GRANDI OPERE E RESISTENZE:
Da San Sebastián Bachajón alla Valle di Susa, una sola lotta un solo nemico
Nel mondo in cui viviamo, la guerra in cui il Capitale ci trascina ogni giorno si manifesta sempre più spesso attraverso l’imposizione di mega progetti che per gli interessi di pochi si traducono in furto organizzato ai danni dei popoli del pianeta.
L’attacco che il Capitale, attraverso i governi e le imprese multinazionali, porta ogni giorno nelle nostre vite, consiste nelle cosiddette “grandi opere”, che dalla Valle di Susa al Messico, fino al Nord della Francia e a Niscemi, distruggono le nostre comunità e la nostra natura, incarcerando, criminalizzando e spazzando via chiunque cerchi di opporsi e di resistere, organizzandosi, a questo paradigma di dominazione.
“Vivere in una società capitalista non ci converte necessariamente in insubordinati, però necessariamente implica che la nostra esistenza stessa venga straziata dall’antagonismo fra subordinazione ed insubordinazione”, scrive John Holloway.
Nel 2015 pensiamo che scegliere “l’insubordinazione” significhi lottare con ogni mezzo necessario contro grandi opere e mega progetti.
Tra le montagne della selva nord dello Stato del Chiapas si snoda l’unica strada che collega la città di San Cristobal de Las Casas al sito archeologico di Palenque e alle cascate di Agua Azul, due delle località turistiche chiave del Sud-Est messicano. Imprese nazionali e straniere, con la complicità dalle istituzioni statali, mirano da anni alle ricchezze naturali di questi luoghi, per poter dar vita a grandi progetti di cosiddetto “ecoturismo”. In particolare, le due grandi opere pianificate per questa zona consistono nella costruzione di un’autostrada che colleghi San Cristobal a Palenque, e nella progettazione di una enorme attrazione turistica nella località delle cascate, le cui dimensioni sarebbero paragonabili a quelle di Cancun, dove cementificazione e speculazione edilizia hanno devastato la costa in maniera irreversibile. Nuovamente, due mostri “ecoturistici” minacciano di saccheggio, sfruttamento e devastazione un territorio e i suoi abitanti.
A pochi chilometri dalle cascate di Agua Azul sorge la comunità di San Sebastián Bachajón, dove da 35 anni il popolo indigeno tzeltal gestisce le proprie terre in maniera collettiva secondo le leggi della riforma agraria di Emiliano Zapata. Nel 2004, con il crescente interesse da parte dello stato e dei capitali stranieri di impossessarsi di questi luoghi, una commissione governativa redige un documento nel quale, in modo totalmente arbitrario, riduce sensibilmente i confini delle terre coltivabili dalla comunità, dando vita a un processo di espropriazione illegittima che continua fino ad oggi, con il fine di evitare il disaccordo della popolazione riguardo i progetti turistici previsti.
Nel quadro di questo furto istituzionalizzato da parte dello stato, centinaia di uomini e donne del nucleo agrario di San Sebastián Bachajón si sono organizzati per difendere la propria terra, che in questa parte di mondo si traduce nel diritto alla vita, all’autosussistenza, all’autonomia, e che rappresenta l’essenza stessa di questi popoli, i quali legano la propria cosmovisione all’agricoltura.
La comunità in resistenza è aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, uno spazio di azione e discussione dove si incontrano realtà di lotta da tutto il pianeta, che si identificano nella visione del mondo e nell’idea di società degli zapatisti dell’EZLN.
Le famiglie che hanno deciso di occupare una parte delle terre che gli erano state tolte si sono anche organizzate per amministrarle collettivamente, chiudendo le porte a autorità, partiti politici e a qualsiasi possibilità di imposizione di gerarchie verticali tanto care a chiunque abbia l’interesse di controllarle.
La repressione è arrivata puntuale in risposta all’occupazione delle terre espropriate da parte delle famiglie: il tentativo di riappropriazione è costato alla comunità decine di arresti. E non solo. Nel 2013 uccidono sulla porta di casa Juan Vasquez Guzman, una delle figure di riferimento di questa resistenza. Nel 2014 viene assassinato Juan Carlos Gomez Silvano.
La comunità di San Sebastián Bachajón esige giustizia per questi due omicidi rimasti impuni, per i quali accusano le autorità di governo. Esigono inoltre la liberazione di sei prigionieri politici accusati di crimini fabbricati ad hoc dallo stato.
Lo scorso 21 dicembre questa comunità ribelle ha messo in atto un blocco stradale parallelamente all’occupazione di terre recentemente espropriate, che è stato violentemente sgomberato dalle autorità il 9 gennaio; la gente ha risposto compatta e determinata, cacciando le autorità pochi giorni dopo in uno scontro in cui sono stati sparati anche alcuni colpi di arma da fuoco.
Le persone che ci raccontano i fatti dalla loro nuova sede, costruita proprio nell’area delle terre occupate in gennaio, rimarcano orgogliose la partecipazione massiccia e convinta delle donne e degli uomini in queste azioni di ribellione grazie alle quali possono continuare a camminare a testa alta tra le montagne che li hanno visto nascere, soffrire e resistere ai tentativi di espropriazione e alla repressione.
Espropri, omicidi, arresti, tortura, minacce e criminalizzazione della resistenza sono parte della strategia adottata dallo stato messicano al fine di indebolire le comunità che resistono e saccheggiare i territori. Uno stato che in Chiapas come altrove da un lato cerca di comprare le comunità indigene con programmi d’appoggio assistenzialisti, e dall’altro reprime chiunque si organizzi, resistendo e difendendo le proprie terre dagli interessi privati.
Come ci ricordano i nostri fratelli e le nostre sorelle indigene che si sono incontrati ad agosto nel caracol de La Realidad:
“In questa nuova guerra di conquista neoliberale la morte dei nostri popoli è la condizione di vita di questo sistema.
Negli ultimi decenni migliaia di noi sono stati arrestati, torturati, assassinati, e fatti sparire per difendere i nostri territori, le nostre terre, le nostre famiglie, le nostre comunità, la nostra cultura e la nostra stessa vita.
Non dimentichiamo.
Perché questo sangue, queste vite, queste lotte, questa storia sono l’essenza della nostra resistenza e della nostra ribellione contro chi ci uccide: nella vita e nella lotta dei nostri popoli loro vivono.”
“Andiamo a prenderci la vita” scriveva invece l’anarchico Ricardo Flores Magon nel lontano 1907.
Andiamo tutti e tutte insieme, dal Chiapas alla Valle di Susa a Ferguson e in tutti i nostri territori a riprenderci ciò che è nostro e che ci spetta.
Andiamo a prenderci la vita.
Nodo Solidale - Construyendo la resistencia global