Libertad, con sede ad Amparo Agua Tinta, municipio di Las Margaritas.

Cominciarono ad operare in diversi aree di lavoro, dal commercio ai trasporti, a quelle più visibili dall’esterno come educazione e salute, costruendo scuole e case della salute nelle comunità.

Nonostante tutta la repressione esercitata contro di loro, i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti continuarono a nascere e le loro autorità, elette dalle assemblee delle comunità che li componevano, hanno iniziato ad operare in diverse aree di lavoro, dal commercio ai trasporti, a quelle più visibili dall’esterno come educazione e salute: si formarono i promotori di educazione e di salute e poco a poco si crearono scuole e si costruirono ambulatori, microcliniche e case della salute nelle comunità.

Si creò e consolidò così un secondo livello regionale di governo autonomo – il primo era quello locale – che, peraltro, esce “dall’ombra” della struttura militare dell’EZLN che, non solo non partecipa alla designazione o destituzione delle autorità, poiché nessuno con incarichi militari o appartenente al Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno poteva ricoprire incarichi di autorità, sia nelle comunità sia nei Municipi Autonomi.

Primo cambio dell’Autonomia

A partire dal gennaio 2003 furono pubblicati una serie di testi dal titolo “Messico 2003: un altro calendario, quello della resistenza” che, suddivisi in “estelas” (scie, tracce, ma anche stele. N.d.T.), mostravano le lotte nel Paese: Oaxaca, Puebla, Tlaxcala…, e Chiapas, essendo questo la tredicesima “estela”. Pubblicato alla fine di luglio 2003 e diviso, a sua volta, in sette parti mostrava la profonda riflessione realizzata nelle comunità zapatiste a partire dalla propria organizzazione autonoma. Nella loro analisi avevano riscontrato due tipi di problemi, uno nel loro rapporto con la società civile, nazionale e internazionale, e l’altro riguardo i rapporti con le comunità zapatiste e non zapatiste.

Il 9 agosto 2003 verranno istituite le cosiddette “Giunte di Buon Governo”, una per ogni zona ribelle, che raggrupperanno le comunità di ciascuna di esse. Le loro sedi saranno i “Caracoles”

Nelle loro riflessioni videro che c’era uno squilibrio nello sviluppo dei differenti Municipi Autonomi e delle comunità che li componevano dovuto al fatto che i più conosciuti, quelli più vicini ai centri urbani e con accesso stradale, ricevevano più progetti e sostegno da parte della società civile; o che a volte erano sorti conflitti tra i Municipi Autonomi e tra questi ed i municipi ufficiali; o che i progetti e i compiti della comunità non si realizzavano nei tempi e nei modi concordati dalle comunità. Quindi a causa di tutto ciò, per garantire che nel territorio ribelle zapatista chi comanda, comandi obbedendo, il 9 agosto 2003 verranno istituite le cosiddette “Giunte di Buon Governo”, una per ogni zona ribelle, che raggrupperanno i municipi di ciascuna di esse. Le loro sedi saranno i “Caracoles”. I Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti avrebbero continuato ad avere come funzioni di governo di competenza l’amministrazione della giustizia, della salute comunitaria, dell’educazione, della casa, della terra, del lavoro, dell’alimentazione, del commercio, dell’informazione, della cultura e dei trasporti locali.

Per quanto riguarda le Giunte di Buon Governo, il loro compito sarebbe stato quello di presentare relazioni, progetti di lavoro necessari alle comunità, come ad esempio gruppi di allevamento o la formazione in agro-ecologia; tra le loro responsabilità c’era anche quella di dotare i centri sanitari della zona di dispositivi necessari, come gli ecografi. Ognuna delle persone che componevano le Giunte, eletti nelle loro comunità per un periodo di tre anni e senza essere retribuiti, erano responsabili di un’area di lavoro, ma le decisioni, cioè il lavoro di governo, erano prese collettivamente. Pertanto, sebbene una persona coordinasse la sanità e altre le attività educative, quando si doveva prendere una decisione riguardo tali questioni, era presa dall’intera Giunta.

A partire dal 9 agosto 2003, il sistema di governo autonomo zapatista è stato organizzato su tre livelli:

1. In ogni zona le Giunte di Buon Governo, responsabili degli altri livelli di governo, anche se la massima autorità rimanevano le comunità.

2. Nella regione, le autorità del Municipio Autonomo.

3. In ogni comunità le proprie autorità dirette, agenti, commissari e commissarie autonome che costituivano la base dell’autonomia da cui si esercita il comandare obbedendo.

Nei territori zapatisti si commemora costantemente il ricordo dei compagni e delle compagne cadute o assassinate. Foto: Collettivo Calendario Zapatista (Gr)

Secondo cambio dell’Autonomia

Dopo un periodo di silenzio successivo alla Gira zapatista in Europa del 2021, durato poco più di un anno e interrotto appena da qualche comunicato congiunto con il Congresso Nazionale Indigeno, nell’ottobre 2023 sono stati rilasciati una serie di comunicati che culminano con l’annuncio di importanti cambiamenti nell’organizzazione del sistema autonomo zapatista: la scomparsa dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo, come risultato di una lunga e profonda analisi realizzata all’interno delle comunità zapatiste a partire dalle conquiste e dai fallimenti di 30 anni di autonomia, con un occhio a cosa è stato fatto e uno su cosa si poteva fare, ma non è stato realizzato. Insomma, un bilancio di cosa andava bene e cosa no.

Nella loro analisi hanno notato che c’erano molte cose buone che gli hanno permesso di avanzare. È stata una grande scuola nella quale le comunità si sono formate, nella quale hanno imparato ad autogovernarsi e ad acquistare una grande esperienza; la loro istruzione e salute sono cresciute come mai prima d’ora, e grazie a questo anche loro sono cresciuti.

Ma hanno visto anche alcune cose che non erano andate affatto bene; hanno osservato che alcuni Municipi Autonomi e Giunte di Buon Governo si stavano allontanando dalle comunità, in modo tale che queste non partecipavano adeguatamente, non facevano proposte e si limitavano ad aspettare che lo facessero le Giunte e, se le autorità non avevano molta iniziativa, tutto rimaneva fermo. In diverse occasioni la comunicazione dalle comunità verso i Municipi e le Giunte, e da lì nuovamente alle comunità, non ha funzionato bene ed è capitato che si sia persa la proposta iniziale poiché non è stata trasmessa integralmente.

La loro riflessione li ha portati a considerare che stavano costruendo una piramide di potere uguale a quella costruita dal capitalismo, certamente con grandi differenze e migliorie, ma dopotutto una piramide con diversi piani su ciascuno dei quali si trovavano i rappresentanti del popolo, che a volte prendevano decisioni per se stessi allontanandosi dalle comunità. Insomma, stavano copiando ciò che esiste ed era proprio quella struttura piramidale che, di per sé, impedisce una maggiore partecipazione.

La conclusione è stata che ciò che fa il capitalismo non serve e bisogna trovare altre formule affinché ognuna e ognuno partecipi davvero al proprio governo.

Un altro modo di lavorare, un altro modo di cercare, un altro modo di costruire

Alla fine del 2023 gli zapatisti hanno annunciato che stavano iniziando un nuovo cammino che si sarebbe costruito poco a poco e che avrebbe consistito, fondamentalmente, nel ribaltare la piramide, in modo che la sua base fosse verso l’alto piuttosto che verso il basso. Ciò che è stato posto al di sopra sono le autorità locali, i commissari, gli e le agenti elette in ogni comunità, che formano il Governo Autonomo Locale (GAL), cioè la base dell’autonomia. È questo il livello da dove si possono osservare i lavori necessari, i problemi e le loro soluzioni.

Quando un lavoro o un problema coinvolge più di una comunità, i Governi Autonomi Locali si coordinano nella loro regione all’interno dei Collettivi di Governo Autonomo Zapatista (CGAZ); e se il problema è grande o interessa tutta la zona, allora vengono convocate tutte le autorità della zona che si riuniscono nell’Assemblea dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti (ACGAZ). Queste ultime due istanze non sono livelli di governo, ma piuttosto di coordinamento e, quindi, non hanno autorità proprie; le uniche autorità presenti sono quelle dei Governi Autonomi Locali.

Fino ad ora, quando si verificava un problema era la Giunta del Buon Governo che doveva pensare a cosa fare e come risolverlo; adesso trovare soluzioni spetta ai commissari, alle commissarie, agli agenti, alle agenti, ai tesorieri, alle tesoriere delle comunità, cioè il Governo Autonomo Locale, che può essere composto da quattro, otto o fino a dieci persone a seconda dei luoghi. Se succede qualcosa, se la scuola non funziona, se mancano le medicine in ambulatorio…, sono loro i primi a saperlo e quelli che sono incaricati di agire e indagare immediatamente. Se non riescono a risolvere il problema convocano l’assemblea comunitaria e davanti ad essa spiegano il problema e le loro azioni affinché sia l’assemblea a decidere.

Se l’assemblea non riesce a prendere una decisione, insieme alle sue autorità convoca le altre autorità delle altre comunità che compongono la regione, convocando i Collettivi di Governo Autonomo Zapatista, CGAZ, della regione, e se ancora non si riesce a risolvere la questione, si convoca l’Assemblea dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti della zona che si riuniranno finché non si troverà una soluzione collettiva al problema.

In questo grafico si può osservare come è stata riorganizzata l’Autonomia zapatista secondo cui si autogovernano le comunità fin dal suo annuncio nel dicembre 2023.

Qualcosa di simile accade con le proposte; qualunque persona che vive in una comunità può notare se c’è un problema o qualcosa da migliorare; ne parla dunque con l’autorità locale, si pensa, si analizza, si discutete per poi prendere una decisione. E se questa decisione può essere positiva per altre comunità, si convoca il Collettivo di Governo Autonomo Zapatista o l’Assemblea dei Collettivi di Governo Autonomo Zapatisti per presentare la proposta.

La scomparsa dei Municipi Autonomi e delle Giunte di Buon Governo non significa che abbiano rinunciato alla propria autonomia, ma al contrario: ne è un approfondimento.

In generale, questo è il nuovo cammino intrapreso dai popoli zapatisti. La scomparsa dei Municipi Autonomi e delle Giunte di Buon Governo non significa che essi abbiano rinunciato alla propria autonomia, ma al contrario: è un modo per renderla più profonda nel tentativo di aprire una nuova strada lontano dagli schemi capitalistici che, senza rendercene conto, assumiamo come “naturali”; l’analisi che hanno fatto dei loro trent’anni di autonomia ci dimostra che ci sono “sistemi” che per abitudine sono profondamente radicati nel nostro immaginario e che pensiamo si possano migliorare; ciò che hanno fatto gli uomini, le donne, i ragazzi e le ragazze delle comunità zapatiste è stato rompere questa consuetudine di lasciarci trasportare da ciò che conosciamo e immaginare orizzonti altri.

Dopotutto è quello che ci stanno mostrando da 40 e 30 anni, dalle montagne del sud-est del Messico.

AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta

A dieci anni dal massacro e “desaparición” Degli studenti di Ayotzinapa proponiamo la traduzione di questo articolo del giornalista John Gibler, autore del libro “Una storia orale dell’infamia”, che ci racconta come il governo di Andrés Manuel López Obrador, nonostante le forti promesse di costui in campagna elettorale, abbia paralizzato le indagini e tradito le famiglie dei desaparecidos . Nell’articolo viene ricostruita nel tempo la continuità nella copertura dei responsabili tra i differenti partiti di governo, come anche la complicità tra i differenti livelli di governo, forze armate di ogni ordine e grado, e criminalità organizzata negli avvenimenti della lunga “Notte di Iguala” e nel continuo insabbiamento e depistamento delle indagini nel corso di un decennio.

AMLO, Ayotzinapa e la dimensione sconosciuta

Jonn Gibler -23 settembre 2024

Link articolo originale: https://estepais.com/tendencias_y_opiniones/amlo-ayotzinapa-dimension-desconocida/

Nel 2016 la scrittrice cilena Nona Fernández ha pubblicato un libro di non-fiction intitolato La dimensione sconosciuta. Il libro prende il titolo dalla serie televisiva di fantascienza, fantasy e horror americana The Twilight Zone. L’autrice cita nell’epigrafe lo slogan della serie: “Oltre il conosciuto c’è un’altra dimensione. Voi avete appena attraversato la soglia”.

“La dimensione sconosciuta è un modo per nominare quella realtà parallela che lo Stato gestisce e nega simultaneamente.”

Fernández, bambina negli anni settanta in Cile, guardava quel programma in bianco e nero in televisione: erano gli anni della dittatura. Io guardavo lo stesso programma in bianco e nero in televisione da bambino negli anni settanta, negli Stati Uniti: erano gli anni della cosiddetta Guerra Fredda.

“Erano episodi brevi, con storie fantasiose e deliranti,” scrive nella prima parte del libro. “Un uomo aveva un orologio capace di fermare il tempo. Un altro vedeva gnomi che lo assillavano e cercavano di far cadere l’aereo su cui viaggiava. Un altro si ritrovava insieme al suo piccolo figlio di dieci anni, mentre in un tempo parallelo e molto più reale, il bambino era un soldato che moriva in guerra. Un altro parlava con la bambola assassina della sua figliastra. Un altro attraversava uno specchio passando dall’altro lato.”

Nel libro di Fernández, l’altra dimensione è una storia di terrore reale, quella di Andrés Antonio Valenzuela Morales, un soldato cileno, membro delle truppe della dittatura di Augusto Pinochet e torturatore. Nel 1984, a 28 anni, Valenzuela Morales decise di non uccidere né torturare più. Un giorno si presentò, da solo e nervoso, negli uffici della rivista Cauce cercando la giornalista Mónica González. Quando lei gli disse: “Sono io, cosa vuole?”, lui rispose: “Voglio parlarle di cose che ho fatto, scomparse di persone…”

Così inizia la storia agghiacciante che Fernández riprende, narra e chiama in causa nel suo libro. La testimonianza di un soldato torturatore della dittatura cilena ci consente di attraversare la soglia e vedere chiaramente la dimensione sconosciuta: i sequestri da parte di agenti dello Stato vestiti da civili in piena strada e nei mezzi pubblici, le case di tortura in quartieri residenziali tranquilli, i viaggi su strada fino alle lande dove le persone venivano fatte scomparire. Questo mondo di terrore coabitava, nascosto, accanto alla vita quotidiana delle famiglie che preparavano la colazione ai loro figli, che li accompagnavano a scuola in van, di qualcuno che cucinava la cena a casa, di una bambina che guardava storie di fantasia e terrore in televisione.

Nel narrare la storia del militare Andrés Antonio Valenzuela Morales, Fernández ci presenta il dietro le quinte della scomparsa forzata come pratica di Stato. La dimensione sconosciuta è un modo per nominare quella realtà parallela che lo Stato gestisce e nega simultaneamente. In Messico, lo Stato è stato particolarmente esplicito nella combinazione di gestione e negazione della propria dimensione sconosciuta. Quella brutale altra dimensione in cui, a porte chiuse, gli uffici del governo si trasformano in centri di tortura e dove coloro che vestono in giacca, cravatta e uniforme, gli incaricati di cercare i desaparecidos e di fare giustizia, sono coloro che torturano, mentono, coprono e fanno scomparire.


“Voi avete appena attraversato la soglia”

La notte del 26 al 27 settembre 2014, nella città di Iguala, Guerrero, centinaia di poliziotti municipali, statali e federali, soldati dell’esercito messicano e alcuni dipendenti dell’azienda illegale transnazionale di traffico di eroina nota come Guerreros Unidos, hanno collaborato nell’attacco a cinque autobus presi in ostaggio da studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa e un autobus —per errore— che trasportava la squadra di calcio di terza divisione di Chilpancingo, Los Avispones, oltre a diversi taxi che circolavano sulla stessa strada.

Durante le sette ore in cui sono durati gli attacchi hanno fermato tutti gli autobus, hanno sparato contro una piccola conferenza stampa tenuta dagli studenti, hanno assassinato sei persone, ferito gravemente decine e fatto scomparire 43 studenti di Ayotzinapa. I perpetratori, poliziotti, militari e civili, usavano i loro telefoni cellulari per coordinarsi tra di loro. L’esercito ha monitorato e documentato l’intera operazione in tempo reale attraverso il sistema di telecamere di sorveglianza C4, intercettazioni telefoniche illegali ai membri di Guerreros Unidos, un soldato infiltrato tra gli studenti —scomparso con loro quella notte—, elementi di intelligence militare presenti nei vari scenari di attacco e attraverso costanti pattugliamenti dei soldati del Battaglione 27 in quei luoghi.

Quella notte di settembre 2014 a Iguala, centinaia di persone hanno attraversato la soglia e sono entrate in un’altra dimensione, in una zona ufficialmente nascosta. Lì, il personale di sicurezza dello Stato a tutti i livelli ha colpito, ucciso e fatto scomparire. Poi, l’Esercito —l’allora segretario della difesa Salvador Cienfuegos, l’allora capitano del Battaglione 27 di Fanteria José Crespo e tutti gli ufficiali e soldati coinvolti— hanno mentito e nascosto la documentazione in loro possesso. La struttura amministrativa dello Stato —un sindaco, un governatore, un presidente, un segretario della difesa, un altro segretario della Marina, un procuratore, un segretario di Governo— ha mentito, torturato, coperto, inventato, nascosto e fatto scomparire.

Quella lunga notte di terrore ha dato inizio a un intero decennio di terrore. Il governo di Enrique Peña Nieto ha inventato una storia falsa —l’incenerimento dei 43 studenti all’aperto durante una sola notte di pioggia nella discarica di Cocula, una finzione autodenominata “verità storica”— per chiudere il caso e per sigillare di nuovo la porta verso l’altra dimensione.


Il tradimento

Andrés Manuel López Obrador ha detto di essere differente. Ha detto che il suo impegno era nei confronti del popolo e, come candidato alla presidenza nel 2018, si è impegnato esplicitamente con le famiglie dei 43 studenti scomparsi. Ha promesso che avrebbe trovato gli studenti, la verità su ciò che era accaduto quella notte e avrebbe punito i responsabili, indipendentemente da chi fossero.

Il suo primo intervento governativo è stato quello di istituire la Commissione per la Verità e l’Accesso alla Giustizia del Caso Ayotzinapa (COVAJ) sotto il comando dell’allora sottosegretario di Governo Alejandro Encinas. Durante il suo primo anno di governo, la Procura Generale della Repubblica ha anche istituito l’Unità Speciale per l’Investigazione e il Contenzioso del Caso Ayotzinapa (UEILCA) e ha nominato Omar Gómez Trejo, un avvocato per i diritti umani con anni di esperienza nel caso e il supporto delle famiglie, come pubblico ministero speciale.

Su richiesta delle famiglie dei 43 studenti scomparsi, López Obrador ha anche invitato il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI) a tornare nel paese per fornire assistenza tecnica all’indagine, quasi quattro anni dopo la sua elegante espulsione ad opera del governo di Peña Nieto.

Nel 2020, dunque, esistevano tre istanze distinte, con acronimi sfortunati, che stavano indagando sugli attacchi contro gli studenti, la scomparsa dei 43 e la serie di crimini commessi durante i quattro anni di torture e menzogne che sono stati necessari per costruire la “verità storica” del precedente governo. Le tre istanze hanno condiviso informazioni e svolto alcune indagini, interviste e ricerche congiunte.

“Sembrava che, per la prima volta, le istituzioni dello Stato […] sarebbero riuscite a indagare e fare chiarezza su di un crimine di Stato, un crimine contro l’umanità…”

Ci sono stati importanti progressi nelle indagini. Hanno ottenuto video dal precedente Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN) che mostravano personale del CISEN, della Procura Generale della Repubblica (PGR), della Polizia federale e della Marina mentre partecipava alla tortura dei detenuti nel 2014. Hanno ottenuto i video di un drone della Marina che documentava atti, fino ad allora sconosciuti, del governo federale nella discarica di Cocula il 27 ottobre, due giorni prima del presunto ritrovamento del luogo. Hanno ottenuto messaggi di membri di Guerreros Unidos intercettati a Chicago che documentano le relazioni tra questa azienda illegale di traffico di eroina, l’esercito, i diversi corpi di polizia e vari funzionari pubblici.

Hanno ottenuto testimonianze di diversi testimoni coinvolti nei fatti che, sebbene mescolassero verità e menzogne, hanno fornito elementi che concordavano con le altre prove del caso, ampliando la documentazione sulla partecipazione di soldati, ufficiali, poliziotti e funzionari in diversi crimini contro l’umanità. Con la testimonianza di uno dei coinvolti hanno rinvenuto due piccoli resti ossei di due studenti in un luogo diverso da quello della narrazione dei fatti del precedente governo. E hanno ottenuto, all’interno degli archivi dello stesso esercito, documenti militari che mostrano simultaneamente le azioni illecite dell’esercito, così come il tipo di documentazione che i militari hanno prodotto in tempo reale prima, durante e dopo la notte dei fatti e i lunghi anni di menzogne che hanno raccontato a riguardo.

Durante il 2021, ci sono stati importanti progressi nell’indagine. Il GIEI e la UEILCA avevano fiducia nelle possibilità di arrivare fino in fondo. Sembrava che, per la prima volta, le istituzioni dello Stato —con un supporto un’assistenza tecnica internazionale senza precedenti — sarebbero riuscite a indagare e chiarire un crimine di Stato, un crimine contro l’umanità commesso e poi coperto da un grande intreccio di poliziotti, soldati e funzionari pubblici di diverse istituzioni. Sembrava che per la prima volta un’indagine ufficiale, guidata e realizzata da un gruppo di giovani messicani fiduciosi nello Stato di diritto e nell’impegno del presidente López Obrador, sarebbe riuscita a rivelare con tutta chiarezza l’altra dimensione nascosta e terrificante dello Stato.

Ma non è stato così. Proprio quando questi progressi nelle indagini hanno iniziato a produrre prove riguardo la partecipazione dell’Esercito, della Marina e del CISEN, il governo di López Obrador ha agito per fermare i progressi, deviare l’indagine, allontanare tutti i pubblici ministeri e gli investigatori che hanno permesso di progredire, per poi, uccidere le indagini.

Un lunedì, il 15 agosto 2022, hanno fatto colazione insieme il presidente, il procuratore generale, il segretario di governo, il presidente della Corte Suprema e il sottosegretario ai diritti umani e presidente della COVAJ. A quel tavolo, si è deciso di chiudere l’ultima porta che conduceva verso l’altra dimensione in cui poliziotti, soldati e membri di un’azienda di traffico internazionale di eroina uccidono e fanno scomparire normalisti, dove poliziotti, soldati e funzionari pubblici mentono e torturano per cancellare le tracce delle scomparse, dove le istituzioni dello Stato si allineano per sostenere la menzogna.

Un mese e mezzo dopo quella colazione, l’Esercito continuava a mentire senza consegnare tutti i documenti del caso. È stato effettuato il mediatico arresto dell’ex procuratore (ora tornato a casa a Lomas), è stato pubblicato un rapporto segreto e apocrifo della COVAJ che, con screenshot falsificati, dava per chiusa la narrazione dei fatti, si è costretto le famiglie a riascoltare una narrazione falsa e orribile sul destino dei loro figli, è stato rimosso il pubblico ministero speciale a capo del caso e, poco dopo, tutto il suo team, e sono state annullati 21 ordini di arresto contro militari e altri funzionari pubblici, per poi riemetterne 18.

Nell’ottobre 2022, due dei quattro membri del GIEI si sono dimessi in segno di protesta. A luglio 2023, gli altri due hanno pubblicato un sesto rapporto e sono andati via dal paese denunciando le intromissioni politiche nel caso, le menzogne dell’Esercito e l’impossibilità di continuare a indagare. La UEILCA è stata messa nelle mani di un uomo di tabasco, amico del presidente, senza esperienza in casi di scomparizione forzata né diritti umani, che si è dedicato a convocare corsi di danza negli uffici della procura. La COVAJ è rimasta nell’oblio, delegittimata. Dalle sue conferenze stampa mattutine, il presidente ha sostenuto le menzogne dell’esercito e insultato il GIEI, l’ex pubblico ministero speciale e gli avvocati delle famiglie dei 43 studenti scomparsi.

Il 27 agosto 2024, nove anni e undici mesi dopo quella mattina infame in cui i loro figli non tornarono da Iguala, la maggior parte dei padri e delle madri dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa si sono alzati dal tavolo e hanno dato per terminata la loro relazione con il governo di Andrés Manuel López Obrador. La soglia, ancora una volta, si è chiusa.

Un modo per capire l’ardore con cui adesso due governi suppostamente agli antipodi hanno mentito e continuano a mentire in ogni occasione possibile riguardo i fatti che hanno portato alla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa è che quella notte si è aperto il portale che conduce all’altra dimensione ed è lì che si è rivelato il volto nascosto dello Stato.

Passare alla storia

Una cosa sarebbe tentare di risolvere il caso e fallire: sottovalutare il potere dell’omertà di chi protegge le relazioni tra le forze di sicurezza, la procura di giustizia e il traffico internazionale di sostanze illecite. Una cosa sarebbe non dedicare le risorse necessarie all’indagine, non dare il giusto supporto agli investigatori, non rendersi conto della complessità del caso, né il grado di complicità di persone ancora attive in istituzioni vicine all’attuale governo. Una cosa sarebbe fallire.

Ma non è quello che è successo. Con il caso Ayotzinapa, il governo di Andrés Manuel López Obrador ha fatto qualcosa di molto diverso: ha cospirato, falsificato e mentito per fermare l’indagine. Ha fatto lo stesso con la Commissione Nazionale di Ricerca. Ha fatto lo stesso con la Commissione per l’Accesso alla Verità, il Chiarimento Storico e l’Incentivazione alla Giustizia delle Gravi Violazioni dei Diritti Umani Commesse dal 1965 al 1990.

Il soldato cileno, Andrés Antonio Valenzuela Morales, per lo meno ha mantenuto la sua parola: ha raccontato ciò che sapeva e così ha spalancato la porta che conduceva alla dimensione sconosciuta della dittatura cilena. In Messico è come se López Obrador avesse detto: “sì, esiste una dimensione sconosciuta e dallo Stato la renderemo nota”, per poi richiudere la porta in faccia a tutta la nazione.

“Passerà alla storia come il presidente che ha tradito la sua parola, ha tradito le famiglie dei desaparecidos, ha militarizzato il paese…”

Nei suoi discorsi all’Hotel Hilton e poi allo Zócalo il 1° luglio 2018, dopo la sua vittoria elettorale, López Obrador ha detto in diversi momenti: “Voglio passare alla storia come un buon presidente del Messico”. E in quelle parole credo sia stato onesto. Ma no. Passerà alla storia come il presidente che ha tradito la sua parola, ha tradito le famiglie dei desaparecidos, ha militarizzato il paese, ha consolidato il potere del suo partito e, come tutti i suoi predecessori del PRI e del PAN, ha salvaguardato soprattutto la dimensione sconosciuta dello Stato messicano.

Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]

Di seguito riportiamo la traduzione di  Acento, ideas para el combate  un bollettino mensile di Tejiendo Organización Revolucionaria (TOR) dove ci presentano “un mosaico di fonti e riferimenti per affrontare i problemi del nostro tempo da una prospettiva rivoluzionaria. Di fronte al rumore dei media e alla velocità travolgente dei social network, proponiamo di fare una pausa e di porre l’accento sulla costruzione di teoria per la lotta per la vita e contro il capitalismo”. In Quest’occasione abbiamo deciso di tradurre e pubblicare il numero di Giugno 2024 in quanto risorsa preziosa e ricca di spunti per approfondire la questione del crimine organizzato, della militarizzazione del territorio e delle conseguenze che hanno sulla popolazione locale. Continua la lettura di Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico [Accento, Giugno 2024]

17 anni da quella notte: con Renato nel cuore

17 anni da quella notte dove, nostro malgrado, sei diventato stella. Nella confusione e nel dolore immenso non ci siamo persi e perse. Abbiamo potuto scorgerti nel buio e – come partigiane e partigiani  maldestramente abbiamo attraversato a modo nostro i tempi oscuri di questo inizio di millennio. Dicevamo di essere antifasciste antifascisti e ci hanno risposto che il fascismo e la sua bieca pratica di morte erano sepolti. Oggi sono 17 anni, e dove siamo?
 Dalla tua Montagnola, dal 2006 ,ti abbiamo portato altrove e ti portiamo sempre ovunque. 
Tra le braci ardenti del dolore e la rabbia del tuo omicidio, Rena’, abbiamo trovato le ragioni per quello che oggi continuiamo a essere, una comunità ribelle che non dimentica. Una parte di questa comunità è la nostra, quella di un piccolo grande collettivo internazionalista chiamato Nodo Solidale. 
Abbiamo attraversato gli oceani per annianche con te. Col tuo sorriso, i tuoi occhi vivi, l’esperienza vissuta insieme. Con la tua musica di fondo in ogni rivolta grande o piccola, con la rabbia sacrosanta contro i prepotenti, con lidea di condividere in cento lingue pane, fuoco e amore per la vita.
 
 Ci facciamo cammino nella selva fitta, circondati dal verde intenso, mentre nell’aria il fumo del comal si spande e l’odore del mais cotto si mischia con quello della polvere da sparo, impregnati entrambi dell’umidità intensa del sottobosco. Vita e morte vanno a braccetto in Chiapascome noi, Renato: un giorno ci godiamo la bellezza mozzafiato delle montagne boscose e l’altro piangiamo rabbiosamente fra le valli macchiate di sangue dalla ferocia narco-paramilitare. Mano per mano e ci siamo immerse ed immersinell’autonomia della democrazia radicale zapatista. Trent’anni di autogestione. Quandod’improvvisolo sconforto della sconfitta penetra nei nostri pensieri, ci ricordiamo questo: trent’anni di autogestione e autogoverno, certamente non perfetti, ma umani e reali. Centinaia di migliaia di indigen3 e contadin3, orgogliosamente liber* dalla servitù del latifondo.          Guardandoci negli occhi con dignità ci ripetiamo: “trenta años y aquí nadie se rinde”. 
Occhi a mandorla, neri come il caffè, eppure Renato, nei loro occhi il tuo azzurro, i nostri sogni comuni. Il mondo migliore esiste, ha un prezzo altissimo, però esiste.
Un mondo migliore che deve farsi strada in mezzo all’ecatombe di una guerra per lo più ignorata: ogni giorno in Messico vengono assassinate quasi 100 persone, 11 delle quali donne, inghiottit3 dalla voragine della cosidetta “guerra narco”. Stiamo parlando di 350,000 omicidi negli ultimi sedici anni e, orrore nell’orrore, stiamo adesso cercando 112,000 persone scomparse, “desaparecides” le chiamano, vittime senza neanche il malinconico sollievo della certezza della morte. 
Dire che questa è la guerra della droga è spoliticizzarla, è voler nascondere il saccheggio e lo sfruttamento delle grandi imprese che si arricchiscono smodadamente grazie al lavoro sporchissimo e infame delle bande narco-paramilitari che, in primis, spezzano le reni alle organizzazioni indipendenti che queste imprese fronteggiano. Decine di compagne e amici sono stati falciat3 come te, Renato. Quando ti nominiamo, con una fitta al cuore, nominiamo anche loro: Bety Cariño, Samir Flores, Juan Vasquez, Jaime López, el Kuy Kendall e el Tío, Alejandro di Xanica e i giovanissimi del Codedi, Michele Colosio, Álvaro Ramírez e troppi, troppe altre…
 
Ti ritroviamo in Palestina, Renato. A Betlemme il tuo volto si affaccia in vari angoli di strada, dipinto da tanti mani diverse e fissa con rabbia il muro infame dell’Apartheid, schiva ancora le pallottole di ogni incursione dell’esercito sionista nei campi rifugiati, nido di vespe ribelli e mai sottomesse dal terrore di Stato di Israele. Sei lì con noi, fra gli slogan antifascisti, sotto il sole accecante, l’odore del knafè nei vicoli e i lacrimogeni che rotolano tra i piedi durante la milionesima manifestazione per la vita, per il diritto a respirare e a raccogliere olive, il diritto a sedersi in circolo sulle millenarie colline di Palestina per condividere il pane manakish, il diritto a pescare, a sposarsi, nascere e morire dove una o uno vuole e non in uno dei 300 check-points che frammentano lo spazio vitale delle persone nate per caso dalla parte sbagliata del Muro, i palestinesi e le palestinesi. 
 
Poi guardiamo insieme dall’alto della catena montuosa di Zagròs il destino dell’umanità. Una vastità di altissimi picchi e burroni vertiginosi, come una metafora della tragica storia degli uomini e delle donne. Dal cielo ancora cadono le bombe, squarci nelle valli e nelle pianure desertiche scorgiamo ogni maledetto giorno colonne di fumo, villaggi distrutti, eserciti schierati nell’interminabile terza guerra mondiale che si combatte tra la Siria, la Turchia, l’Irak e l’Iran, ovvero in Kurdistan. Siamo lì con te, Renato, a darci forza nelle preghiere  mentre ci schiaccia l’angoscia di tanto orrore, ma soprattutto siamo lì con te, Renato, ballando tutt3 insieme a braccetto la danza del Dilan, saltando all’unisono per celebrare il fiore dell’autonomia di Rojava, i cui petali da undici anni profumano di speranza in mezzo un deserto di fascismi feroci. Undicimila giovani come te, Renato, hanno dato la vita per questo scorcio di futuro possibile in terra. La maggioranza di loro uomini e donne curde, ma anche fratelli e sorelle di tutto il mondo, parte di questa famiglia immensa e indomita, senza passaporto, che da secoli fronteggia la sopraffazione dei ricchi sulla vita di tutte e tutti.
 
Infine, Renato caro, ti portiamo nel cuore e a spasso fra le vie piene di immondizia dei nostri quartieri. Nel vortice di edifici e di muri graffitati, nella città a te tanto cara e in altre così drammaticamente simili, giriamo vigilando che le lame e le spranghe fasciste non incontrino spazio sufficente per colpire, tra gli applausi di una fetta di società sempre più cieca d’odio e ragioni. Armat3 di musica, libri, spray, secchi e manifesti, cerchiamo di continuare a colorare come te, come mille altri prima e mille altrdopo di noi, la tristezza grigia della vita imposta dalla schiavitù salariale e dall’etero-normatività patriarcale. 
A volte facciamo qualche cazzata, a volte non sappiamo come reagire in massa e con rabbia come vorremmo, a volte piangiamo e poi riniziamo, 
                                       in ogni momento, 
in ogni luogo,
in ogni tempo dove si respira resistenza, 
tu sei con noi, Renato bello.
 
Con tanta rabbia e infinito amore, il collettivo Nodo Solidale
Presentazione di “Autodifesa Medica – Pantere Nere e Ezln”
Renoize 02.09.2023

Autodifesa Medica: Pantere Nere e Ezln – Introduzione

Di seguito riportiamo l’introduzione al volume italiano “Autodifesa Medica – Pantere Nere e Ezln”, traduzione a cura del Nodo solidale del volume “Autodefensa Medica – Panteras Negras y Zapatistas” di Zineditorial recentemente pubblicata nella collana Quaderni della Complicità Globale in collaborazione con Elementi Kairos.

A Jaime Alberto Montejo Bohórquez (1964-2020), compagno della Brigada Callejera che ci ispira ogni giorno a lottare per la salute dellə oppressə

Introduzione 

Ancora dentro la pandemia COVID-19 ed a oltre un anno dalla Gira por la Vida[1] intrapresa dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e dal Congresso Nazionale Indigeno (CNI) attraverso i paesi europei, ci siamo imbattutə in Autodefensa Medica: Panteras Negras y Zapatistas e ci è sembrato appropriato tradurlo. Per contribuire con umiltà ai complessi dibattiti sulla salute e sulla cura al tempo dei lockdowns e del green pass, in una fase di crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dell’assalto dei privati alla sanità, per porre domande e non ricette pronte.

La pandemia che ci ha travoltə dall’inizio del 2020 non è ancora finita e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima a scuotere la comunità internazionale. Il caso del Monkey pox (vaiolo delle scimmie) ne è un esempio, ma soprattutto, nulla è stato fatto per rallentare l’espropriazione e la devastazione ambientale che avanzano rapidi e mettono ogni giorno sotto stress gli ecosistemi negli angoli più remoti del pianeta. In Italia la pandemia ha incontrato un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) allo stremo il cui spirito universalistico, conquistato grazie alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori negli anni ’70, è stato sempre più messo in discussione ed al margine dall’avanzata del paradigma neoliberista. Tre sono i dati che ci danno la radiografia dello stato di salute del SSN: 37 miliardi di euro tagliati in meno di 10 anni, la frammentazione di un sistema nazionale in 20 piccoli sistemi regionali, con la conseguente stratificazione in apparati sanitari di serie A e di serie B, l’aziendalizzazione della sanità. La parità di bilancio è diventata quindi più importante della salute delle persone. Questo è il modello che ci è stato imposto.

Nel nome dell’austerità e del debito pubblico, negli anni passati, siamo statə testimoni di una lenta distruzione della sanità pubblica; oggi, al contrario, per uscire dalla pandemia si ricorre agli investimenti del Piano Nazione Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma quale direzione stiamo prendendo? Per ora non percepiamo un cambio di parole d’ordine, nessuna iniziativa che provi a ribaltare il paradigma che vuole la sanità come un campo di profitto, in una Salute come bene comune. Speriamo di sbagliarci.

Ma come si potrà uscire da una sanità come complesso industriale biomedico e delle assicurazioni? Come allontanarsi da una sanità intesa come industria della salute e fonte di profitto per privati e assicurazioni?

Cosa vuol dire prendersi cura della propria salute? Che ruolo ha la salute nella nostra società? È possibile immaginare insieme una salute che rompa i vizi secolari di una medicina pensata da maschi bianchi per maschi bianchi? Ripensare una scienza nata come biopotere estirpato dalla capacità di cura comunitaria e personale, così come dai corpi delle donne? Combattere il suo essere strumento di normalizzazione sociale e dominio coloniale? Si può rompere la catena che inserisce la medicina in un campo di creazione di profitto, all’interno di un sistema di sfruttamento e sovrapproduzione? Sarà possibile re-immaginare la figura medica, non come parte della classe dominante, ma come una figura alleata delle classi oppresse nella lotta contro le disuguaglianze sociali, incidendo nei determinanti di salute?[2] Una figura che incarni un sapere condivisibile e a disposizione della collettività e non una figura di potere che agisce per interessi egoistici e di casta?

Alcune domande ce le poniamo da anni, altre ce le ha fatte sorgere l’esperienza vissuta con il COVID-19. Questioni a cui sarà fondamentale rispondere collettivamente.

La pandemia è piombata sulle nostre vite come un macigno inaspettato, un virus diffusosi rapidamente in tutto il mondo e un’epidemia che abbiamo imparato a interpretare piuttosto come una sindemia[3]. Una malattia estremamente influenzata dai contesti socio-ambientali in cui si diffonde, che acuisce le diseguaglianze sociali ed economiche e colpisce in maniera più aggressiva dove si vive lavorando più del dovuto, in condizioni igienico-sanitarie malsane, in case piccole e sovraffollate, in quartieri inquinatissimi. Il COVID-19 non è stata una semplice malattia dell’essere umano, ma una malattia dell’ecosfera[4] perché nasce in un mondo dove la deforestazione, la cementificazione, l’industrializzazione selvaggia e gli allevamenti intensivi invadono gli ecosistemi naturali. Questa devastazione ambientale obbliga gli animali selvatici alla vicinanza con l’umano, così come i loro batteri e virus, favorendo la possibilità dello spillover (salto di specie). Inoltre le infinite e rapide connessioni internazionali ne consentono una diffusione globale.

Mentre leggevamo e studiavamo, provavamo a discuterne, ma il dialogo era problematico, non fluiva per la complessità del tema e la difficoltà ad affrontare le insidie della vita ai tempi della pandemia covid-19. Non siamo riuscitə ad avere idee chiare e condivise sull’utilità delle misure sanitarie imposte dai governi, su quali fossero le più importanti, su quanto ci si dovesse affidare solo al lockdown e al vaccino e quanto bisognasse invece lavorare su un approccio più sistemico alla questione. In Italia la discussione è stata violenta, così tanto polarizzata su fazioni opposte da non mostrarci la possibilità di  individuare soluzioni collettive e condivise. Sicuramente ci è parso lampante come la gestione della salute collettiva e la medicina possano essere armi di un potere enorme in mano agli Stati e di quanto questo sia in grado di entrare nelle nostre vite.

Lo scrivere questa introduzione ci ha preso molto tempo, proprio per la capacità di questo libro di mettere al centro quello che durante la pandemia in Italia era difficile discutere: il ruolo della salute nella costruzione di una società. Forse per noi discutere su questi temi risultava faticoso perché l’autonomia la vediamo troppo lontana e non siamo abituatə a viverla, quindi sognare insieme e mettere in campo soluzioni altre.

Ci è sembrato importante tradurre questo libro perché ci fa vedere di come la salute sia un campo di lotta, di come può essere uno strumento fondamentale all’interno di una cornice trasformatrice del presente, soprattutto di due organizzazioni politiche che rispettiamo per la loro traiettoria, le Pantere Nere e l’EZLN. Non per avere idee chiare su questi problemi, ma per desiderare di poter ribaltare tutto e riscriverlo da capo, dal basso e da sinistra. Solo sognando possiamo immaginare una società fatta di cura reciproca, dove la salute non sia una merce, ma un diritto di tuttə.  Solo costruendo organizzazione possiamo sognare insieme.

E leggere come le Pantere Nere sul tema della salute abbiano costruito un importante pilastro di emancipazione, significa aprirsi ad uno straordinario e storico esempio di organizzazione e di lotta. In che modo abbiano cercato e trovato forme di prevenzione e cura per problemi concreti che allo Stato non interessavano perché considerati problemi “solo dei neri”. Come abbiano saputo tradurre il proprio pensiero e la propria azione in organizzazione sociale dal basso, coniugando salute, denuncia e presa in carico delle proprie condizioni materiali. La clinica del popolo “Frank Lynch”, le Pantere Nere l’hanno costruita sulla terra su cui avrebbero dovuto edificare una super autostrada che avrebbe isolato e diviso il quartiere.

Le cliniche zapatiste sono nate prima dell’insurrezione armata, esempio di come la cura e la sua difesa fossero centrali per la riappropriazione delle proprie vite sottratte da 500 anni di colonialismo e di razzismo. Recuperare saperi ancestrali, appropriarsi dei saperi della medicina occidentale, integrarli, prevenire le malattie, riprendersi le terre rubate da Stato e latifondisti. Solo in questo modo potevano lottare per la vita. Perché se la lotta è per la vita, non può che essere una lotta per la salute. Ad oggi gli zapatisti e le zapatiste hanno costruito un sistema autonomo di cura che si avvale di sale operatorie, ambulanze per le emergenze, case di salute sparse nelle comunità, campagne di prevenzione e vaccinazione, laboratori di analisi. Inoltre un sistema di formazione, approfondendo temi come la salute pubblica, primo soccorso, fitoterapia e medicina ancestrale, educano promotorə di salute che si prendono cura della comunità.

Ma cosa possono insegnarci queste esperienze nel nostro contesto? Si deve costruire una sanità dal basso o si deve riconquistare il diritto gratuito alle cure? La strada da percorrere è autonoma ed indipendente dal Servizio Sanitario Nazionale oppure è fatta di vertenze e battaglie “interne”? Queste sono due posizioni in contraddizione o possono essere sviluppate in sinergia? Domande aperte che sta a tuttə noi rispondere collettivamente.

Infine,a scrivere questo libro è un  collettivo autonomo messicano critico del governo di Lopez Obrador, che dietro la maschera di governo di “sinistra” riesce a portare a compimento i piani di un’economia neoliberista.  Un collettivo non composto da professionistə della salute. Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.

Crediamo che solo attraverso percorsi simili si possa rispondere alle domande che ci ronzano per la testa, che il presente ci impone e che abbiamo voluto riportare in queste righe, nella speranza che la diffusione di questo libro ci aiuti a formulare risposte e a praticare nuove soluzioni.

Nodo Solidale

[1] Carovana dell’EZLN e del CNI che ha invaso l’Europa dal 11/06/2021 al 06/12/21 per condividere con i movimenti sociali europei le lotte e le forme di organizzazione e di resistenza contro il capitalismo estrattivista.
[2] Le analisi alla base di questi concetti e questi interrogativi sono esposte in importanti scritti come: Calibano e la strega di Silvia Federici, Nemesi Medica di Ivan Illich, Storia della follia in età classica di Michel Foucault.
[3] Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet. 2020
[4] Ernesto Burgio su Radio Onda Rossa

Per Saperne di più: link la traduzione di un Articolo di Raul Zibechi sull’edizione Messicana dal blog del collettivo internazionalista Carlos Fonseca.

Salute ribelle e movimenti anticapitalisti

 

 

Chiapas è Messico. STOP alla guerra ai popoli e alle comunità zapatiste

Il Chiapas è Messico e in Chiapas si concentrano oggi molte delle forme di violenza che affliggono tutto il Messico. La guerra imposta al nostro Paese dagli Stati Uniti, e che Felipe Calderón si è assunto il compito di interiorizzare, raggiunge ormai l’intero territorio nazionale. Il confine si è spostato a sud-est e con esso la guerra, una guerra che l’attuale amministrazione non ha fermato: 153 [1] mila 941 omicidi intenzionali, 42 [2] mila 935 persone scomparse e non ritrovate, 69 [3] giornalist* e 94 [4] attivist* in difesa della terra e del territorio, dei popoli indigeni e dell’ambiente assassinat* nel continuo processo di ricolonizzazione militarizzata e criminale all’interno dei sei anni di mandato del governo attuale.

Il Chiapas è il Messico, e come il resto del Paese, il Chiapas sta vivendo tempi di estorsioni, sparatorie, sfollamenti forzati, tratta di donne e migranti, narcotraffico, sequestri, omicidi di difensori del territorio, giornalisti, femicidi….

I fatti sono innegabili: a Chicomuselo, i paramilitari stanno tormentando la popolazione, causando sfollamenti forzati, affinché smetta di opporsi e permettere così la riapertura di una miniera di barite. Anche a Comalapa le dispute territoriali tra gruppi della criminalità organizzata stanno causando lo sfollamento forzato di migliaia di persone. Molto vicino a Tuxtla Gutiérrez, un autobus che trasportava illegalmente migranti si è ribaltato, uccidendo almeno 56 persone e ferendone altre 70. A Pantelhó, persone armate assassinano Simón Pedro, difensore dei diritti dei popoli indigeni e membro dell’organizzazione della società civile Las Abejas de Acteal. A Santa Martha, comune di Chenalhó, uomini armati attaccano famiglie vittime di sfollamento forzato e uccidono sette persone Tzotzil. A San Cristóbal de las Casas, gruppi armati si aggirano per la città, mostrando la loro capacità di mobilitazione e potenza di fuoco… L’elenco potrebbe continuare a lungo, poiché ogni giorno si verificano nuovi atti di violenza nello Stato del Chiapas.

Gruppi del crimine organizzato, narco-paramilitari e paramilitari operano nella più totale impunità in tutto il Chiapas. In risposta, il governo federale ha inviato l’esercito e la Guardia Nazionale in uno Stato che vede già una forte presenza militare dal 1994. Questa rimilitarizzazione non ha portato a una riduzione della violenza e delle attività illegali; al contrario, i gruppi del crimine organizzato hanno diversificato le loro attività economiche e hanno intensificato gli attacchi contro villaggi e comunità locali.

In questo contesto, i gruppi paramilitari e i gruppi di stampo paramilitare che operano impunemente in Chiapas da tre decenni hanno intensificato le loro azioni di guerra contro i popoli zapatisti. L’Organizzazione regionale dei coltivatori di caffè di Ocosingo (ORCAO), che almeno dal 2000 opera al servizio di diversi governi, partiti politici e gruppi di potere della regione, ha compiuto tra il 2019 e il 2023 più di 100 attacchi contro comunità zapatiste appartenenti al Caracol 10, Floreciendo la Semilla Rebelde, con sede a Patria Nueva, Junta de Buen Gobierno Nuevo Amanecer en Resistencia e Rebeldía por la Vida y la Humanidad. Gli attacchi, le aggressioni e le provocazioni sono costanti e si sono intensificati dal 2019. Le autorità zapatiste, le organizzazioni per i diritti umani e almeno tre missioni di osservazione civile hanno documentato e reso noto tutto ciò in rapporti pubblici e conferenze stampa. Condividiamo in allegato a questa dichiarazione un resoconto dettagliato di alcuni di questi attacchi.

Nell’ambito del sostegno nazionale e internazionale all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e al Congresso Nazionale Indigeno, l’8 giugno 2023, in Messico e nel mondo, abbiamo realizzato 72 azioni (36 nazionali e 36 internazionali) per rendere visibili queste denunce e per chiedere la fine della guerra contro i popoli zapatisti e la fine della guerra in Chiapas. Queste azioni di solidarietà hanno continuato a svolgersi in diversi Stati e Paesi. Le risposte sono arrivate poche settimane dopo: dal 19 al 22 giugno 2023, membri dell’ORCAO hanno compiuto nuovi attacchi coordinati contro tre comunità zapatiste: Emiliano Zapata, San Isidro e Moisés y Gandhi, che fanno parte della Regione Moisés y Gandhi e si trovano nel comune ufficiale di Ocosingo, in Chiapas. Gli attacchi andavano dall’incendio di appezzamenti di terreno agli attacchi armati. Queste aggressioni sono durate, in questa occasione, tre giorni dove sono stati sparati almeno 800 colpi di diverso calibro, oltre all’incendio di appezzamenti di terreno nelle vicinanze delle case di famiglie zapatiste.

Il 23 giugno, nella sua conferenza mattutina dal Chiapas, il capo dell’Esecutivo federale, accompagnato dal Segretario degli Interni, dal Segretario della Difesa Nazionale e dal governatore locale, ha minimizzato tanto il grave contesto che si sta vivendo in Chiapas quanto gli attacchi ampiamente documentati contro le comunità zapatiste. Inoltre, ha continuato con le denigrazioni contro le organizzazioni e le persone che difendono il territorio, i diritti umani e le organizzazioni che documentano e denunciano queste e altre forme di violenza.

Queste risposte, sia da parte dell’ORCAO che del presidente messicano, ci preoccupano e ci allarmano: l’ORCAO continua ad aumentare le sue operazioni armate, mentre il presidente messicano copre, con i suoi discorsi, gravi atti di violenza che sono chiaramente in crescita. La negazione, la minimizzazione e il travisamento di questa realtà comprovata diventano una cappa di impunità che protegge i gruppi paramilitari. Peggio ancora, il presidente del Messico ha ripreso il discorso dei suoi predecessori quando questi hanno sottolineato che questi conflitti erano tra gruppi locali o “tra comunità”, eludendo così ogni responsabilità dello Stato ed emulando Felipe Calderón nel suo offensivo «si uccidono tra di loro».

Questo panorama ci porta come individui, popoli e comunità organizzate, in Messico e in altre parti del mondo, a raddoppiare gli sforzi per fermare la guerra contro le comunità zapatiste e in Chiapas. Oggi ratifichiamo che l’attuale governo non solo non ascolta, ma continua a permettere e sostenere una strategia di guerra controinsurrezionale e criminale. Per queste ragioni, chiediamo di:

 Denunciare la guerra contro i popoli zapatisti, e in Chiapas in generale,  sottolineando la responsabilità del governo statale e federale. 

  1. Realizzare campagne di informazione e azioni di solidarietà in tutto il paese e in altri paesi per informare su questa guerra contro i popoli e le comunità zapatiste e sulla guerra in Chiapas.
     
  2. Realizzare campagne di informazione e azioni di solidarietà in tutto il paese e in altri paesi per informare su questa guerra contro i popoli e le comunità zapatiste e sulla guerra in Chiapas.
  3. Da questo spazio di coordinamento nazionale, indiciamo dell giornate d’azione globale: “Stop alla guerra contro i popoli zapatisti. Dall’orrore della guerra alla resistenza per la vita”, il 13, 14, 15 e 16 luglio, con l’obiettivo di informare la società sulla situazione della guerra contro i popoli zapatisti e in Chiapas. Questa giornata comprenderà:
  1. Volantinaggi e distribuzione di materiali informativi
  2. Banchetti informativi 
  3. Eventi artistici
  4. Mobilitazioni

Inoltre, tra il 24 e il 28 luglio terremo un forum nazionale che si articolerà lungo tre assi: violenza, giustizia e pace. Condividiamo anche che ci si sta preparando a svolgere un lavoro di osservazione e accompagnamento in territorio zapatista appena le condizioni lo permetteranno.

Chiamiamo a dispiegare tutta la solidarietà possibile con i popoli zapatisti, di non cadere nell’indifferenza e nell’evasione individualista di fronte agli attacchi che i popoli e le comunità di quello Stato stanno vivendo quotidianamente. Il Chiapas è Messico, e oggi il Messico e il mondo devono guardare e agire contro la guerra e a favore della pace, con giustizia e dignità.   

Espacio de Coordinación Nacional
 Alto a la guerra contra los pueblos zapatistas

Sabato 8 luglio 2023 alle ore 18 ci troveremo presso l’occupazione di Via del Porto Fluviale 18, Roma per parlare dell’attuale situazione di guerra in atto in Messico: di seguito il link all’evento Facebook:
Chiapas sull’orlo della Guerra civile – Iniziativa benefit

Di seguito invece trovare l’audio della trasmissione di Giovedì 6 luglio su Radio Onda Rossa con aggiornamenti sulla situazione  nel paese.

http://www.ondarossa.info/redazionali/2023/07/guerra-corso-messico

Carovana e incontro internazionale “El Sur Resiste” – 24 aprile-7 maggio 2023

Dal 25 aprile al 5 maggio del 2023 si è svolta una carovana nel Sud-est Messicano lungo la rotta del Corridoio Interoceanico e del Tren Maya, progetti infrastrutturali di riorganizzazione territoriale volti al saccheggio e alla valorizzazione capitalista delle risorse del paese. 
La carovana composta da una variegata delegazione nazionale e internazionale, tra cui alcun* rappresentati del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo (praticamente le assemblee nazionali indigene alleate dell’EZLN), ha incontrato differenti comunità in lotta, veicolando la propria complicità e solidarietà e ricordando ovunque che non si è soli in questa lotta per la vita e che oggi più che mai è necessario articolare reti di resistenza tra chi ogni giorno costruisce alternative reali al sistema di sfruttamento capitalista e patriarcale in ogni angolo di mondo

Continua la lettura di Carovana e incontro internazionale “El Sur Resiste” – 24 aprile-7 maggio 2023

Brigata di salute solidale in carcere. Un racconto.

GRAZIE A TUTTX

Grazie al vostro appoggio solidale e complice e alle reti tessute negli anni di vita e lotta qui in Chiapas, siamo finalmente riuscitx a organizzare questa Brigata solidaria di salute nell’area femminile del carcere N°5, a pochi chilometri dalla gentrificata cittadina di Sancristóbal de Las Casas.

L’obiettivo della Brigada era quello di rompere per qualche ora la gabbia della solitudine, dell’abbandono, dell’ingiustizia e promuovere umanitá e accesso alla salute per le donne, bambine e bambini privatx delle loro libertá in una delle troppe carceri di questo turistico stato del sud del Messico. (In Chiapas ci sono 17 centri penitenziari, 14 statali, uno federale, Villa Comatitlan, e due per adolescenti,Tapachula e Berriozabal, oltre a Centri di detenzione migranti come il Siglo XX a Tapachula e decine di centri minori per migranti e rifugiatx)

Ci siamo organizzatx dal basso: il progetto Casa de Salud Comunitaria Yi Bel’Ik, la colletiva Cerezas, la Brigada Callejera de Apoyo a la mujer Eliza Martinez A.C., il Nodo Solidale, lavoratori e lavoratrici ribelli della salute in Italia e tutti e tutte voi, che ci avete appoggiato, ascoltato, dato fiducia e forza. Abbiamo percorso un cammino in salita fino alla fine proprio perché indipendenti e solidali: la Direzione del carcere non ci concesso da subito il permesso di entrare, pur conoscendo la situazione di necessitá e di abbandono nel tema della salute a cui sono sottoposte le detenute. Ma alla fine grazie all’appoggio di Medicos del Mundo-Suiza siamo riusciti a vincere la burocrazia e portare a termine la nostra iniziativa.

Dal 20 al 24 marzo di questo 2023, dalle 10 alle 4 del pomeriggio siamo entratx in questo tetro carcere e crediamo umilmente di aver portato, oltre le nostre varie competenze sul tema di salute, anche qualche risata complice, lacrima condivisa, ascolto mutuo e amoroso, calore umano e molti, molti preziosi abbracci.

Nel Numero 5 sono recluse circa 61 detenute (non c’é una lista ufficiale), di cui due donne incinte (una ha partorito due giorni dopo la Brigata), due bebé e un neonato di pochi giorni. L’ etá media é compresa tra i 18 e i 28 anni.

ATTIVITÁ REALIZZATE

  • 54 visite mediche generali (con medicine per trattamenti immediati incluse)
  • 23 consulte ginecologiche
  • 30 citologie cervico uterine (con medicine per trattamenti immediati incluse)
  • 2 visite pediatriche
  • 6 visite con una psicoterapeuta
  • 25 trattamenti con un osteopata
  • 68 prove rapide di HIV e Sifilide (alle detenute ma anche a secondini e secondine)
  • 19 raggi x (con radiologo e strumentazione a domicilio nelle istallazioni del carcere)
    un donativo all’infemeria di farmaci basici, anche pediatrici

Abbiamo concludo la brigata il venerdi con un laboratorio su sessualitá e autoerotismo, un incontro ironico-pratico con giochi autoerotici e premi a cura della Brigata Callejera che é stato un successo e che speriamo di poter ripetere nei prossimi mesi.

Questi giorni di Brigata ci hanno quindi permesso di:

intervenire con una diagnosi e medicine nei casi riscontrati;
– mettere in rilievo casi cronici che hanno bisogno di terapie specifiche (diabete, disturbi della pressione, gastriti croniche ecc…);-identificare possibili urgenze mediche, come tumori al seno o alle ovaie, con bisogno urgente di studi clinici per escludere/confermare, ulcere gastriche, casi gravi di VPH, infezioni per Entamoeba histolytica e Salmonella enterica serovar paratyphi;
-isolare casi di incompatibilitá fisica (da qui la necessitá urgenti delle radiografie raccolte sul posto) o psicologica (almeno due sono i casi di trastorno psichiatrico identificati come rilevanti);
-identificare una serie di urgenze mediche che necessitano di analisi e studi clinici a medio termine

La maggior parte delle donne presenta irritazioni o funghi della pelle e, alcune, infezioni agli occhi dovute alle condizioni igeniche generali: umiditá nelle celle, acqua non sempre pulita, difficoltá nel lavare vestiti e coperte; sovraffollamento e mancata igiene dei bagni, senza acqua corrente. La stragrande maggioranza lamenta dolori di stomaco compatibili con gastrite e colite e non riceve nè l’alimentazione né la terapia adeguata. Molte e periodiche sono le infezioni da parassiti, che vengono erroneamente affrontate dalla Direzione con medicine spesso inadeguate senza il monitoraggio necessario attraverso analisi previe, o addirittura somministrando farmaci scaduti, come abbiamo avuto modo di costatare al nostro arrivo in carcere (due detenute passate a consulta generale hanno avuto un episodio di intossicazione dovuto alla ingesta di queste medicine). Siamo riuscitx a portare ad analizzare in laboratorio un campione di feci di una delle detenute ed ha rivelato ad esempio la presenza di Entamoeba histolytica e Salmonella enterica serovar paratyphi con relativo rischio di infezione per le altre donne.

Tutte hanno dolori alla schiena. Molte, troppe, a causa delle torture subite prima, durante e dopo l’arresto. Ma tutte sicuramente perchè costrette a dormire su una lastra di cemento che dovrebbe riprodurre un letto a castello nelle celle, spazi di 3 metri per tre con 6 detenute dentro. L’osteopata ha diagnosticato a tutte un appiattimento della zona dorsale come conseguenza generalizzata di questa condizione. La maggior parte soffre di insonnia o disturbi del sonno, abbiamo proposto loro una terapia naturale con valeriana e passiflora, ma evidentemente anche qui la ragione è strutturale e profonda.

Abbiamo potuto constatare con i nostri occhi lo stato dell’infermeria del carcere, gestita solo da un’infermiera e un paramedico che si turnano, e che conta con la presenza di una psicologa solo alcuni giorni della settimana. Poche medicine, assolutamente insufficienti a rispondere alle necessità della popolazione carceraria e cartelle dei pazienti disorganizzate o introvabili, come le terapie per malattie croniche… Non siamo riuscitx a trovare un defibrillatore in infermeria. Il dato più scioccante è l’assenza assoluta di un medico di base nell’infermeria, che ci è stata poi confermata dal Direttore il quale ha raccontato dell’esistenza di una convocatoria aperta e allo stesso tempo del rifiuto da parte dei medici causa le pessime condizioni di lavoro.
In totale, tra uomini e donne,sono rinchiusx nel Numero 5 circa 400 detenutx, più tutti i lavoratori e lavoratrici del anche loro soggetti a malattie e possibili traumi . Senza un medico, strumentazioni adeguate, medicine suffcienti, monitoraggio.
I trasferimenti dal carcere agli Ospedali della cittá con cui hanno convegni, o che le detenute scelgono e pagano, non avvengono in ambulanza ma su auto o mezzi privati, la maggior parte delle volte la benzina viene pagata dai detenuti e dalle detenute stesse.

Questi 5 intensi giorni ci hanno permesso quindi di avere da un lato un diagnostico delle condizioni generali di salute delle detenute, ma soprattutto di confermare lo stato generale delle condizioni carcerarie a cui sono sottoposte. Sovraffollamento, condizioni igeniche al limite, violenza sistematica, nessuna assistenza medica, abbandono e degrado delle strutture. Nella parte legale: razzismo in tutte le sue forme, assenza di traduzione in lingua indigena, tortura, difensori legali e giudici impreparati e corrotti, burocrazia e processi infiniti, falsificazione delle prove, corruzione… Queste solo alcune delle storie che ci sono state raccontate, sussurrate con dolore.

Queste donne sono accusate in maggioranza di omicidio volontario o tentato omicidio, furto aggravato, sequestro, corruzione di minori e tratta.
In realtá, nella maggior parte dei casi, sono vittime di un uomo.
Sono incarcerate per essersi difese da una violenza fisica o sessuale, per fuggire da padri violenti, per salvarsi la vita, per inganni e bugie dette da un uomo spietato, per un amore violento, cieco, tossico e tradito, per odio alla povertá, per sopravvivere, per ricatto sui figli, per paura.
Sono donne, indigene, povere, detenute e spesso madri. Non hanno scampo, se restano sole.

QUELLO CHE SEGUE

Quello che segue é un percorso da costruire, arricchito dai vincoli e dalle collaborazioni di questi giorni di lavoro insieme.
Con l’osteopata cerceremo di organizzare altre sezioni e soprattutto workshop per condividere conoscenze e pratiche di cura collettiva legata al massaggio e all’osteopatia.
Il pediatra continuerá a seguire i bambini che vivono in carcere con le loro madri.
Dalla collaborazione con Medicos del Mundo nasce l’idea di assicurare una volta al mese la presenza di una dottoressa del loro staff e almeno uno di noi promotori e promotrici per continuare il lavoro iniziato e ri-proporre i workshop di primo soccorso “Insieme ci curiamo” che per motivi di tempo non siamo riuscite a svolgere in questa brigata.
Speriamo inoltre che in alcuni casi parte dei dati e studi fatti possano aiutare e influire sui casi legali delle recluse, fino a raggiungere la libertá.
Quello che segue é sicuramente dare continuitá ai casi che hanno bisogno e urgenza di essere trattati facendo pressione sull’amministrazione carceraria ma soprattutto intervenendo laddove nulla si muova, per assicurare alle donne il loro diritto alla salute e dignitá.
Quello che segue é continuare a sognare e agire. Per un mondo finalmente libero dalle carceri.

SOLDI SPESI IN TOTALE: circa 3500 euro

Tirare il freno al treno del progresso e alla sua devastazione.

Cos’è il Tren Maya? A chi servirà? Cosa sta succedendo nella penisola dello Yucatan? Dal 3 al 6 marzo una brigata internazionalista ha attraversato questi territori e conosciuto le resistenze contro a questo megaprogetto. In questo podcast vi raccontiamo il contesto sociale, economico e politico di questo conflitto tra progresso neoliberale e resistenza contadina e indigena nello stato di Campeche. 
Ascolta il podcast:

Comunicato della Brigada Campeche

PRONUNCIAMENTO BRIGADA CAMPECHE – LEER EN ESPAÑOL
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Dal 3 al 6 marzo una brigata organizzata dai compagni e compagne del Nodo Solidale e composta da attivistx No Tav, Collettivo Zapatista di Lugano (Svizzera), Ostile Serigrafia Ribelle, S.O.A. Molino (Svizzera), Pirineo Aragonés (Spagna) ha attraversato la penisola dello Yucatan, principalmente nello stato di Campeche, incontrando comunità in lotta contro il megaprogetto del “Tren Maya”.
Durante la Gira por la Vida in Europa le compagne e i compagni zapatiste/i e il Congreso Nacional Indígena (CNI) hanno condiviso l’esistenza di una lotta contro l’ennesima grande opera inutile; l’idea di questa brigata é nata nel contesto di un’ottica internazionalista, che vada aldilá del turismo rivoluzionario. Continua la lettura di Comunicato della Brigada Campeche