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Giornate di lotta globali per Samir Flores

 

Video della giornata di lotta tratto da La Jornada

Il 20 Febbraio decorrevano 6 anni dall’assassinio di Samir Flores Soberanes.
Compagno instancabile nelle lotte territoriali ed ambientali contro la devastazione ambientale del Proyecto Integral Morelos.
Per approfondire clicca qui

Il 20 siamo stati sotto l’ambasciata messicana a Roma con il busto di Samir, mentre altri busti bloccavano la strada per cholula, venivano esposti a Parigi, a San Francisco, mentre si svolgevano azioni di protesta in moltissime città messicane.
Migliaia di Zapatisti si mobilitavano nei Caracol per ricordare Samir e per rivendicare giustizia

   

Nei link i racconti delle giornate di lotta su Radio Onda d’Urto e su Radio Onda Rossa

L’omicidio ancora è impune, ma si alza in tutto il globo un grido.
JUSTICIA PARA SAMIR FLORES SOBERANES.

Riportiamo la traduzione del comunicato del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala e Congreso Nacional Indígena.

Comunicato a 6 anni dall’assassinio di Samir Flores Soberanes, impunità e imposizioni regnano nel narcostato messicano. 

Questo 20 febbraio ricorrono 6 anni dall’assassinio del nostro fratello Samir Flores Soberanes, 6 anni dall’esplosione di un ennesimo proiettile contro la forza della ribellione e dell’autonomia. Non sono poche le pallottole vigliacche esplose e dirette contro la lotta per la vita che si solleva con dignità in migliaia di luoghi del pianeta terra, e quando una pallottola tocca un compagno come Samir, la morte diventa un seme, un esempio, memoria degna, ed è da lì che inizia a fiorire la giustizia dal basso, per il nostro compagno.

Perché di fronte alla tormenta, l’organizzazione, il fiore, il canto e la memoria saranno la nostra nave guida per ottenere giustizia collettiva per il nostro fratello Samir Flores Soberanes e la lotta per la vita. 

Quest’anno segna 13 anni di imposizioni per mettere in funzione il Progetto Integrale Morelos (PIM), 6 anni dal sanguinoso tradimento di López Obrador e della 4T nei confronti dei popoli originari del Messico e del vulcano Popocatépetl, 6 anni da quel 10 febbraio in cui Samir, insieme ai rappresentanti di decine di popoli colpiti dal PIM, hanno assistito al cambio di idea del Presidente che in campagna elettorale si era pronunciato contro il PIM e da quando è arrivato al potere lo ha sostenuto. Samir e il popolo hanno gridato a Obrador: “Acqua sì, termoelettrica no! Vita sì, gasdotto no! Esigiamo che tu mantenga la parola data e l’annullamento del PIM!”

López Obrador li ha additati in maniera furiosa: “che gridino pure, che gridino pure e che sventolino cappelli”, “radicali di sinistra, per me non sono altro che conservatori”, “ sono quelli che non votano e se lo sono già dimenticato, che invitano alla radicalità, e che non votando si comportano da conservatori”. Non sapevamo che quel giorno avrebbero lanciato il grido di battaglia, la condanna a morte del nostro compagno Samir, assassinato 10 giorni dopo. 

Il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua ha denunciato la rete di potere e le relazioni che esistono tra gli autori intellettuali e materiali dell’omicidio di Samir, dove Obrador ha lanciato dall’alto i suo grido di battaglia, affinchè il superdelegato federale Hugo Erik Flores (avvocato degli assassini di Acteal e leader del PES) lo mettesse in atto, insieme agli impegni presi dall’ex governatore di Morelos Cuauhtémoc Blanco con il Cartel Jalisco Nuova Generacion “in cambio della pacificazione”, ordinando al gruppo criminale “Los Aparicio” di giustiziare Samir. 

Hugo Erik Flores è stato l’inviato di Obrador per gestire la consultazione sul PIM a Morelos e Samir lo ha fronteggiato, smascherando le sue menzogne davanti a centinaia di persone che hanno partecipato al forum del governo federale a Jonacatepec il 19 febbraio 2019, strappando applausi al pubblico. 

Da Radio Amiltzinko, Samir informava la zona orientale di Morelos e parte di Puebla sulle conseguenze del PIM e del tradimento di Obrador, che nel 2014 aveva detto: “Non vogliamo un gasdotto a Morelos, installare una centrale termoelettrica nella terra di Zapata è come installare una discarica a Gerusalemme, cosa succede a questi, sono dei pazzi”, parole più, parole meno. La sua voce amplificata contro il PIM e la sua coerenza sono costate la vita a Samir.  

Perché Samir? Perché ha commesso il peccato più grande che il potere non può tollerare: continuare a lottare quando le condizioni sembrano perse e risalire… costruire autonomia, continuare a lottare… La costruzione del gasdotto è stata imposta ad Amilcingo nel 2014 con la forza pubblica e gli spari sulla popolazione, 5 sono stati i feriti della comunità a causa dei proiettili e decine di poliziotti sono stati feriti dalle ondate di pietre lanciate dalla comunità. La popolazione si è difesa con ogni mezzo, ma il potere del governo-capitale era troppo grande di fronte a una sola comunità e sono riusciti ad interrare il gasdotto. Ma il popolo non è rimasto fermo, né sconfitto, anzi, si è svegliato di più, ha continuato a lottare, a festeggiare e a ribellarsi, a costruire altre radio, salute comunitaria, solidarietà, il governo basato si usos y costumbres, la difesa dei propri spazi educativi e la promozione di nuovi spazi educativi, come l’ultima richiesta che Samir ha lasciato in sospeso ad Amilcingo, (oltre alla cancellazione del PIM), una scuola preparatoria per la comunità. 

La violenza, l’illegalità, il razzismo e l’arbitrarietà con cui è stato imposto il Progetto Integrale Morelos hanno raggiunto la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), per cui nei prossimi mesi i popoli del vulcano e lo Stato messicano consegneranno alla CIDH le prove e le argomentazioni sulla problematica installazione del PIM in una zona a rischio eruttivo e senza il consenso dei popoli. Chiediamo giustizia per Samir e per i popoli del vulcano Popocatépetl!

In Messico viviamo praticamente in una situazione di guerra, centinaia di comunità e città sono sottomesse a un narco-stato che sta sfollando i nostri popoli, instillando terrore e disorganizzazione. Si uccidono e si fanno scomparire i giornalisti e le persone che difendono la madre terra e i diritti umani, oltre a migliaia di sorelle e fratelli del paese vittime del crimine organizzato e dal malgoverno. Si, c’è un narco-stato, Samir ne è la prova, l’omicidio di un difensore della terra da parte del narco-stato è un favore al capitalismo gringo, europeo e transnazionale a cui il PIM porta benefici.

Claudia Sheinbaum dice che non esiste un narcogoverno in Messico, ma la rete criminale dietro l’omicidio di Samir afferma il contrario, vediamo che al comando dei munici di questo narcogoverno ci sono gruppi criminali, che i comandi intermedi (governi statali) sono plurisegnalati nelle narcomantas e sono traditi dale loro foto con i leader dei cartelli della droga, Cuauhtémoc Blanco, ex governatore di Morelos e Hugo Erik Flores, ex superdelegato federale a Morelos inviato da López Obrador, ne sono un esempio così come centinaia di politici nel Paese, deputati, deputate, senatori, a tutti i livelli di governo, nei 3 poteri del Paese, c’è il narco-stato. Sorelle e fratelli ci chiediamo: che cosa faremo? Non ci resta che rispondere organizzandoci, immaginando, creando legami, senza lasciarci.  

Esigiamo progressi nelle indagini, nel processo, nella cattura e nella punizione degli assassini materiali e intellettuali di Samir e, soprattutto, CHIEDIAMO: 

  1. Lo smantellamento e la cattura del gruppo criminale “Los Aparicio” e punizioni per la loro partecipazione all’omicidio di Samir;
  2. Indagini, azioni penali e punizioni per gli autori intellettuali dell’omicidio di Samir, come Hugo Erik Flores, Cuauhtémoc Blanco e Andrés Manuel López Obrador; 
  3. La cancellazione del Progetto Integrale Morelos. 

Noi siamo la dignità ribelle, il cuore dimenticato della terra.

Samir vive, la lotta continua! Acqua sì, termoelettrica no! Stop alla guerra alle comunità zapatiste! Stop al genocidio e allo sfollamento della Palestina! Morte al narco-stato e al malgoverno! Morte al capitalismo, viva la vita! Viva i popoli del Messico e del mondo! 

Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala – Congreso Nacional Indígena

 

Fai click qui per  i video della mobilitazione delle basi d’appoggio zapatiste in memoria di Samir Flores Soberanes

Di seguito alcune delle immagini delle differenti azioni svolte nel mondo a 6 anni dall’assassinio di Samir

       

Honduras: el Estado contra ellas

da Radio BlackOut

HONDURAS: EL ESTADO CONTRA ELLAS

CARCERE, MILITARIZZAZIONE E IMPUNITÀ NELLO STATO D’ECCEZIONE

Il 20 giugno 2023 ci fu un massacro nell’allora unico centro penitenziario femminile dell’Honduras, il PNFAS (Penitenciaría Nacional Femenina de Adaptación Social). 46 donne detenute con accuse relative all’affiliazione alla Mara Salvatrucha, la MS-13, furono brutalmente assassinate da altre donne appartenenti alla Pandilla Barrio 18. Le maras e le pandillas rappresentano il fenomeno predominante della criminalità organizzata in Centro America.
Quella del giugno 2023 è stata la più grande strage mai avvenuta in una prigione femminile nel Paese. Diverse denunce delle sopravvissute indicano che si sarebbe potuta evitare: molte detenute avevano segnalato ripetuti episodi di minacce e avevano chiesto di essere trasferite in altre strutture. Le armi utilizzate nel massacro sembrano provenire dalle forze di polizia, che in quel periodo gestivano la struttura carceraria, così come riportato nel documentario El País Carcel, frutto del lavoro d’inchiesta delle giornaliste di Contracorriente. Perché si è permesso che un simile massacro avvenisse? È la domanda che guida l’inchiesta e il documentario. L’Honduras già all’epoca si trovava in stato d’eccezione, emanato nel novembre 2022 per la lotta a maras e pandillas, e in particolare alle estorsioni. Con lo stato d’eccezione, ancora oggi in vigore, le forze di polizia e i militari hanno ottenuto ampi poteri per compiere arresti senza necessità di mandato, controllare i movimenti delle persone e intervenire con maggiore forza nelle aree sotto il loro controllo.
Dopo il massacro, la gestione delle carceri è stata affidata nuovamente ai militari. Nel frattempo il governo ha avviato una campagna mediatica con la promessa della costruzione di un megacarcere sull’isola del Cisne, nel nord del Paese. Questa appare più che altro come una mossa propagandistica, quello che potremmo definire populismo penale, nel solco della straordinaria popolarità di cui gode Nayib Bukele, attuale presidente del Salvador, dopo aver adottato politiche di tolleranza zero per la lotta a maras e pandillas. Negli ultimi 3 anni nel Salvador sono state arrestate oltre 80 mila persone, giovani e giovanissimi accusati di essere affiliati alle bande. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei trasferimenti al CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo), mega-carcere destinato a ospitare più di 40 mila persone.

In questa intervista con Jennifer Ávila, autrice del documentario e giornalista di Contracorriente, si affrontano tutti questi temi, con un focus particolare sul caso honduregno. Ciò che emerge è che la strage del giugno 2023 è il riflesso delle trattative tra lo Stato e la criminalità organizzata.

Ancora una volta, la guerra è stata combattuta sui corpi delle donne.

Come affermano le compagne:

No fueron unas contra otras, fue el Estado contra ellas.

Non si è trattato di uno scontro tra bande, ma del più grande femminicidio di Stato mai avvenuto nel Paese.

 

Nieto 133- Identità rubate

Il collettivo Nodo Solidale:
A Cristina
A Flori
Alla grande famiglia che siete
Alla grande famiglia che siamo

Desaparecidos. Desaparecidas. Scomparsi.
Nell’Argentina della dittatura militare, tra il 1976 e il 1983, nel  cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale, 30.000 vite furono inghiottite dal buio. Studenti e studentesse, operai e operaie, sindacalisti, artisti, cineasti, teatranti, membri della Chiesa, maestri e maestre. Donne e uomini, perlopiù giovani, che agli occhi del potere erano, o potevano diventare, una minaccia al regime. Ribelli, insubordinati, dissidenti. Una generazione intera strappata via. Torturati con ferocia disumana. Corpi stuprati, massacrati, umiliati, annientati in maniera sistematica. Pochissimi sono sopravvissuti.

Donne incinte sequestrate nei centri di tortura, sottoposte alla stessa brutalità delle altre. I  figli, partoriti nell’orrore, venivano strappati dalle loro braccia, privati del loro nome, della loro storia, venduti o affidati a famiglie compiacenti, quasi sempre militari o collusi con il sistema criminale.

Le loro identità furono rubate e profanate. 30.000 uomini e donne, in quei sette anni, sono stati inghiottiti dall’acqua, dalla terra, dal fuoco. Scaraventati nell’oblio. I loro corpi spariti, ingurgitati dall’orrore fascista. Eppure le loro voci, i loro sogni, la loro lotta e le loro ragioni non sono mai stati davvero cancellati. Non sono riusciti  a “desaparecerlos”, a farli sparire del tutto. Mai. Las Madres, Las Abuelas y Los Hijos de Plaza de Mayo, insieme a molti altri, non hanno più smesso di combattere.
Hanno trasformato il dolore in resistenza, la memoria in uno strumento di giustizia, costruendo ponti tra passato e presente. Cercano, nominano, denunciano ancora. Gridano ancora. Perché dimenticare significa essere complici.

Chi non conosce questa storia, giovane o adulto, deve conoscerla. Chi l’ha dimenticata, se ne assuma la responsabilità. Non c’è giustizia senza memoria, non c’è futuro senza verità.

Come Nodo Solidale, piccolo collettivo con radici sia in Italia – terra d’origine di tanti migranti giunti in Argentina – sia in Messico – immensa fossa comune in cui all’oggi sono sprofondati nel nulla 115,000 desaparecid@s – sentiamo il dovere di contribuire a preservare e diffondere la memoria della dittatura argentina di quegli anni, degli orrori e le atrocità che ha provocato, così come di tutte le dittature e i fascismi, espliciti o mascherati, che hanno segnato la storia, ieri come oggi, in ogni angolo del mondo. La memoria non riguarda solo un passato lontano, ma é continua vigilanza contro ogni forma di oppressione, fascismo, violenza e negazione dei diritti umani, in qualsiasi contesto e in qualsiasi tempo. Perché solo attraverso la memoria, senza perdono per gli assassini né oblio per i loro complici, possiamo fare in modo che quel Nunca Más sia davvero definitivo.

Oggi vogliamo condividere la storia del NIETO 133, Daniel Santucho Navajas, figlio di Julio e Cristina, rubato alla madre, poi desaparecida, durante la sua prigionia. Dopo anni di lotte e speranze infrante, nel luglio del 2023, a questo nieto, a questo nipote – che ormai è un uomo – è stata restituita l’identità, e, con essa, una parte della vita che gli era stata sottratta. Il caso di Daniel è simbolo di tutte le storie di nietos e nietas rubati, ma anche di una speranza che non muore mai: che la verità e la giustizia possano prevalere, anche dopo decenni di silenzio e omertà. Questa restituzione di identità non è solo una vittoria personale, ma un atto di resistenza collettiva, che ci ricorda quanto sia fondamentale non arrendersi. Mancano ancora 300 nipoti delle Abuelas de Plaza de Mayo, strappati ai loro familiari dai militari, e potrebbero trovarsi ovunque, anche in Europa. La loro ricerca non è finita, la lotta, appunto, continua. Diffondi, condividi, e fai in modo che la memoria non svanisca.

Esistono numerosi testi, dossier, romanzi, film e altri contributi che raccontano la storia e le storie dei desaparecidos e delle desaparecidas durante la dittatura argentina. Questi racconti sono ancora lì, pronti a essere scoperti. È nostro dovere cercarli, ascoltarli e non dimenticare.

Qui i link ai materiali sulla storia del NIETO 133:

“Identidad robada” Breve documentario diretto da Rodrigo Vazquez-Salessi e Florencia Santucho sulla storia di Daniel. Prossimamente avrà anche i sottotitoli in italiano.
“I dubbi che Daniel Santucho Navajas aveva sulla sua identità sono finalmente venuti alla luce quando le Abuelas de Plaza de Mayo, che conservano le informazioni genetiche delle vittime della dittatura militare in Argentina, hanno trovato una corrispondenza di DNA per lui nel luglio del 2023. Riconnettendosi con la sua famiglia biologica, Daniel scopre la verità su ciò che gli è accaduto. Scopre di essere nato in un centro di detenzione e di essere stato adottato in segreto. Sua madre è ancora una delle migliaia di desaparecidos. Durante la sua ricerca della verità, si svela il programma sistematico di adozioni illegali e crimini commessi durante la dittatura militare dal 1976 al 1983”.
– In italiano il bellissimo Podcast di Claudia Gatti, Riccardo Cocozza e Florencia Santucho, NIETO 133 – Storia di una famiglia contro le dittature argentine.

“Questa è la saga di una famiglia militante che segna la storia dell’Argentina degli ultimi 70 anni, la famiglia Santucho, le dittature, la lotta armata, i desaparecidos, i mondiali del 76 e poi l’esilio, l’Italia e il Messico, e poi ancora la democrazia e i processi a metà, il PC e i centri sociali, e Genova, Maastricht e la Patagonia, fanno da sfondo a identità militanti che si muovono tra Italia e Argentina alla ricerca della verità e attanagliati da un dubbio. Dubbio che trova una risposta in un volto di 46 anni. È il 28 luglio 2023. Finalmente, una nuova identità militante, l’ultimo Santucho, emerge dal passato e si fa futuro. Questa è la storia di Daniel, Nieto 33.

Il link alla commovente conferenza stampa in cui la famiglia Santucho annuncia il ritrovamento di Daniel.
É importante chiamarlo nipote, anche se è figlio, fratello e padre perché come ricorda la presenza e le parole di  Estela Carlotto, rappresentante delle madri di Plaza de Mayo, lui è anche il nipote di Nelida Gomez Navaja. Nonna di Plaza de Mayo, Nelida è morta nel 2012 e non ha mai smesso di cercare suo nipote fino alla fine della sua vita.

————————-CASTELLANO————————————–

Para Cristina
Para Flori
A la gran familia que son
A la gran familia que somos

Desaparecidos. Desaparecidas.

En la Argentina de la dictadura militar, entre 1976 y 1983, durante el llamado Proceso de Reorganización Nacional, 30.000 vidas fueron tragadas por las tinieblas. Estudiantes, obreros y obreras, sindicalistas, artistas, miembros de la Iglesia, maestros y maestras. Mujeres y hombres, en su mayoría jóvenes, que a los ojos del poder eran, o podían llegar a ser, una amenaza para el régimen. Revolucionaries, rebeldes, insubordinados, disidentes. Toda una generación diezmada. Torturada con ferocidad inhumana. Cuerpos violados, masacrados, humillados, aniquilados sistemáticamente. Muy pocos sobrevivieron. Mujeres embarazadas apresadas en centros de tortura, sometidas a la misma brutalidad que las demás. Sus hijos, nacidos en el horror, fueron arrancados de sus brazos, privados de su nombre, de su historia, vendidos o entregados a familias complacientes, casi siempre militares o en connivencia con el sistema criminal.

Sus identidades fueron robadas y profanadas. 30.000 hombres y mujeres, en esos siete años, fueron tragados por el agua, la tierra, el fuego. Arrojados al olvido. Sus cuerpos desaparecieron, engullidos por el horror fascista. Sin embargo, sus voces, sus sueños, su lucha y sus razones nunca las pudieron borraron. No consiguieron «desaparecerlos». Nunca. Las Madres, Las Abuelas y Los Hijos de Plaza de Mayo, junto con muchos otros y otras, nunca han dejado de luchar.  Han transformado el dolor en resistencia, la memoria en instrumento de justicia, tejiendo puentes entre el pasado y el presente. Siguen buscando, siguen nombrando, siguen denunciando. Siguen gritando. Porque olvidar significa ser cómplice.

Los que no conocen esta historia, jóvenes o mayores, deben conocerla. Los que la han olvidado, que asuman su responsabilidad. No hay justicia sin memoria, no hay futuro sin verdad.

Como Nodo Solidale, un pequeño colectivo con raíces tanto en Italia – la tierra de origen de tantos migrantes que llegaron a Argentina – como en México – una inmensa fosa común en la que se cuentan 115,000 desaparecid@s – sentimos que es nuestro deber contribuir a preservar y difundir la memoria de la dictadura argentina de aquellos años, de los horrores y atrocidades que provocó, así como de todas las dictaduras y fascismos, explícitos o enmascarados, que han marcado la historia, ayer como hoy, en todos los rincones del mundo. La memoria no se refiere sólo al pasado lejano, sino que es una vigilancia continua contra todas las formas de opresión, fascismo, violencia y negación de los derechos humanos, en cualquier contexto y en cualquier momento. Porque sólo a través de la memoria, sin perdón para los asesinos ni olvido para sus cómplices, podremos conseguir que el Nunca Más sea realmente definitivo.

Hoy queremos compartir la historia de NIETO 133, Daniel Santucho Navajas, hijo de Julio y Cristina, robado a su madre, posteriormente desaparecida, durante su encarcelamiento. Tras años de lucha y esperanzas rotas, en julio de 2023, este nieto -que ahora es un hombre- recuperó su identidad y, con ella, una parte de la vida que le había sido arrebatada.

El caso de Daniel es simbólico de todas las historias de nietos y nietas robados, pero también de una esperanza que nunca muere: que la verdad y la justicia puedan prevalecer, incluso después de décadas de silencio y complicidad. Esta restitución de la identidad no es sólo una victoria personal, sino un acto de resistencia colectiva, que nos recuerda lo crucial que es no rendirse.

Todavía hay 300 nietos de las Abuelas de Plaza de Mayo desaparecidos, arrebatados a sus familias por los militares, y podrían estar en cualquier parte, incluso en Europa. Su búsqueda no ha terminado, la lucha, de hecho, continúa. Difunde, comparte y haz que la memoria no se desvanezca.

Existen numerosos textos, novelas, películas y otras aportaciones que relatan la historia y las historias de los desaparecidos y desaparecidas durante la dictadura argentina. Estas historias siguen ahí, listas para ser descubiertas. Es nuestro deber buscarlas, escucharlas y no olvidar.

Aquí siguen los enlaces a materiales sobre la historia del NIETO 133:

– “Identidad Robada” Breve documental dirigido por Rodrigo Vazquez-Salessi y Florencia Santucho sobre la historia de Daniel.
«Las dudas que Daniel Santucho Navajas tenía sobre su identidad finalmente salieron a la luz cuando las Abuelas de Plaza de Mayo, que almacenan la información genética de las víctimas de la dictadura militar en Argentina, encontraron una coincidencia de ADN para él en julio de 2023. Al reencontrarse con su familia biológica, Daniel descubre la verdad sobre lo que le ocurrió. Descubre que nació en un centro de detención y que fue adoptado en secreto. Su madre sigue siendo una de los miles de desaparecidos. Durante su búsqueda de la verdad, se revela el programa sistemático de adopciones ilegales y los crímenes cometidos durante la dictadura militar de 1976 a 1983».

https://www.instagram.com/reel/DCisRFKtCTI/?igsh=bHV0dDd2M2hmaDc2

-El enlace a la emotiva conferencia de prensa en la que la familia Santucho anunció el hallazgo de Daniel.
Es importante llamarlo nieto, aunque sea hijo, hermano y padre porque, como recuerda Estela Carlotto, representante de las Madres de Plaza de Mayo, también es nieto de Nélida Gómez Navaja. Abuela de Plaza de Mayo, Nélida murió en 2012 y nunca dejó de buscar a su nieto hasta el final de su vida.

En italiano, el hermoso Podcast de Claudia Gatti, Riccardo Cocozza y Florencia Santucho, NIETO 133 – Historia de una familia contra las dictaduras argentinas.

«Esta es la saga de una familia militante que marca la historia de Argentina en los últimos 70 años, la familia Santucho, las dictaduras, la lucha armada, los desaparecidos, el Mundial del 76 y luego el exilio, Italia y México, y luego otra vez la democracia y los juicios a medias, el PC y los centros sociales, y Génova, Maastricht y la Patagonia, forman el telar de fondo de identidades militantes que se mueven entre Italia y Argentina en busca de la verdad y atenazadas por una duda. Duda que encuentra respuesta en un rostro de 46 años. Es el 28 de julio de 2023. Finalmente, una nueva identidad militante, el último Santucho, emerge del pasado y se convierte en el futuro. Esta es la historia de Daniel, Nieto 133.»

 

Gli occhi di Renato

[Immagine di copertina: “Maternità ribelli e militanti: nella foto il Comitato Madri per Roma Città Aperta nella spiaggia di Focene, dove fu assassinato Renato Biagetti”]

Renato dov’è? 18 anni da quelle infami coltellate fasciste, dov’è Renato?

Nel buio globale dei tempi attuali, dove sembra che la luce sia solo quella nefasta e terrificante delle bombe in cielo e delle raffiche in terra, gli zapatisti e le zapatiste ci ricordano, dando l’esempio, di tenere sempre la fiammella della speranza accesa. Ci dicono di non farla morire, per non essere inghiottiti nell’oscurità più nera del capitalismo: la distruzione stessa della specie umana e del suo planeta. Dobbiamo sforzarci per mantenere viva la fiammella, prendersene cura, proteggerla e continuare a caminare collettivamente… Nei piccoli bagliori di questa minuscola luce tremula che siamo, rivediamo gli occhi di Renato e il suo sorriso immenso. Nell’indistruttibilità e irriducibilità delle piccole grandi lotte che anche Renato nutriva. Continua la lettura di Gli occhi di Renato

Le guerre del Capitale

Passano i mesi e, nonostante le mobilitazioni di massa in tutto il mondo, con milioni di persone che chiedono a gran voce un immediato cessate il fuoco, su Gaza continuano a piovere bombe. Venerdì scorso, più di 100 civili sono stati letteralmente fatti a pezzi mentre pregavano in una scuola nel quartiere di Al-Daraj. Un crimine in più tra i migliaia commessi dagli invasori dell’esercito israeliano, i quali stanno perpetrando sfacciatamente un infanticidio di massa e un genocidio davanti agli occhi di tutto il mondo. Là in alto, tra i potenti di tutti i paesi, non c’è nessuno che li fermi. Qui in basso continuiamo ad accumulare rabbia vedendo non solo lo sterminio di tanti fratelli e sorelle, ma anche come si riempiono le tasche dei fabbricanti di armi e dei loro soci, i politici di ogni bando.

Nel nord della Siria, a poche centinaia di chilometri dal massacro in corso in Palestina, lo Stato turco e le sue bande di mercenari hanno bombardato con obici i villaggi di Cat e Ewn Dadat, nel cantone di Manbij, nella notte di venerdì scorso. Allo stesso tempo, poco più a sud, circa 400 mercenari al soldo del regime siriano hanno attraversato il fiume Eufrate cercando di penetrare nel territorio dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria (AANES) e, di fronte alla resistenza delle Forze Democratiche Siriane (SDF), che sono riuscite a respingerli, hanno compiuto una rappresaglia bombardando i villaggi di Jadeed Bakara e al-Dahalah massacrando 13 civili, la maggior parte donne e bambini, tra cui un neonato di un anno e mezzo e un altro di 4 mesi. Qualè la colpa delle vittime? Vivere nel territorio autonomo e democratico dell’AANES, un laboratorio sociale nel pieno del Medio Oriente ispirato ai principi socialisti, ecologisti e femministi del movimento di liberazione del Kurdistan. Vale a dire, sia lo Stato turco, alleato degli Stati Uniti nella NATO, sia lo Stato siriano, alleato della Russia e dell’Iran, bombardano civili con il criminale desiderio di schiacciare uno dei più grandi esempi di autogestione popolare di questo secolo. Ed entrambi si servono delle feroci bande paramilitari islamiste, come ISIS e Al Nusra. Continua la lettura di Le guerre del Capitale

¡Guerras capitalistas!

VERSIONE IN ITALIANO

Pasan los meses y a pesar de las movilizaciones masivas en todo el mundo, con millones de personas clamando un alto al fuego inmediato, en Gaza siguen lloviendo bombas. Hace pocas horas más de 100 civiles fueron literalmente hechos pedazos, mientras rezaban en una escuela en el barrio de Al-Daraj. Sólo un crimen más entre los miles cometidos por los invasores del ejército israelí, los cuales están perpetrando descaradamente un infanticidio masivo y un genocidio ante los ojos de todo el mundo. Allá arriba, entre los mandones de todos los países, no hay quien los pare. Aquí abajo seguimos acumulando rabia viendo no sólo el exterminio de tantos hermanos y hermanas, sino también cómo se inflan los bolsillos de los fabricantes de armas y sus socios entre los políticos de todos los colores.

En el norte de Siria, a unos cientos de kilómetros de la masacre en curso en Palestina, el Estado turco y sus bandas bombardearon con obuses las aldeas de Cat y Ewn Dadat, en el cantón de Manbij, en la noche del viernes. Al mismo tiempo, un poco más al sur, alrededor de 400 mercenarios a sueldo del régimen sirio cruzaron el río Éufrates buscando penetrar el territorio de la Administración Autónoma del NorEste de Siria (AANES) y ante la resistencia de las Fuerzas Democráticas Sirias (SDF), quienes lograron rechazarlos, tomaron represalia bombardeando las aldeas de Jadeed Bakara y al-Dahalah masacrando a 13 civiles, la mayoría de ellos mujeres y niños, entre ellos un bebé de 1 año y medio y otro de 4 meses. ¿Su culpa? Vivir en el territorio autónomo y democrático de la AANES, un laboratorio social en pleno Medio Oriente inspirado en los principios socialistas, ecologistas y feministas del movimiento de liberación de Kurdistán. Es decir, tanto el Estado Turco, aliado de Estados Unidos en la OTAN, como el Estado Sirio, aliado de Rusia e Irán, bombardean civiles con el mortífero anhelo de aplastar uno de los más grandes ejemplos de autogestión popular de este siglo. Y ambos se sirven de las feroces bandas paramilitares islamistas, tal como ISIS y Al Nusra.

Continua la lettura di ¡Guerras capitalistas!

BASTA DE BOMBARDEOS EN MEDIO ORIENTE. LIBERTAD PARA LOS PUEBLOS DE PALESTINA Y KURDISTAN.

En Gaza, Palestina, es el infierno.

Si antes del 7 de octubre de 2023, día en que el ejército sionista de Israel desató los bombardeos masivos sobre la población civil, Gaza era una prisión a cielo abierto, ahora es una explanada de escombros, un matadero sin salidas, un pozo de sangre donde desahoga toda su furia bélica y racista el Estado de Israel. En el momento de escribir estas líneas se han registrado 12 mil toneladas de bombas (33 toneladas de explosivos por kilómetro cuadrado), lo que equivale a la potencia explosiva de una bomba atómica. Han sido asesinado 21,000 personas palestinas, de las cuales 10,000 niños y niñas. Como bien resume el Capitán Marcos del EZLN:

“La niñez palestina asesinada no es una víctima colateral, es el objetivo principal de Netanyahu, siempre lo fue. Esa guerra no es para eliminar a Hamás. Es para matar el futuro. Hamás será sólo la víctima colateral.”
Para quienes venimos denunciando la guerra global permanente como dispositivo de reproducción constante de acumulación capitalista, es decir quienes entendemos que la guerra es la forma propia del sistema de dominación mundial no tenemos esperanza en una solución de arriba, sino creemos que la paz se teje abajo, casa por casa, pueblo por pueblo, tratando de romper los moldes y las fronteras mentales y físicas que nos impusieron el patriarcado, el nacionalismo y las religiones, en sus formas más conservadoras. Como pueblo mexicano, sabemos bien que, para resistirse al poder, se nos va la vida. La guerra no es un cuento lejano, es – con sus diferentes matices – el orden de día de nuestro presente.

Desde luego, unos cientos de kilómetros más al norte de Palestina, en el noreste de Siria, en otro territorio devastado por 12 años de guerra civil, hay un experimento social que no nos cansamos de difundir y dar a conocer: el Rojava y las otras regiones de la Administración Autónoma de NorEste de Siria (AANES), en donde justo se busca tejer una convivencia entre los pueblos kurdos, sirios, cristianos siriacos, turcomanos, árabes y más en una perspectiva feminista, socialista, pluri-confesional y ecológica. Un verdadero laboratorio de democracia directa, en el ojo del ciclón, donde la tormenta devasta con más virulencia. Una experiencia de auto-gobierno popular de cientos de miles de familias y personas, con desgraciadamente demasiado enemigos, tantos locales y regionales cuantos entre las grandes potencias en disputa en el Medio Oriente.

Durante esta sangrienta Navidad, mientras el ejército israelí perpetraba otra masacre de civiles en el campamento de Al Maghazi, el ejército turco (aliado de aquel en la OTAN) bombardeó una clínica en Kobane y las infraestructuras civiles en Qamishlo, provocando 9 muertos más entre los civiles. Según un informe reciente del Centro de Información de Rojava (RIC), los ataques turcos con aviones no tripulados han matado a 83 personas en el noreste de Siria en este 2023. Además, con los ataques aéreos de los últimos tres meses mataron a 60 personas más. Entre las víctimas, muchos civiles y cuadros políticos y de las Unidades de Autodefensas del Pueblo (YPG/YPJ) y de las Fuerzas Democráticas Sirias (FDS).

El presidente fascista de Turquía, Tayep Erdogan, está aprovechando la coyuntura y la atención mundial sobre Palestina para recrudecer los ataques contra la verdadera democracia directa de Medio Oriente, esperando así poder aplastar la esperanza de un mundo mejor, esperando que una masacre tape otra.
Pero nosotros, como pueblos, colectivos y organizaciones en lucha de México no volteamos la mirada, denunciamos tanto al gobierno de Israel que al de Turquía como asesinos, ambos dedicados a invadir violentamente territorios indígenas aplicando la limpieza étnica entre sus habitantes. El drama del pueblo palestino es el drama del pueblo kurdo y ambos pueblos nos han enseñado la dignidad, la valentía y la resistencia.

Por un mundo donde quepan muchos mundos: paz con dignidad para los pueblos de Medio Oriente.

¡Paremos el genocidio en Gaza!
¡Paremos la Ocupación sionista en Palestina!
¡Defendamos la Revolución en Rojava!

Alianza Magonista Zapatista (AMZ):
Colectivo Autónomo Magonista (CAMA)
Comité de Defensa de los Derechos Indígenas (CODEDI)
Nodo Solidale
Organizaciones Indias por los Derechos Humanos en Oaxaca (OIDHO)
Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martinez”
Organizacion popular Francisco villa de izquierda independiente OPFVII
Proceso de Articulación de la Sierra de Santa Marta
Vendaval – cooperativa panadera y algo más

Autodifesa Medica: Pantere Nere e Ezln – Introduzione

Di seguito riportiamo l’introduzione al volume italiano “Autodifesa Medica – Pantere Nere e Ezln”, traduzione a cura del Nodo solidale del volume “Autodefensa Medica – Panteras Negras y Zapatistas” di Zineditorial recentemente pubblicata nella collana Quaderni della Complicità Globale in collaborazione con Elementi Kairos.

A Jaime Alberto Montejo Bohórquez (1964-2020), compagno della Brigada Callejera che ci ispira ogni giorno a lottare per la salute dellə oppressə

Introduzione 

Ancora dentro la pandemia COVID-19 ed a oltre un anno dalla Gira por la Vida[1] intrapresa dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e dal Congresso Nazionale Indigeno (CNI) attraverso i paesi europei, ci siamo imbattutə in Autodefensa Medica: Panteras Negras y Zapatistas e ci è sembrato appropriato tradurlo. Per contribuire con umiltà ai complessi dibattiti sulla salute e sulla cura al tempo dei lockdowns e del green pass, in una fase di crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dell’assalto dei privati alla sanità, per porre domande e non ricette pronte.

La pandemia che ci ha travoltə dall’inizio del 2020 non è ancora finita e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima a scuotere la comunità internazionale. Il caso del Monkey pox (vaiolo delle scimmie) ne è un esempio, ma soprattutto, nulla è stato fatto per rallentare l’espropriazione e la devastazione ambientale che avanzano rapidi e mettono ogni giorno sotto stress gli ecosistemi negli angoli più remoti del pianeta. In Italia la pandemia ha incontrato un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) allo stremo il cui spirito universalistico, conquistato grazie alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori negli anni ’70, è stato sempre più messo in discussione ed al margine dall’avanzata del paradigma neoliberista. Tre sono i dati che ci danno la radiografia dello stato di salute del SSN: 37 miliardi di euro tagliati in meno di 10 anni, la frammentazione di un sistema nazionale in 20 piccoli sistemi regionali, con la conseguente stratificazione in apparati sanitari di serie A e di serie B, l’aziendalizzazione della sanità. La parità di bilancio è diventata quindi più importante della salute delle persone. Questo è il modello che ci è stato imposto.

Nel nome dell’austerità e del debito pubblico, negli anni passati, siamo statə testimoni di una lenta distruzione della sanità pubblica; oggi, al contrario, per uscire dalla pandemia si ricorre agli investimenti del Piano Nazione Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma quale direzione stiamo prendendo? Per ora non percepiamo un cambio di parole d’ordine, nessuna iniziativa che provi a ribaltare il paradigma che vuole la sanità come un campo di profitto, in una Salute come bene comune. Speriamo di sbagliarci.

Ma come si potrà uscire da una sanità come complesso industriale biomedico e delle assicurazioni? Come allontanarsi da una sanità intesa come industria della salute e fonte di profitto per privati e assicurazioni?

Cosa vuol dire prendersi cura della propria salute? Che ruolo ha la salute nella nostra società? È possibile immaginare insieme una salute che rompa i vizi secolari di una medicina pensata da maschi bianchi per maschi bianchi? Ripensare una scienza nata come biopotere estirpato dalla capacità di cura comunitaria e personale, così come dai corpi delle donne? Combattere il suo essere strumento di normalizzazione sociale e dominio coloniale? Si può rompere la catena che inserisce la medicina in un campo di creazione di profitto, all’interno di un sistema di sfruttamento e sovrapproduzione? Sarà possibile re-immaginare la figura medica, non come parte della classe dominante, ma come una figura alleata delle classi oppresse nella lotta contro le disuguaglianze sociali, incidendo nei determinanti di salute?[2] Una figura che incarni un sapere condivisibile e a disposizione della collettività e non una figura di potere che agisce per interessi egoistici e di casta?

Alcune domande ce le poniamo da anni, altre ce le ha fatte sorgere l’esperienza vissuta con il COVID-19. Questioni a cui sarà fondamentale rispondere collettivamente.

La pandemia è piombata sulle nostre vite come un macigno inaspettato, un virus diffusosi rapidamente in tutto il mondo e un’epidemia che abbiamo imparato a interpretare piuttosto come una sindemia[3]. Una malattia estremamente influenzata dai contesti socio-ambientali in cui si diffonde, che acuisce le diseguaglianze sociali ed economiche e colpisce in maniera più aggressiva dove si vive lavorando più del dovuto, in condizioni igienico-sanitarie malsane, in case piccole e sovraffollate, in quartieri inquinatissimi. Il COVID-19 non è stata una semplice malattia dell’essere umano, ma una malattia dell’ecosfera[4] perché nasce in un mondo dove la deforestazione, la cementificazione, l’industrializzazione selvaggia e gli allevamenti intensivi invadono gli ecosistemi naturali. Questa devastazione ambientale obbliga gli animali selvatici alla vicinanza con l’umano, così come i loro batteri e virus, favorendo la possibilità dello spillover (salto di specie). Inoltre le infinite e rapide connessioni internazionali ne consentono una diffusione globale.

Mentre leggevamo e studiavamo, provavamo a discuterne, ma il dialogo era problematico, non fluiva per la complessità del tema e la difficoltà ad affrontare le insidie della vita ai tempi della pandemia covid-19. Non siamo riuscitə ad avere idee chiare e condivise sull’utilità delle misure sanitarie imposte dai governi, su quali fossero le più importanti, su quanto ci si dovesse affidare solo al lockdown e al vaccino e quanto bisognasse invece lavorare su un approccio più sistemico alla questione. In Italia la discussione è stata violenta, così tanto polarizzata su fazioni opposte da non mostrarci la possibilità di  individuare soluzioni collettive e condivise. Sicuramente ci è parso lampante come la gestione della salute collettiva e la medicina possano essere armi di un potere enorme in mano agli Stati e di quanto questo sia in grado di entrare nelle nostre vite.

Lo scrivere questa introduzione ci ha preso molto tempo, proprio per la capacità di questo libro di mettere al centro quello che durante la pandemia in Italia era difficile discutere: il ruolo della salute nella costruzione di una società. Forse per noi discutere su questi temi risultava faticoso perché l’autonomia la vediamo troppo lontana e non siamo abituatə a viverla, quindi sognare insieme e mettere in campo soluzioni altre.

Ci è sembrato importante tradurre questo libro perché ci fa vedere di come la salute sia un campo di lotta, di come può essere uno strumento fondamentale all’interno di una cornice trasformatrice del presente, soprattutto di due organizzazioni politiche che rispettiamo per la loro traiettoria, le Pantere Nere e l’EZLN. Non per avere idee chiare su questi problemi, ma per desiderare di poter ribaltare tutto e riscriverlo da capo, dal basso e da sinistra. Solo sognando possiamo immaginare una società fatta di cura reciproca, dove la salute non sia una merce, ma un diritto di tuttə.  Solo costruendo organizzazione possiamo sognare insieme.

E leggere come le Pantere Nere sul tema della salute abbiano costruito un importante pilastro di emancipazione, significa aprirsi ad uno straordinario e storico esempio di organizzazione e di lotta. In che modo abbiano cercato e trovato forme di prevenzione e cura per problemi concreti che allo Stato non interessavano perché considerati problemi “solo dei neri”. Come abbiano saputo tradurre il proprio pensiero e la propria azione in organizzazione sociale dal basso, coniugando salute, denuncia e presa in carico delle proprie condizioni materiali. La clinica del popolo “Frank Lynch”, le Pantere Nere l’hanno costruita sulla terra su cui avrebbero dovuto edificare una super autostrada che avrebbe isolato e diviso il quartiere.

Le cliniche zapatiste sono nate prima dell’insurrezione armata, esempio di come la cura e la sua difesa fossero centrali per la riappropriazione delle proprie vite sottratte da 500 anni di colonialismo e di razzismo. Recuperare saperi ancestrali, appropriarsi dei saperi della medicina occidentale, integrarli, prevenire le malattie, riprendersi le terre rubate da Stato e latifondisti. Solo in questo modo potevano lottare per la vita. Perché se la lotta è per la vita, non può che essere una lotta per la salute. Ad oggi gli zapatisti e le zapatiste hanno costruito un sistema autonomo di cura che si avvale di sale operatorie, ambulanze per le emergenze, case di salute sparse nelle comunità, campagne di prevenzione e vaccinazione, laboratori di analisi. Inoltre un sistema di formazione, approfondendo temi come la salute pubblica, primo soccorso, fitoterapia e medicina ancestrale, educano promotorə di salute che si prendono cura della comunità.

Ma cosa possono insegnarci queste esperienze nel nostro contesto? Si deve costruire una sanità dal basso o si deve riconquistare il diritto gratuito alle cure? La strada da percorrere è autonoma ed indipendente dal Servizio Sanitario Nazionale oppure è fatta di vertenze e battaglie “interne”? Queste sono due posizioni in contraddizione o possono essere sviluppate in sinergia? Domande aperte che sta a tuttə noi rispondere collettivamente.

Infine,a scrivere questo libro è un  collettivo autonomo messicano critico del governo di Lopez Obrador, che dietro la maschera di governo di “sinistra” riesce a portare a compimento i piani di un’economia neoliberista.  Un collettivo non composto da professionistə della salute. Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.

Crediamo che solo attraverso percorsi simili si possa rispondere alle domande che ci ronzano per la testa, che il presente ci impone e che abbiamo voluto riportare in queste righe, nella speranza che la diffusione di questo libro ci aiuti a formulare risposte e a praticare nuove soluzioni.

Nodo Solidale

[1] Carovana dell’EZLN e del CNI che ha invaso l’Europa dal 11/06/2021 al 06/12/21 per condividere con i movimenti sociali europei le lotte e le forme di organizzazione e di resistenza contro il capitalismo estrattivista.
[2] Le analisi alla base di questi concetti e questi interrogativi sono esposte in importanti scritti come: Calibano e la strega di Silvia Federici, Nemesi Medica di Ivan Illich, Storia della follia in età classica di Michel Foucault.
[3] Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet. 2020
[4] Ernesto Burgio su Radio Onda Rossa

Per Saperne di più: link la traduzione di un Articolo di Raul Zibechi sull’edizione Messicana dal blog del collettivo internazionalista Carlos Fonseca.

Salute ribelle e movimenti anticapitalisti

 

 

Palestina: Detenido Bilal Jado

17 de enero de 2023,México
Palestina: Detenido Bilal Jado
El compañero Bilal, uno de lxs fundadores y promotores del Centro Cultural Amal Al Mustakbal en el campo de refugiadxs Aida en la ciudad de Belem (Cisjordania, Palestina), fue detenido en la madrugada durante un operativo del ejército de Israel. No sabemos de qué se le acusa y de ser una detención administrativa nunca lo sabremos pues la mayoría de los expendientes y juicios están sepultados bajo el “secreto militar”. La detención administrativa de hecho es un procedimiento que permite al ejército israelí detener prisioneros de manera indefinida sin cargos ni juicio. Las órdenes pueden renovarse indefinidamente y las pruebas se mantienen en secreto, por lo que la persona no puede impugnar de manera efectiva su detención ni saber cuándo saldrá en libertad.

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