In solidarietà l@s comp@s dell’Asamblea de Pueblos Indígenas del Istmo de Tehuantepec (APIIT) riportiamo la traduzione dei loro comunicati sperando che ci aiutino a comprendere i livelli dell’attacco estrattivista in atto nel sudovest messicano. L’Istmo da anni purtroppo è diventato un modello di estrazione sistematica di risorse nonché nel corso dell’ultimo decennio un vero e proprio laboratorio di sperimentazione in questo campo.
Il corridoio interoceanico, o treno transistmico, si inserisce insieme al Tren Maya tra i progetti infrastrutturali di punta portati avanti dal governo di Andres Manuel Lopez Obrador (Amlo) e la sua “4° trasformazione” in un contesto di svendita del paese al grande capitale transnazionale (in atto già da tempo). Un progetto di paese totalmente asservito alle logiche mortifere del “progresso” che prendono forma nei tentativi del grande capitale di trarre profitto e imporre il proprio dominio per modificare e riorganizzare i territori in un riassetto che va ben oltre gli interessi regionali.
Di fronte a tali interventi e al crescente clima di violenza che si vive nel paese, l’immagine oramai sempre più sbiadita del governo “popolare e di sinistra” diviene sempre più contradditoria. Il governo di Amlo con fatica infatti tenta di eseguire spettacolari acrobazie linguistiche per vendere questo riassetto territoriale –finalizzato ad espropriazione e sfruttamento – come “un miracoloso progresso per il popolo”. Nella realtà vediamo solo queste operazioni di ricolonizzazione e riorganizzazione territoriale, il paradigma è quello solito della guerra moderna, enunciato dalle parole del Sub Marcos nel distruggere/spopolare – ricostruire/ripopolare secondo gli interessi del capitalismo.
In questo scenario l progetto del Corridoio, che dovrebbe collegare la costa occidentale e quella orientale del sud del Messico nel suo tratto più stretto, arriva in un territorio già invaso da megaprogetti e devastazioni e vorrebbe imporsi su di un’area già profondamente compromessa e minacciata dalla speculazione sulle energie rinnovabili, delle grandi dighe e delle miniere a cielo aperto che nel corso degli anni hanno modificato terribilmente questa area a forte biodiversità.
Il parco eolico che occupa le terre indigene della costa sud dello stato di Oaxaca conta circa duemila pale eoliche, dove anche la nostra ENEL ha una frazione di progetto da 220 MW; si tratta di un megaprogetto che, nonostante la facciata green, ha portato divisioni e conflitti nelle comunità oltre ad aver completamente distrutto la produzione di sale marino, in passato caratteristica della zona.
Il corridoio interoceanico non è dunque solo una linea ferroviaria, ma incarna l’ennesima devastazione che porterà, assieme alle “promesse di progresso” , guerra, divisioni e morti nelle comunità per favorire un modello di sviluppo che preferisce far arrivare i container due giorni prima dall’Asia agli Stati Uniti piuttosto che rispettare i diritti ancestrali delle comunità messicane che quei container non li vedranno se non di passaggio.
E’ inoltre da tenere in considerazione che ogni espansione geopolitica si accompagna ad una considerevole presenza militare, la quale diventa un fattore necessario per il controllo economico e politico del capitale su di un determinato territorio ovviamente con tutte le gravi conseguenze che tale presenza implica.
La ferrovia era già in uso ai tempi della dittatura di Porfirio Diaz, dunque riattivarla non prevedrebbe troppi lavori, ma non stiamo parlando solo di un treno, parliamo di processi estrattivisti integrati, dove la ferrovia diventerebbe un corridoio logistico su cui far convergere grossi parchi di produzione energetica, miniere che possano conferire su rotaia le materie prime estratte, parchi industriali che assemblino semilavorati. Questo progetto prevede una volta di più la cancellazione delle comunità originarie portatrici di valori e stili di vita naturalmente e radicalmente distinti dal modello neoliberista: in primis la cura della biodiversità, la difesa dell’acqua e dei monti, l’autorganizzazione comunitaria.
Per difendere tutto questo l@s comp@s scrivono e ci chiamano a lottare a livello globale.
NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA TRASFORMAZIONE
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Layú bee
Le nostre nonne e i nostri nonni furono i primi a camminare per queste terre, conobbero i sui sentieri, alberi, piante, tracciarono rotte e si incontrarono tra popoli differenti e a volte nemici, a volte condividendo il fare della terra, altre come fratelli o come famiglia; da loro abbiamo imparato che ciò che lo abita non è solamente natura e che Layú bee è strapieno di altri esseri che si incrociano di volta in volta sui sentieri, nella milpa [forma di permacultura tradizionale di mais, fagioli, zucca, peperoncini ed altro], nelle grotte, nell’acqua, nel mare, per rendere presente la loro voce, abbiamo quindi imparato, ad ascoltare e che questa si conosce percorrendola, così come scopriamo la forma intima di coloro con cui siamo collegati, anche se i nostri popoli sono distinti, ciò che succede in un luogo ne colpisce irrimediabilmente altri.
(Niltie)
Layú bee (terra stretta) è come si chiama in lingua diidxazá questa regione conosciuta come Istmo di Tehuantepec, che si trova nell’estremo oriente dello stato di Oaxaca e al sud di Veracruz, raggiungendo verso oriente alcune porzioni del Chiapas e di Tabasco. Layú bee è, come dice il suo nome, la zona più stretta tra i mari del Golfo del Messico e dell’Oceano Pacifico, separati da una lingua di terra di 300 km.
All’interno di Layú bee si trova una immensa diversità naturalistica, nei suoi boschi e nelle sue foreste si trovano 10 ecosistemi differenti che rappresentano il 10% totale della biodiversità del pianeta. I suoi massicci boschi hanno il compito di regolare le differenze climatiche e sono il punto d’incontro di milioni di piante e animali, unendo l’emisfero nord con quello sud attraverso la flora e la fauna del secco tropico del Pacifico con le piante del tropico umido dell’Atlantico.
Nella parte nord di Layú bee, nella Sierra di Santa Marta o Sierra dei Tuxtlas si trovano 940 specie di piante, 80 felci, più di 1200 specie di insetti, 122 specie di rettili e anfibi, oltre 440 specie di uccelli e 115 specie di mammiferi; e questo solo riguardo le specie conosciute finora. Questa zona è bagnata dal fiume Papaloapan, la cui rete fluviale sbocca nei fiumi Coatzacoalcos, Uxpanapa e parte del sistema Grijalva-Usumacita, formando durante il suo percorso estuari, meandri, mangrovie, paludi e acquitrini ed è protetta dai popoli tannundajïïyi e nahuas.
Nella parte centrale di Layú bee, si trova la selva di Chimalapas dove abbonda una immensa ricchezza di flora e fauna che fa di questa foresta una eco-regione di per sé interdipendente. Qui abitano 445 specie di farfalle diurne; 149 specie di mammiferi, che equivale al 32% del totale nazionale di queste specie. Inoltre ci sono 464 specie di uccelli, ciò che equivale ad un terzo del totale del paese; 54 di anfibi e 105 specie di rettili. Questa foresta, di per sé, ospita quasi un terzo della biodiversità totale del paese, oltre al fatto che in queste terre si produce naturalmente il 40% di tutta l’acqua emersa, sarebbe a dire dei fiumi e ruscelli, del Messico.
La Selva dei Chimalapas, la Sierra di Santa Marta e lo Uxpanapa nel loro insieme contano un complesso di ecosistemi che vanno dai boschi dal clima temperato, boschi nebbiosi, foreste tropicali umide, le quali sono parte delle ultime foreste in buono stato di conservazione del Mesoamerica. Questa varietà di eco-regioni presenti in Layú bee, fanno parte della zona con la più grande concentrazione della diversità vegetale del Messico e di uno dei grandi centri floristici endemici dell’area culturale conosciuta come Mesoamerica.
Lo scorrere di queste acque termina nelle pianure costiere del Golfo di Tehuantepec, abitato dai popoli binnizá, angpón, ayuuk y slijuala xanuc’, nell’estremo sud di Layú bee prendono forma suoli fertili che favoriscono lo sviluppo della vegetazione dell’Istmo Sud e che in fine sboccano nei sistemi lagunari costieri, i più grandi del Pacifico Sud messicano. Tra questi spiccano la laguna Superiore e Inferiore e il mar Tileme, abitati dal popolo ikoojt, che danno forma al territorio di questa ultima parte di litorale.
Ma sappiamo, e ci rendiamo conto, che Layú bee non è una regione incontaminata e paradisiaca, già abbiamo ascoltato e letto i grandi difensori del messia (Lopez Obrador, presidente messicano ndt), scrivere e balbettare: “e dove vedete tutta questa vegetazione?”, “sono ecologisti e ambientalisti pagati dalla mafia del potere”, “dove eravate quando Obrador era del PRI?” (ah no, quest’ultima affermazione no) e una quantità infinita di eccetera, e per questo rispondiamo con le parole delle e dei compas zapatist*: “il dibattito è terminato”. Lo sappiamo, questo territorio è un campo agonizzante a causa delle diverse opere di “progresso e sviluppo” che i finqueros del passato hanno realizzato.
Layú bee, con la sua ampia ricchezza naturale, ha cambiato il suo paesaggio, si è deteriorata a causa dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di zolfo; a causa dell’aumento della capacità di raffinazione del greggio nelle sue due coste; dell’installazione di grandi complessi petrolchimici; dell’installazione e messa in opera di un complesso sistema di trasporti; gasdotti e oleodotti; la crescita della zona urbana e del corridoio industriale Coatzacoalcos-Minatitlán.
A questo si sono sommati i sistemi di trasporto, terrestri e marittimi, di merci pesanti per collegare le regioni petrolifere da Coatzacoalcos fino a Salina Cruz, collegate a loro volta con le regioni petrolifere del nord del Chiapas, di Tabasco e Campeche; inoltre l’allevamento estensivo concentrato nel sud di Veracruz e gran parte di Tabasco; l’espansione dell’agricoltura intensiva specializzata e di piantagioni forestali a scopo commerciale, l’uso indiscriminato di agrochimici e fertilizzanti sintetici, e lo sfruttamento dell’industria del legno hanno intaccato i boschi e le foreste.
Sono stati devastati decine di migliaia di ettari di foresta tropicale umida e più dell’80% degli ecosistemi delle zone umide del delta del fiume Coatzacoalcos, a cui si aggiunge l’inquinamento dell’aria, del suolo e, soprattutto, delle falde acquifere dovuti alle raffinerie e all’uso industriale del suolo. Lo stesso succede al fiume Tonalá, nella laguna dell’Ostión e nelle acque costiere dell’Istmo Nord, che ricevono forti scariche di batteri e microbi dovuti alle acque nere di uso umano, agli idrocarburi e ai metalli pesanti.
Da sempre lo sappiamo e lo denunciamo e da sempre ci siamo scontrati con questo, così come con i finqueros incaricati di portare avanti “progresso e sviluppo”, che oggi ha le su conseguenze sull’intero Layú bee. È per questo che oggi, con il nuovo finquero che prende ordini dallo stesso capataz da cui ne prendevano i suoi predecessori, continuiamo ad apparire nominando questa biodiversità che costituisce i nostri territori e che si trova nuovamente in pericolo.
La nostra diversità di eco-regioni non è solamente parte di un paesaggio agonizzante, no. Layú bee è anche vita, sono storie, racconti, miti e legende; sono parole che camminano e passi che conversano. Siamo nonn*, madri, padri, figli, figlie e nipoti. Siamo tessuti che raccontano il passato per continuare a vivere il presente, sono le feste che ci ricordano che, nonostante le avversità, il riunirci, la convivialità e la condivisione continuano ad essere una parte fondamentale delle nostre vite; sono passioni (peregrinazioni) verso i nostri monti e il mare, sacri per noi che qui abitiamo; sono i fiori che nei nostri cimiteri e sui nostri altari ci legano ai nostri antenati; sono guardiani della montagna camminando nella foresta; sono viandanti nuotando nelle terre umide della costa e braccia tracciando le reti fluviali.
Layú bee lo costituiscono radici storiche prfonde, siamo i mokaya (persone di mais) che da 3600 anni vivono qui e che oggi siamo gli e le angpøn (zoques), ayuujk (mixes) e tannundajïïyi (popolucas). Qui abbiamo messo radici e storia noi gli e le binizaá (zapotecas), ikoots (huaves), slijuala xanuc’ (chontales), o’ de püt (zoques del Chiapas) e lxs yokot’an (chontales di Tabasco). Siamo presenti qui come popolo afromessicano; ci accompagnano anche i nostri fratelli e sorelle tsa ju jmí’ (chinantecos), ha shuta enim (mazatecos), ñuu dau (mixtecos) e lxs bats’i k’ op (tsotsiles). Popoli che furono sfollati dai propri territori dai finqueros del passato, che furono strappati alle proprie terre per essere utilizzati come forza lavoro, e che consegnarono le proprie terre ai caporali che oggi ci si presentano come amici.
I primi passi e le prime voci che percorsero questo territorio continuano in cammino, è rappresentato nei pluriversi di cui abbiamo memoria, che conserviamo nella narrazione che i nostri e le nostre antenati ci hanno lasciato. Siamo i popoli che sanno che la nostra esistenza è un “ordito a più corpi”, corpi che hanno saputo mantenere e proteggere questa immensa biodiversità che, in piena crisi climatica e ambientale, ancora rappresenta la nostra terra. Siamo le alternative e siamo vive.
Oggi ancora Layú bee e noi che siamo parte organica di questa, dobbiamo essere in allerta, già che il nuovo finquero che occupa la sedia presidenziale vuole dividere il nostro territorio per consegnarlo ai caporali, a coloro che realmente rappresenta. Perché se li lasciamo avanzare, loro verranno a “saccheggiarci della terra, la memoria, tapparci le orecchie ed il cuore per non ascoltare le voci che come presagio ci avvertono che: è tempo di camminare con molta attenzione”.
Dalla regione dell’Istmo di Tehuantepec:
Asamblea de Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio – APIIDTT
Chiarimenti:
Il titolo di questo testo in 3 parti, prende come esempio quello lanciato dai Subcomandanti Moises e Galeano nel comunicato del 03/03/22. Perché? Perché come è ben specificato nel comunicato dell’EZLN, passata l’invasione non ci sara “chi dia conto del paesaggio”. La guerra, a cui fanno riferimento i compas zapatisti nel loro comunicato, coincide con la trasformazione che il Corridoio Interoceanico pretende per l’Istmo, anche qui in Layú Bee: “Ci sono interessi del grande capitale in gioco, per ambo le parti”, “esistono interventi-invasioni-distruzioni buone, e quelle buone sono quelle che realizzano per i loro fini” e “Chi guadagna sono i grandi consorzi di armamenti e i grandi capitali che vedono l’opportunità di poter conquistare, distruggere/ricostruire territori, sarebbe a dire, creare nuovi mercati di merci e di consumatori, di persone”. È per questo che: Non Ci Sarà Paesaggio Dopo la Trasformazione.
Link al comunicato originale:
Traduzione a cura del collettivo Nodo Solidale