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BASTA DE BOMBARDEOS EN MEDIO ORIENTE. LIBERTAD PARA LOS PUEBLOS DE PALESTINA Y KURDISTAN.

En Gaza, Palestina, es el infierno.

Si antes del 7 de octubre de 2023, día en que el ejército sionista de Israel desató los bombardeos masivos sobre la población civil, Gaza era una prisión a cielo abierto, ahora es una explanada de escombros, un matadero sin salidas, un pozo de sangre donde desahoga toda su furia bélica y racista el Estado de Israel. En el momento de escribir estas líneas se han registrado 12 mil toneladas de bombas (33 toneladas de explosivos por kilómetro cuadrado), lo que equivale a la potencia explosiva de una bomba atómica. Han sido asesinado 21,000 personas palestinas, de las cuales 10,000 niños y niñas. Como bien resume el Capitán Marcos del EZLN:

“La niñez palestina asesinada no es una víctima colateral, es el objetivo principal de Netanyahu, siempre lo fue. Esa guerra no es para eliminar a Hamás. Es para matar el futuro. Hamás será sólo la víctima colateral.”
Para quienes venimos denunciando la guerra global permanente como dispositivo de reproducción constante de acumulación capitalista, es decir quienes entendemos que la guerra es la forma propia del sistema de dominación mundial no tenemos esperanza en una solución de arriba, sino creemos que la paz se teje abajo, casa por casa, pueblo por pueblo, tratando de romper los moldes y las fronteras mentales y físicas que nos impusieron el patriarcado, el nacionalismo y las religiones, en sus formas más conservadoras. Como pueblo mexicano, sabemos bien que, para resistirse al poder, se nos va la vida. La guerra no es un cuento lejano, es – con sus diferentes matices – el orden de día de nuestro presente.

Desde luego, unos cientos de kilómetros más al norte de Palestina, en el noreste de Siria, en otro territorio devastado por 12 años de guerra civil, hay un experimento social que no nos cansamos de difundir y dar a conocer: el Rojava y las otras regiones de la Administración Autónoma de NorEste de Siria (AANES), en donde justo se busca tejer una convivencia entre los pueblos kurdos, sirios, cristianos siriacos, turcomanos, árabes y más en una perspectiva feminista, socialista, pluri-confesional y ecológica. Un verdadero laboratorio de democracia directa, en el ojo del ciclón, donde la tormenta devasta con más virulencia. Una experiencia de auto-gobierno popular de cientos de miles de familias y personas, con desgraciadamente demasiado enemigos, tantos locales y regionales cuantos entre las grandes potencias en disputa en el Medio Oriente.

Durante esta sangrienta Navidad, mientras el ejército israelí perpetraba otra masacre de civiles en el campamento de Al Maghazi, el ejército turco (aliado de aquel en la OTAN) bombardeó una clínica en Kobane y las infraestructuras civiles en Qamishlo, provocando 9 muertos más entre los civiles. Según un informe reciente del Centro de Información de Rojava (RIC), los ataques turcos con aviones no tripulados han matado a 83 personas en el noreste de Siria en este 2023. Además, con los ataques aéreos de los últimos tres meses mataron a 60 personas más. Entre las víctimas, muchos civiles y cuadros políticos y de las Unidades de Autodefensas del Pueblo (YPG/YPJ) y de las Fuerzas Democráticas Sirias (FDS).

El presidente fascista de Turquía, Tayep Erdogan, está aprovechando la coyuntura y la atención mundial sobre Palestina para recrudecer los ataques contra la verdadera democracia directa de Medio Oriente, esperando así poder aplastar la esperanza de un mundo mejor, esperando que una masacre tape otra.
Pero nosotros, como pueblos, colectivos y organizaciones en lucha de México no volteamos la mirada, denunciamos tanto al gobierno de Israel que al de Turquía como asesinos, ambos dedicados a invadir violentamente territorios indígenas aplicando la limpieza étnica entre sus habitantes. El drama del pueblo palestino es el drama del pueblo kurdo y ambos pueblos nos han enseñado la dignidad, la valentía y la resistencia.

Por un mundo donde quepan muchos mundos: paz con dignidad para los pueblos de Medio Oriente.

¡Paremos el genocidio en Gaza!
¡Paremos la Ocupación sionista en Palestina!
¡Defendamos la Revolución en Rojava!

Alianza Magonista Zapatista (AMZ):
Colectivo Autónomo Magonista (CAMA)
Comité de Defensa de los Derechos Indígenas (CODEDI)
Nodo Solidale
Organizaciones Indias por los Derechos Humanos en Oaxaca (OIDHO)
Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martinez”
Organizacion popular Francisco villa de izquierda independiente OPFVII
Proceso de Articulación de la Sierra de Santa Marta
Vendaval – cooperativa panadera y algo más

Autodifesa Medica: Pantere Nere e Ezln – Introduzione

Di seguito riportiamo l’introduzione al volume italiano “Autodifesa Medica – Pantere Nere e Ezln”, traduzione a cura del Nodo solidale del volume “Autodefensa Medica – Panteras Negras y Zapatistas” di Zineditorial recentemente pubblicata nella collana Quaderni della Complicità Globale in collaborazione con Elementi Kairos.

A Jaime Alberto Montejo Bohórquez (1964-2020), compagno della Brigada Callejera che ci ispira ogni giorno a lottare per la salute dellə oppressə

Introduzione 

Ancora dentro la pandemia COVID-19 ed a oltre un anno dalla Gira por la Vida[1] intrapresa dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e dal Congresso Nazionale Indigeno (CNI) attraverso i paesi europei, ci siamo imbattutə in Autodefensa Medica: Panteras Negras y Zapatistas e ci è sembrato appropriato tradurlo. Per contribuire con umiltà ai complessi dibattiti sulla salute e sulla cura al tempo dei lockdowns e del green pass, in una fase di crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dell’assalto dei privati alla sanità, per porre domande e non ricette pronte.

La pandemia che ci ha travoltə dall’inizio del 2020 non è ancora finita e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima a scuotere la comunità internazionale. Il caso del Monkey pox (vaiolo delle scimmie) ne è un esempio, ma soprattutto, nulla è stato fatto per rallentare l’espropriazione e la devastazione ambientale che avanzano rapidi e mettono ogni giorno sotto stress gli ecosistemi negli angoli più remoti del pianeta. In Italia la pandemia ha incontrato un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) allo stremo il cui spirito universalistico, conquistato grazie alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori negli anni ’70, è stato sempre più messo in discussione ed al margine dall’avanzata del paradigma neoliberista. Tre sono i dati che ci danno la radiografia dello stato di salute del SSN: 37 miliardi di euro tagliati in meno di 10 anni, la frammentazione di un sistema nazionale in 20 piccoli sistemi regionali, con la conseguente stratificazione in apparati sanitari di serie A e di serie B, l’aziendalizzazione della sanità. La parità di bilancio è diventata quindi più importante della salute delle persone. Questo è il modello che ci è stato imposto.

Nel nome dell’austerità e del debito pubblico, negli anni passati, siamo statə testimoni di una lenta distruzione della sanità pubblica; oggi, al contrario, per uscire dalla pandemia si ricorre agli investimenti del Piano Nazione Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma quale direzione stiamo prendendo? Per ora non percepiamo un cambio di parole d’ordine, nessuna iniziativa che provi a ribaltare il paradigma che vuole la sanità come un campo di profitto, in una Salute come bene comune. Speriamo di sbagliarci.

Ma come si potrà uscire da una sanità come complesso industriale biomedico e delle assicurazioni? Come allontanarsi da una sanità intesa come industria della salute e fonte di profitto per privati e assicurazioni?

Cosa vuol dire prendersi cura della propria salute? Che ruolo ha la salute nella nostra società? È possibile immaginare insieme una salute che rompa i vizi secolari di una medicina pensata da maschi bianchi per maschi bianchi? Ripensare una scienza nata come biopotere estirpato dalla capacità di cura comunitaria e personale, così come dai corpi delle donne? Combattere il suo essere strumento di normalizzazione sociale e dominio coloniale? Si può rompere la catena che inserisce la medicina in un campo di creazione di profitto, all’interno di un sistema di sfruttamento e sovrapproduzione? Sarà possibile re-immaginare la figura medica, non come parte della classe dominante, ma come una figura alleata delle classi oppresse nella lotta contro le disuguaglianze sociali, incidendo nei determinanti di salute?[2] Una figura che incarni un sapere condivisibile e a disposizione della collettività e non una figura di potere che agisce per interessi egoistici e di casta?

Alcune domande ce le poniamo da anni, altre ce le ha fatte sorgere l’esperienza vissuta con il COVID-19. Questioni a cui sarà fondamentale rispondere collettivamente.

La pandemia è piombata sulle nostre vite come un macigno inaspettato, un virus diffusosi rapidamente in tutto il mondo e un’epidemia che abbiamo imparato a interpretare piuttosto come una sindemia[3]. Una malattia estremamente influenzata dai contesti socio-ambientali in cui si diffonde, che acuisce le diseguaglianze sociali ed economiche e colpisce in maniera più aggressiva dove si vive lavorando più del dovuto, in condizioni igienico-sanitarie malsane, in case piccole e sovraffollate, in quartieri inquinatissimi. Il COVID-19 non è stata una semplice malattia dell’essere umano, ma una malattia dell’ecosfera[4] perché nasce in un mondo dove la deforestazione, la cementificazione, l’industrializzazione selvaggia e gli allevamenti intensivi invadono gli ecosistemi naturali. Questa devastazione ambientale obbliga gli animali selvatici alla vicinanza con l’umano, così come i loro batteri e virus, favorendo la possibilità dello spillover (salto di specie). Inoltre le infinite e rapide connessioni internazionali ne consentono una diffusione globale.

Mentre leggevamo e studiavamo, provavamo a discuterne, ma il dialogo era problematico, non fluiva per la complessità del tema e la difficoltà ad affrontare le insidie della vita ai tempi della pandemia covid-19. Non siamo riuscitə ad avere idee chiare e condivise sull’utilità delle misure sanitarie imposte dai governi, su quali fossero le più importanti, su quanto ci si dovesse affidare solo al lockdown e al vaccino e quanto bisognasse invece lavorare su un approccio più sistemico alla questione. In Italia la discussione è stata violenta, così tanto polarizzata su fazioni opposte da non mostrarci la possibilità di  individuare soluzioni collettive e condivise. Sicuramente ci è parso lampante come la gestione della salute collettiva e la medicina possano essere armi di un potere enorme in mano agli Stati e di quanto questo sia in grado di entrare nelle nostre vite.

Lo scrivere questa introduzione ci ha preso molto tempo, proprio per la capacità di questo libro di mettere al centro quello che durante la pandemia in Italia era difficile discutere: il ruolo della salute nella costruzione di una società. Forse per noi discutere su questi temi risultava faticoso perché l’autonomia la vediamo troppo lontana e non siamo abituatə a viverla, quindi sognare insieme e mettere in campo soluzioni altre.

Ci è sembrato importante tradurre questo libro perché ci fa vedere di come la salute sia un campo di lotta, di come può essere uno strumento fondamentale all’interno di una cornice trasformatrice del presente, soprattutto di due organizzazioni politiche che rispettiamo per la loro traiettoria, le Pantere Nere e l’EZLN. Non per avere idee chiare su questi problemi, ma per desiderare di poter ribaltare tutto e riscriverlo da capo, dal basso e da sinistra. Solo sognando possiamo immaginare una società fatta di cura reciproca, dove la salute non sia una merce, ma un diritto di tuttə.  Solo costruendo organizzazione possiamo sognare insieme.

E leggere come le Pantere Nere sul tema della salute abbiano costruito un importante pilastro di emancipazione, significa aprirsi ad uno straordinario e storico esempio di organizzazione e di lotta. In che modo abbiano cercato e trovato forme di prevenzione e cura per problemi concreti che allo Stato non interessavano perché considerati problemi “solo dei neri”. Come abbiano saputo tradurre il proprio pensiero e la propria azione in organizzazione sociale dal basso, coniugando salute, denuncia e presa in carico delle proprie condizioni materiali. La clinica del popolo “Frank Lynch”, le Pantere Nere l’hanno costruita sulla terra su cui avrebbero dovuto edificare una super autostrada che avrebbe isolato e diviso il quartiere.

Le cliniche zapatiste sono nate prima dell’insurrezione armata, esempio di come la cura e la sua difesa fossero centrali per la riappropriazione delle proprie vite sottratte da 500 anni di colonialismo e di razzismo. Recuperare saperi ancestrali, appropriarsi dei saperi della medicina occidentale, integrarli, prevenire le malattie, riprendersi le terre rubate da Stato e latifondisti. Solo in questo modo potevano lottare per la vita. Perché se la lotta è per la vita, non può che essere una lotta per la salute. Ad oggi gli zapatisti e le zapatiste hanno costruito un sistema autonomo di cura che si avvale di sale operatorie, ambulanze per le emergenze, case di salute sparse nelle comunità, campagne di prevenzione e vaccinazione, laboratori di analisi. Inoltre un sistema di formazione, approfondendo temi come la salute pubblica, primo soccorso, fitoterapia e medicina ancestrale, educano promotorə di salute che si prendono cura della comunità.

Ma cosa possono insegnarci queste esperienze nel nostro contesto? Si deve costruire una sanità dal basso o si deve riconquistare il diritto gratuito alle cure? La strada da percorrere è autonoma ed indipendente dal Servizio Sanitario Nazionale oppure è fatta di vertenze e battaglie “interne”? Queste sono due posizioni in contraddizione o possono essere sviluppate in sinergia? Domande aperte che sta a tuttə noi rispondere collettivamente.

Infine,a scrivere questo libro è un  collettivo autonomo messicano critico del governo di Lopez Obrador, che dietro la maschera di governo di “sinistra” riesce a portare a compimento i piani di un’economia neoliberista.  Un collettivo non composto da professionistə della salute. Perchè la salute è delle persone che esse siano sanə o malatə, pazienti o dottorə.

Crediamo che solo attraverso percorsi simili si possa rispondere alle domande che ci ronzano per la testa, che il presente ci impone e che abbiamo voluto riportare in queste righe, nella speranza che la diffusione di questo libro ci aiuti a formulare risposte e a praticare nuove soluzioni.

Nodo Solidale

[1] Carovana dell’EZLN e del CNI che ha invaso l’Europa dal 11/06/2021 al 06/12/21 per condividere con i movimenti sociali europei le lotte e le forme di organizzazione e di resistenza contro il capitalismo estrattivista.
[2] Le analisi alla base di questi concetti e questi interrogativi sono esposte in importanti scritti come: Calibano e la strega di Silvia Federici, Nemesi Medica di Ivan Illich, Storia della follia in età classica di Michel Foucault.
[3] Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet. 2020
[4] Ernesto Burgio su Radio Onda Rossa

Per Saperne di più: link la traduzione di un Articolo di Raul Zibechi sull’edizione Messicana dal blog del collettivo internazionalista Carlos Fonseca.

Salute ribelle e movimenti anticapitalisti

 

 

Palestina: Detenido Bilal Jado

17 de enero de 2023,México
Palestina: Detenido Bilal Jado
El compañero Bilal, uno de lxs fundadores y promotores del Centro Cultural Amal Al Mustakbal en el campo de refugiadxs Aida en la ciudad de Belem (Cisjordania, Palestina), fue detenido en la madrugada durante un operativo del ejército de Israel. No sabemos de qué se le acusa y de ser una detención administrativa nunca lo sabremos pues la mayoría de los expendientes y juicios están sepultados bajo el “secreto militar”. La detención administrativa de hecho es un procedimiento que permite al ejército israelí detener prisioneros de manera indefinida sin cargos ni juicio. Las órdenes pueden renovarse indefinidamente y las pruebas se mantienen en secreto, por lo que la persona no puede impugnar de manera efectiva su detención ni saber cuándo saldrá en libertad.

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UCRANIA, KURDISTAN, PALESTINA, MESSICO… ¡STOP ALLA GUERRA GLOBALE!

Ogni guerra ci addolora e ogni guerra ci riempie di rabbia. I potenti ci parlano della guerra, attraverso i loro mezzi di comunicazione, come un evento eccezionale, ma si tratta di una menzogna, perché le bombe cadono ogni giorno, ogni giorno ci sono sparatorie, ogni giorno ci sono nuovi orfani e madri senza figli e figlie, ogni giorno in molte geografie di questo pianeta brutalizzato ci sono governanti e criminali che ordinano massacri a cui i popoli forniscono vittime.

Ogni maledetto giorno.

Ci urge affermare una cosa, forse niente di nuovo, ma esistono guerre senza fine che in questi giorni stanno peggiorando drasticamente, tragedie che non trovano posto nel circo mediatico, moltissime persone che muoiono lontane dalle luci delle telecamere e dall’opinione di giornalisti e politici. Continua la lettura di UCRANIA, KURDISTAN, PALESTINA, MESSICO… ¡STOP ALLA GUERRA GLOBALE!

UCRANIA, KURDISTAN, PALESTINA, MÉXICO… ¡ALTO A LA GUERRA GLOBAL!

TRADUZIONE IN ITALIANO

Todas las guerras nos duelen y todas las guerras nos enfurecen. Los poderosos nos cuentan, a través de sus medios, sobre la guerra como un evento excepcional, pero es mentira, pues realmente todos los días caen bombas, todos los días hay balaceras, todos los días hay huérfanos y madres sin hij@s, todos los días en muchas geografías de este brutalizado planeta gobernantes y criminales ordenan masacres y los pueblos ponen los muertos.

Todos los malditos días.

Nos urge aquí decir algo, quizás nada nuevo, pero existen guerras que no terminan y que en estos días están empeorando dramáticamente, tragedias que no encuentran lugar en el circo mediático, montones de gente que muere lejos de las luces de las cámaras y la opinión de periodistas y políticos.

Por ejemplo, en Kurdistán. Desde el 17 de abril el Estado Turco, encabezado por el fascista Erdogan, ha iniciado una nueva campaña militar contra la población kurda: 147 ataques aéreos fueron registrados en los primeros dos días en Bashur, norte de Irak. También drones del ejército turco lanzaron misiles en diferentes áreas del Rojava (norte de Siria). En ambos casos la ofensiva turca busca aniquilar la resistencia kurda, especialmente sus cuerpos de autodefensa como las YPG/YPJ y las Fuerzas de Defensa del Pueblo (HPG), los cuales tratan de hacer escudo al proyecto de autonomía socialista, ecologista y feminista llamado Confederalismo Democrático.

Lo que hace más dramática la enésima ofensiva militar de Erdogan es que este tirano ahora luce como mediador en las negociaciones entre Rusia y Ucrania, lo cual hace que actúe desde un lugar privilegiado para buscar alianza contra los pueblos kurdos: de hecho, mientras su ejército sigue bombardeando e invadiendo el norte de Irak, el KRG de su aliado Barzani está sitiando al autogobierno de l@s yazidies, construyendo un muro entre ell@s y la región autónoma de Rojava, la cual también se encuentra amenazada desde el sur, por el avance del ejército sirio de Assad y de Rusia, que apuntan a recuperar el control militar de Qamishlo, una de las ciudades más importantes de la Administración Autónoma del Norte y Este de Siria (AANES) que es parte de la experiencia del mencionado Confederalismo Democrático.

Sabemos que todo eso suena complicado, pero la verdad es dramáticamente sencilla: la democracia directa de los pueblos de la región está siendo atacada por todos lados, tanto por la OTAN y Estados Unidos, como por Rusia y sus aliados.

Mientras, no muy lejos, en la tierra martirizada llamada Palestina el ejército invasor del Estado de Israel ha incrementado sus acciones represivas y operaciones militares a costa de la población invadida. Según los datos de Euro-Med Human Rights Monitor las fuerzas israelíes mataron durante estos meses CINCO VECES más palestinos que durante el 2021. Más allá de los datos, números tan fríos, nos indigna la constante provocación de los militares sionistas, llegando incluso a atacar con gases y balas a los feligreses reunidos en la Mezquita de Al-Aqsa (Jerusalén), con un saldo de 200 heridos y 450 detenidos; y nos indigna la masacre contra los civiles (26 palestinos asesinados sólo en abril, entre ell@s 7 menores y tres mujeres) y los continuos bombardeos de los aviones del ejército israelí en la Franja de Gaza, como los del 18, 20 y 21 de abril. No es una guerra, más bien un exterminio, una limpieza étnica que sigue desde hace más de 70 años en contra de la población nativa, los y las palestinas.

Para quienes vivimos en México la guerra no es algo lejano, con formas y matices diferentes también en nuestro país la masacre parece imparable,con más de 360,000 asesinatos en los últimos 16 años y 99,000 desaparecid@s. La guerra en México tiene un tinte especialmente feminicida, cada día 10 mujeres son asesinadas por hombres, cobijados por un pacto patriarcal entre crimen e instituciones que deja en la total impunidad la inmensa mayoría de los delitos contra las mujeres. Es una guerra en la sombra, espectacularizada en las series televisadas pero nunca aceptada como tal, sin ninguna institución que se asuma la responsabilidad de que un país entero sufre las secuelas de ella: su exposición a la violencia cotidiana, su militarización, todas las recaídas psicológicas de un conflicto negado y minimizado, los desplazamientos internos, la ausencia de miles de “levantad@s”, el meticuloso abatimiento de luchadoras y luchadores sociales, la cuenta sin fin de “daños colaterales”, el drama de las balas perdidas y el asesinato de la niñez. El único freno posible ante la catástrofe, en México como en Medio Oriente, parece ser la auto-organización de los pueblos y los barrios, incluyendo en ella su propia defensa ante los actores que los agreden.

Nosotr@s, como colectivo internacionalista Nodo Solidario, sabemos que nuestra voz no cuenta nada, pero no podemos dejar de denunciar y seguir organizándonos como otros miles de colectivos y organizaciones pues somos parte de esta inmensa mayoría que sufre las decisiones de los poderosos, que pone los muertos, que se reconstruye sobre los escombros humeantes y que, con el furor del amor a la vida, se indigna por cualquier ser humano pisotead@ en el mundo.

A las madres, padres, abuelos y abuelas, herman@s e hij@s de cualquier lugar en guerra como Kurdistán, Palestina, México… y de nuestro barrio: un abrazo que sea un escudo contra bombas, balas e injusticias. Qué el miedo cambie de lado.

Colectivo Nodo Solidario México

25/04/2022

 

Contro le guerre del capitale

Con l’Ezln al fianco di chi resiste e chi si ribella

[Foto da Revista K'uxaelan: Marcia a San Cristobal de las Casas ][Foto da Revista K’uxaelan: Marcia a San Cristobal de las Casas ]

Che dalle Montagne del sud-est del Messico arrivi una chiamata in
solidarietà con le resistenze in Ucraina e le ribellioni in Russia non è cosa da poco. Infatti, con un comunicato pubblico-  https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/03/10/domenica-13/ – l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) ha proposto la giornata del 13 marzo come data di inizio di una campagna mondiale contro la guerra.
Frutto di anni di internazionalismo e solidarietà, e della straordinaria esperienza della Gira por la Vida in Europa avvenuta pochi mesi fa (https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/06/sesta-parte-una-montagna-in-alto-mare/), l’Ezln lancia una campagna attraverso cui dare spazio al potere delle arti con concerti, eventi, incontri, manifestazioni di qualsiasi forma, per esprimere vicinanza ai popoli coinvolti nel conflitto alle porte dell’Europa. Conflitto che l’EZLN legge come ennesimo e funzionale risultato del distruttivo e mortale agire del sistema capitalista.

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PALESTINA: Pietre contro Palottole

Un compagno del Nodo Solidale si trova in questo momento in Palestina. Quello che segue e’ la cronaca in soggettiva di un’operazione militare nel campo profughi di Aida, Betlemme. Storie di quotidiana repressione che non riescono neppure a fare notizia…

Con la resistenza palestinese, sempre.

PALESTINA: Pietre contro Palottole

Ci vengono a chiamare, mentre tutti cominciano a correre e gridare: L’esercito! L’esercito! L’esercito israeliano!

Aida Camp, West Bank. 22/02/2015 – Nel mezzo del campo profughi i bambini, i giovani e i loro genitori rompono pezzi di muro e marciapiede per difendersi dall’esercito israeliano. Si nascondono nei vicoli e dietro gli angoli di ogni strada. Gridano, corrono e cominciano a tirare le pietre ai militari che, in una missione silenziosa, sono entrati nel campo profughi Aida con un’operazione finalizzata all’arresto di un palestinese. Tutti lanciano pietre e insulti agli invasori.

Nel 2003 Israele ha dato inizio alla costruzione di un muro che oggi cinge d’assedio la città di Betlemme. Un muro di 8 metri d’altezza con 8 punti di controllo di entrata e uscita regolati da Israele. Alcuni palestinesi che vivevano fuori dal Muro hanno perso le loro case e oggi vivono in uno dei tre campi profughi della città: Dehisha (17000 rifugiati), Aida (7000 rifugiati, molti dei quali, in questo momento, stanno affrontando l’esercito) e Alzza (1500 rifugiati).

Un bambino comincia a gridarmi che vada da lui. Mi avvicino un poco e viene di corsa mentre si segnala il viso e urla in arabo parole che non capisco; contentissimo mi narra a gesti e con imitazioni come ha raggiunto in pieno volto un militare con un sasso. Le pietre difendono e resistono. Il bambino torna a difendersi.

I più anziani e i più piccoli con le loro madri si raggruppano nelle case più vicine. Dietro di me ci sono donne palestinesi e sento i loro piccoli piangere. Altri bimbi si avvicinano agli scontri con curiosità, titubanti prendono in mano qualche pietra fino a che i loro genitori giungono a prenderli in braccio o danno loro uno schiaffo per fargli lasciare le pietre e farli ritornare a casa dove, si suppone, dovrebbero stare più al sicuro.

Mi avvicino un poco a un uomo che sta spezzando una pietra da lanciare. Sono a due metri da lui. Si sente uno sparo. L’uomo cade.

Urla. Non può camminare. L’hanno colpito a una gamba. Una pallottola lo ha perforato proprio sotto il ginocchio. Tutti lasciano le proprie posizioni e corrono ad aiutarlo. Lo caricano e lo portano di corsa all’ospedale.

La macchina che funge da ambulanza per raggiungere l’ospedale deve attraversare un parte della strada dove infervorano gli scontri. Inizia a suonare il clacson e schizza via più velocemente che può.
Una bambna si mette a piangere, sua madre l’abbraccia e la infila nella casa più vicina. Un secondo combattente cade. Un’altra pallottola nella gamba. Tutti cominciano a correre e gridare con le pietre e la rabbia nelle mani. Difendendo, adesso, altre strade nelle quali l’esercito israeliano cerca di entrare. Mantengono le posizioni. Una strada, pietre, corrono, un’altra strada, pietre, pallottola, corrono. Urla.

In una sala di una casa ci sono molti bambini e bambine piccole. Alcuni piangono, altri sono troppo piccoli per capire.

Bomba. Bomba. Bomba. Sono di coloro che resistono o dell’esercito? Non lo sappiamo.

I bambini urlano, gli adulti li calmano. Un uomo mi grida in arabo: We use stone, stone! All problem and all bomb is always israeli. All we have is stone.

Uomini entrano ed escono dalla stanza per informare su quello che avviene fuori.
Senza farsi notare l’esercito israeliano è entrato in una casa del campo dei rifugiati per arrestare un compagno. E’ riuscito a scappare e noi stiamo difendendo il nostro territorio. Adesso i militari stanno girando in borghese per mischiarsi alla folla e fare arresti.

Due bambini si mettono a giocare agli scontri. Uno finge di avere un’arma e l’altro di avere pietre. Nessuno dei due cade.

Bomba, grida e moltitudini correndo.

Di nuovo giunge un uomo e da una notizia in arabo. Ormai si odono lontane le urla, gli scontri si allontanano. Due bimbi si avvicinano per spiegarmi quello che sta succedendo. Parlano solo in arabo. Mi parlano con le mani. Fanno un numero due e si segnalano fra loro. Creano con le mani una pistola lunga e recitano a che uno spara all’altro alla gamba.
Continuano a giocare all’occupazione israeliana nelle terre palestinesi.

Gli scontri si rifanno vicini, adesso con più violenza. Nuovamente l’esercito ha sparato a un altro uomo alle gambe. Gli abitanti del posto bloccano le strade per non far avvicinar l’esercito. I militari stanno occupando alcune case come base. Già sono sette le persone raggiunte alle gambe dalle pallottole e una donna ha ricevuto l’impatto in pancia. Inoltre si contano 10 uomini e giovani pestati dai militari.

Le strade sono piene di luci rosse intermittenti. Ambulanze che raccolgono i feriti e altre che aspettano per soccorrere il prossimo palestinese che abbia bisogno di cure. I giovani corrono quando vedono il laser dei fucili israeliani. Corriamo di strada in strada. Il potere di una pietra non può competere con un’arma da fuoco.

Corriamo, dobbiamo uscire dal campo.

TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA!
Dobbiamo uscire dal campo.
Bomba.

Dobbiamo uscire dal campo. Fra varie chiamate strategiche tirano fuori una mappa e trovano il cammino più sicuro per arrivare al Beit Jala Hospital per vedere la situazione dei compagni feriti dagli spari.

Stanno uscendo dall’ospedale due uomini. Quello a cui hanno sparato al mio lato esce zoppicando con una radiografia in mano. La pallottola non ha raggiunto l’osso, adesso deve ritornare al campo. L’altro esce in sedia a rotelle perché la pallottola gli ha attraversato le due gambe.

I muri israeliani ingabbiano i palestinesi che vengono aggrediti costantemente. Le pallottole dell’esercito israeliano colpiscono le pareti delle scuole, delle chiese e delle case dei palestinesi. Perforano gambe per non farle più camminare.

I compagni stanno tornando ad Aida Camp.

Da Bachajon alla Valsusa: GRANDI OPERE E RESISTENZE

GRANDI OPERE E RESISTENZE:
Da San Sebastián Bachajón alla Valle di Susa, una sola lotta un solo nemico

Nel mondo in cui viviamo, la guerra in cui il Capitale ci trascina ogni giorno si manifesta sempre più spesso attraverso l’imposizione di mega progetti che per gli interessi di pochi si traducono in furto organizzato ai danni dei popoli del pianeta.

L’attacco che il Capitale, attraverso i governi e le imprese multinazionali, porta ogni giorno nelle nostre vite, consiste nelle cosiddette “grandi opere”, che dalla Valle di Susa al Messico, fino al Nord della Francia e a Niscemi, distruggono le nostre comunità e la nostra natura, incarcerando, criminalizzando e spazzando via chiunque cerchi di opporsi e di resistere, organizzandosi, a questo paradigma di dominazione.

“Vivere in una società capitalista non ci converte necessariamente in insubordinati, però necessariamente implica che la nostra esistenza stessa venga straziata dall’antagonismo fra subordinazione ed insubordinazione”, scrive John Holloway.

Nel 2015 pensiamo che scegliere “l’insubordinazione” significhi lottare con ogni mezzo necessario contro grandi opere e mega progetti.

Tra le montagne della selva nord dello Stato del Chiapas si snoda l’unica strada che collega la città di San Cristobal de Las Casas al sito archeologico di Palenque e alle cascate di Agua Azul, due delle località turistiche chiave del Sud-Est messicano. Imprese nazionali e straniere, con la complicità dalle istituzioni statali, mirano da anni alle ricchezze naturali di questi luoghi, per poter dar vita a grandi progetti di cosiddetto “ecoturismo”. In particolare, le due grandi opere pianificate per questa zona consistono nella costruzione di un’autostrada che colleghi San Cristobal a Palenque, e nella progettazione di una enorme attrazione turistica nella località delle cascate, le cui dimensioni sarebbero paragonabili a quelle di Cancun, dove cementificazione e speculazione edilizia hanno devastato la costa in maniera irreversibile. Nuovamente, due mostri “ecoturistici” minacciano di saccheggio, sfruttamento e devastazione un territorio e i suoi abitanti.

A pochi chilometri dalle cascate di Agua Azul sorge la comunità di San Sebastián Bachajón, dove da 35 anni il popolo indigeno tzeltal gestisce le proprie terre in maniera collettiva secondo le leggi della riforma agraria di Emiliano Zapata. Nel 2004, con il crescente interesse da parte dello stato e dei capitali stranieri di impossessarsi di questi luoghi, una commissione governativa redige un documento nel quale, in modo totalmente arbitrario, riduce sensibilmente i confini delle terre coltivabili dalla comunità, dando vita a un processo di espropriazione illegittima che continua fino ad oggi, con il fine di evitare il disaccordo della popolazione riguardo i progetti turistici previsti.

Nel quadro di questo furto istituzionalizzato da parte dello stato, centinaia di uomini e donne del nucleo agrario di San Sebastián Bachajón si sono organizzati per difendere la propria terra, che in questa parte di mondo si traduce nel diritto alla vita, all’autosussistenza, all’autonomia, e che rappresenta l’essenza stessa di questi popoli, i quali legano la propria cosmovisione all’agricoltura.
La comunità in resistenza è aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, uno spazio di azione e discussione dove si incontrano realtà di lotta da tutto il pianeta, che si identificano nella visione del mondo e nell’idea di società degli zapatisti dell’EZLN.

Le famiglie che hanno deciso di occupare una parte delle terre che gli erano state tolte si sono anche organizzate per amministrarle collettivamente, chiudendo le porte a autorità, partiti politici e a qualsiasi possibilità di imposizione di gerarchie verticali tanto care a chiunque abbia l’interesse di controllarle.

La repressione è arrivata puntuale in risposta all’occupazione delle terre espropriate da parte delle famiglie: il tentativo di riappropriazione è costato alla comunità decine di arresti. E non solo. Nel 2013 uccidono sulla porta di casa Juan Vasquez Guzman, una delle figure di riferimento di questa resistenza. Nel 2014 viene assassinato Juan Carlos Gomez Silvano.
La comunità di San Sebastián Bachajón esige giustizia per questi due omicidi rimasti impuni, per i quali accusano le autorità di governo. Esigono inoltre la liberazione di sei prigionieri politici accusati di crimini fabbricati ad hoc dallo stato.

Lo scorso 21 dicembre questa comunità ribelle ha messo in atto un blocco stradale parallelamente all’occupazione di terre recentemente espropriate, che è stato violentemente sgomberato dalle autorità il 9 gennaio; la gente ha risposto compatta e determinata, cacciando le autorità pochi giorni dopo in uno scontro in cui sono stati sparati anche alcuni colpi di arma da fuoco.
Le persone che ci raccontano i fatti dalla loro nuova sede, costruita proprio nell’area delle terre occupate in gennaio, rimarcano orgogliose la partecipazione massiccia e convinta delle donne e degli uomini in queste azioni di ribellione grazie alle quali possono continuare a camminare a testa alta tra le montagne che li hanno visto nascere, soffrire e resistere ai tentativi di espropriazione e alla repressione.

Espropri, omicidi, arresti, tortura, minacce e criminalizzazione della resistenza sono parte della strategia adottata dallo stato messicano al fine di indebolire le comunità che resistono e saccheggiare i territori. Uno stato che in Chiapas come altrove da un lato cerca di comprare le comunità indigene con programmi d’appoggio assistenzialisti, e dall’altro reprime chiunque si organizzi, resistendo e difendendo le proprie terre dagli interessi privati.

Come ci ricordano i nostri fratelli e le nostre sorelle indigene che si sono incontrati ad agosto nel caracol de La Realidad:

In questa nuova guerra di conquista neoliberale la morte dei nostri popoli è la condizione di vita di questo sistema.
Negli ultimi decenni migliaia di noi sono stati arrestati, torturati, assassinati, e fatti sparire per difendere i nostri territori, le nostre terre, le nostre famiglie, le nostre comunità, la nostra cultura e la nostra stessa vita.

Non dimentichiamo.

Perché questo sangue, queste vite, queste lotte, questa storia sono l’essenza della nostra resistenza e della nostra ribellione contro chi ci uccide: nella vita e nella lotta dei nostri popoli loro vivono.

Andiamo a prenderci la vita” scriveva invece l’anarchico Ricardo Flores Magon nel lontano 1907.

Andiamo tutti e tutte insieme, dal Chiapas alla Valle di Susa a Ferguson e in tutti i nostri territori a riprenderci ciò che è nostro e che ci spetta.

Andiamo a prenderci la vita.

Nodo Solidale -⁠ Construyendo la resistencia global